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Hanno detto di lui

Come spesso accade quando uno scrittore incontra uno strepitoso successo di pubblico, tale da farne il fenomeno letterario di un intero decennio, questo successo non riesce a riflettersi in un vero successo di critica. Vi proponiamo una breve selezione dei commenti, positivi e negativi, fatti su Camilleri negli ultimi anni da critici e osservatori della cultura italiana. E iniziamo con lo stesso Camilleri, consapevole di quanto il suo successo non sia stato così "amato".

Stefano Malatesta intervista Andrea Camilleri - La Repubblica

"Curiosamente sono stato difeso da due critici molto differenti l’uno dall’altro: Carlo Bo e Angelo Guglielmi, Riferendosi all’atteggiamento davanti alla letteratura che il lettore percepisce nello scrittore, Bo ha detto che il mio potrebbe essere definito di non sacralità, di sdrammatizazione, simile a quello di Graham Greene e Simenon. Un attegiamento valutato positivamente dai miei lettori. Guglielmi si è ricordato che ho lavorato per trent’anni. Dietro la mia scrittura c’è una tecnica, una capacità di sceneggiare apprese in decine di lavori teatrali."

PRO

Alfredo Giuliani (Critico letterario)

"La concessione del telefono… mi ha fatto ridere come non mi succedeva da quando leggevo Jerome K. Jerome. E questo suo ultimo libro è, allo stess, una satira della società e della storia d’Italia di eccezionale forza sarcastica."

Roberto Cotroneo (L’Espresso)/1

"Camilleri è scrittore di buon talento, che predilige l’aspetto artigianale, minomo, quasi dimesso della letteratura. E lo predilige alla letteratura che vuole essere spettacolare, epica, grandiosa, in una parola, alta."

Manuel Vazquez Montalban

"Io vedo in Camilleri una certa influenza molto positiva del teatro in due aspetti… un dominio della situazione narrativa e di dialoghi, che deriva da una cultura teatrale e audivisuale."

Fruttero e Lucentini (La Stampa)

"…il Camilleri Andrea andrebbe quanto prima insignito della Gran Croce di Commendatore della Repubblica Italiana, ancorchè sia in corso un’indagine dell’antitrust sul monopolio che il predetto sembra esercitare sulle classifiche dei libri più venduti."

Roberto Cotroneo (L’Espresso)/ 2

"Quei libri di Camilleri sembrano così poco intellettuali da diventare libri per un pubblico che ormai detesta la letteratura come sfida, come piacere culturale, come gioco borgesiano, come labirinto."

Manuel Vazquez Montalban/2

"Quello che mi sembra più rilevante è il ruolo indipendente di Montalbano, la sua carica di soggettività, che potremmo chiamare latina o mediterranea. .. è molto più arbitrario del Maigret di Simenon, sebbene i suoi processi psicologici si assomiglino, però Montalbano a volte agisce d’istinto e con prontezza."

Carlo Bo

Camilleri occupa un posto che non esisteva nella letteratura italiana, offrendo libri di qualità e di buona presa sul pubblico, coome hanno fatto Simenon in Francia e Graham Greene in Inghilterra.

Raffaele La Capria

Poche volte mi capita di leggere dal principio alla fine di un libro senza poterlo lasciare. Camilleri, il linguaggio delle "cose dette", dialoghi che sembrano registrati in diretta. La sua ironia mi ha fatto pensare a Gogol più che a Brancati.

Carlo Fruttero

"Camilleri ha un po' il talento di Simenon. Riesce a fare romanzi brevi. Tanti, e tutti con una trama sostenibile. La sua lingua è ben inventata. La sua Sicilia è bella. I casi sono ben trovati. Quel suo poliziotto è un protagonista centrato: fra l'altro, condivide disinvoltamente con dei personaggi più che collaudati - Maigret, appunto, o Nero Wolfe - la passione per la buona cucina. Insomma, trovo che Camilleri sia uno scrittore più che degno. Anche la serie televisiva mi diverte. E' stata, in un certo senso, una rivelazione. Dev'esserlo stata per lo stesso Camilleri".

Goffredo Fofi - Il Messaggero, 27.5.2003

E’ una forma di snobismo assai diffusa quella esibita nei confronti di Andrea Camilleri da critici, scrittori e altri addetti ai lavori dell’editoria che, per dirla con un po’ di malignità, sono irritati dalle alte tirature dei suoi libri. Si tratti di banale invidia (ma l’invidia, secondo Elsa Morante, è ancora una virtù molto umana: deriva dal riconoscere agli altri qualcosa di più di quel che noi abbiamo o siamo) o di convinzioni profonde, si ha comunque il sospetto che quei tali non siano suoi lettori, oppure che non apprezzino in alcun modo una letteratura che non dimostri i suoi quarti di nobiltà letteraria. Non è il caso di polemizzare oltre misura, mentre è invece il caso di chiedersi se, dietro il fenomeno Camilleri, ci sia uno scrittore vero oppure no. La risposta, se ci si spinge un po’ avanti, è certamente positiva. Le ragioni del successo di un autore le si scopre sempre a posteriori, e spesso scrittori che fanno di tutto per averlo (o il “sistema editoriale" che hanno alle spalle e che li sostiene) non lo ottengono affatto. Un grande editore mi disse una volta che avrebbe potuto, grazie alla pubblicità e a recensioni più o meno controllate, riuscire a vendere di un libro fino a trentamila copie ma non oltre; oltre, era il pubblico a decidere; i veri, i grandi best-seller in qualche strano modo è il pubblico a decretarli. Se un libro piace a tanti, qualche ragione c’è, anche se è legittimo non condividerla e anzi in molti casi disgustarsene. Per fortuna questo non è il caso dei best-seller di Camilleri, per molti aspetti, diciamo così, “innocui", e per molti altri invece accettabili e anzi amabili. Personalmente, rimprovero allo scrittore agrigentino solo un certo abuso del dialetto - crescente negli ultimi libri, e forte in particolare nell’ultimissimo, Il giro di boa (Sellerio). Quello che era un ricorso spiritoso e caratterizzante, un “sale" aggiunto alla vivacità della narrazione per definire un ambiente, anche se soltanto la sua superficie, sta diventando un po’ invadente. Forse in questo c’è l’ambizione di Camilleri a porsi nella schiera non vasta dei “gaddiani minori", che sanno baroccamente giocare con la lingua anche a partire da una letteratura “disimpegnata" o sbrigativa sul fronte della ricerca espressiva - e penso in particolare a un “gaddiano minore" del Nord, a Gianni Brera - ma c’è, ancora di più, una tradizione locale, se possiamo chiamare “locale" per un girgentino una tradizione specificamente catanese, quella del teatro di Angelo Musco, Martoglio e Capuana, di quello soprattutto che più addomesticava il dialetto e lo rendeva palatabile per il “continentale" bisognoso di colori locali meridionali. Il rapporto delle commedie di Musco con la realtà del suo tempo è molto mediato, come lo è quello dei polizieschi di Camilleri; e il rapporto di Camilleri con il dialetto e con la lingua è divertito e strumentale, non risponde a un bisogno espressivo reale. Ma, per l’appunto, di divertimento si tratta, con la differenza che Camilleri non è Greene né Simenon, e la sua scelta non è quella di dividersi in due - un versante più serio e uno più commerciale o divertente/divertito - ma di essere partito da un’idea di letteratura più elevata, se pur accettando una scuola nella sudditanza al magistero di Sciascia, con il racconto-ricostruzione di episodi storici significativi ancorché secondari, e di essere rapidamente approdato al mero divertimento e cioè ai romanzi di Montalbano. Sono assenti da Camilleri sia la volgarità che la presunzione, però nei polizieschi vagamente verosimili e nella sua Vigata vagamente verosimile, che ne è lo sfondo naturale e sociale, saltano agli occhi la generosità delle ambientazioni e la sommarietà delle psicologie oltre alla pretestuosità della lingua. E però... Però questi romanzi stanno in piedi benissimo, e giustificano appieno l’interesse del “lettore comune" nei loro confronti, distinguendoli nettamente da quelli di altri esponenti italiani di un genere di grande voga. In breve, il genere si divide qui e altrove nei due filoni che possiamo chiamare del “giallo" un po’ astratto, solo vagamente indicativo di realtà precise, e del “noir" che, quando non è altrettanto astratto, ha ambizioni di durezza e di crudezza maggiormente rappresentative degli orrori della nostra epoca. Ma quanti sono gli autori importanti di “noir" in Italia (andrebbero citati più dei titoli che degli autori: per esempio Arrivederci amore addio di Carlotto, che con i romanzi della serie dell’Alligatore è l’unico vero rivale, sul fronte veneto, del nostro scrittore siciliano, o Io non ho paura di Ammaniti, giustamente celebrato), mentre abbondano i “giallisti". La differenza tra i tanti autori del genere Camilleri (e Carlotto) sta nella durata. Di solito gli altri partono o sono partiti bene e si sono poi arenati nella copia delle loro prime opere e non hanno saputo crescere, per limiti individuali, per scarsità d’esperienza o di tensione interna - che entrambe invece non mancano a Carlotto, ma non mancano neanche a Camilleri. Però Carlotto è “partito da sé" mentre la molla più forte di Camilleri sembra essere... l’anzianità. Sì, proprio l’anzianità in senso di anni e di accumulo di conoscenze, e non tanto quelle di prima mano quanto quelle di origine professionale. Camilleri ha accumulato il suo sapere tecnico - la vera riserva cui sembra attingere, più che alle storie di Vigata, Sicilia - a partire da una lunghissima esperienza di “gestore", o regista, o programmista di serie radiofoniche e televisive: teatro, romanzi sceneggiati, e affini. Si è così costruito una cultura vastissima che gli permette di navigare molto accortamente tra strutture, trame, sottotrame, caratteri, scansioni, digressioni, agnizioni, zeppe e ficelles. Possiede un sapere specifico che nessun altro sembra avere grande quanto lui, che è la sua “riserva" e che fa la sua fortuna. Camilleri è arrivato molto tardi al successo, e non ci dà affatto fastidio che egli se lo goda, salvo che nel riciclaggio di coserelle non narrative (i manualetti di teatro per esempio, superflui anche se non dannosi). Non butta via niente, insomma, delle sue fatiche professionali quasi anonime di ieri, e questo non è un bene. Camilleri la sa letteralmente lunga, ed è questo che attira i suoi lettori. Ci vende, aggiornato, un genere d’intrattenimento che ha fatto e rifatto le sue prove, ma che egli sa presentare sotto altri aspetti, e ridargli vigore come fosse nuovo. Montalbano e Camilleri hanno finito per entrare decisamente nel loro e nostro tempo, per appartenerci. Camilleri sa essere un probo professionista dell’intrattenimento letterario, il più noto e prolifico di tutti (perché deve riguadagnare il tempo perduto, e non per mera grafomania), e sa rendersi simpatico, fin al punto di volerne tentare una “illustrazione e difesa" di fronte ai suoi denigratori. Oltre a tutti i motivi suddetti, c’è anche il fatto, per dirla volgarmente, che Camilleri come Montalbano “non se la tira", mentre ahi come se la tirano! tanti scrittorelli innamorati di sé. I primi in classifica tra gli autori di best-seller in questo scorcio di stagione sono, con Camilleri, De Luca e la Tamaro, e a me, senza infierire su nessuno, piace di più Camilleri.

CONTRO

Giorgio Picara (Panorama)

Dopo aver elencato gli antenati di Camilleri (i grandi di Sicilia: da Verga a De Roberto, da Tomasi di Lampedusa a Sciascia) tiene a precisare: "Ovviamente Camilleri è appena lìombra di un' ombra di tali progenitori, e il suo caso si riferisce più alla piacevolezza dell'insieme che all'oggettivo pregio della pagina".

Vincenzo Consolo - La Nuova Sardegna, 15.1.2002

Oggi, ad esempio, in poesia si ricorre sempre più spesso ai neodialetti, che non sono la poesia dialettale di una volta. E' come scrivere in una lingua altra, in una lingua estranea. Un'operazione completamente diversa dal recupero del dialetto che fanno alcuni autori, ad esempio Andrea Camilleri. La cifra linguistica di Camilleri è di tipo folclorico di secondo grado, nel senso che lui usa una lingua mutuata dai mezzi di comunicazione di massa. E' una specie di "ritorno del superato", per citare George Steiner. Non esistono più i contesti dialettali, ma il lettore si diverte di fronte a questa buffoneria che già conosce per averla ascoltata nel cattivo cinema e nelle macchiette televisive».

Pietrangelo Buttafuoco

Andrea Camilleri è come una cassata, e cioè una meravigliosa torta piena di squisitezze, ma zeppa pure di stucchevoli canditi, ricoperta infine di glassa, pesante e indigesta, immangiabile perciò in tutto quel trionfo di zuccheri. E così è appunto Camilleri. Perfetto nella rappresentazione di due suoi grandi romanzi storici, ovvero "Il birraio di Preston" e "Il re di Girgenti" che sono la sostanza del pan di Spagna, stupefacente nell'invenzione di Montalbano, il Commissario ricalcato sul modello dei grandi eroi da cantastorie che, in questo caso, è la ricotta della sostanza narrativa. Stucchevole e indigesto dunque, Camilleri che è un vero interprete della fantasia agrigentina, ci diventa ogni volta che si avventura nel parco buoi dell'ideologia. Scrisse delle orribili favolette contro Silvio Berlusconi per esempio, così lagnose e lugubri, ma così inutili anche, da non saperci che fare. Peggio della crosta di torta lasciata sul piatto. Una prosa così forzata che neppure il nervoso Salvo Montalbano, nella peggiore delle punizioni, potrebbe mai imporre come lettura al peggiore dei banditi.

Giulio Ferroni (Docente universitario di letteratura italiana)

"Non è uno scrittore importante del novecento"

Pietrangelo Buttafuoco (Il Foglio)

"E’ un prodotto da pulp fiction alle sarde"

Francesco Merlo (Corriere della sera)

"… Camilleri inventa una Sicilia arcaica, un’insularità quasi biologica… una separatezza che ovviamente esiste se non come stereotipo, come pregiudizio… Il tutto descritto con la lascivia sentimentale di certe orrende cose di noi stessi che ci piacciono tanto, quasi fossero anacronistiche virtù, elisir da paradiso perduto."

E’ stato un voto eccessivo contro gli eccessi politici della Procura, e contro la letteratura masochista, alla Camilleri, che per divertire il mondo oltraggia la Sicilia. [Si parla delle elezioni regionali in Sicilia del 2001]

Pietrangelo Buttafuoco (Il Foglio)/2

"Il padre di Montalbano ha inventato questo suo mondo di verità per fare la parodia della fantasia, camminando nel largo mondo del consumo popolare."

Giulio Ferroni (Docente universitario di letteratura italiana)/2

"Se si usa "cizzion" al posto di eccezione, "pititto per appetito… viene fuori una pietanza troppo consita. Una caricatura. E’ quel siciliano che il lettore si aspetta… anche sul tema della giustizia e dell’ingiustizia, caro a Sciascia e a Consolo, Camilleri finisce per mantenersi su di una gradevole divertente superficie."

Stefano Giovanardi (L’Espresso)

"Se Camilleri fosse davvero un nuovo Brancati, potremmo stare tranquilli. Ma ho l’impressione che gli manchi, per esserlo, la sofferenza di cui trasuda la facciata ironica di un Don Giovanni in Sicilia o di un Bell’Antonio."

Giulio Ferroni (Docente universitario di letteratura italiana)/3

"Camilleri è troppo accomodante, troppo disincantato, troppo privo d’indignazione."

Pietrangelo Buttafuoco (Il Foglio)/3

"Minchia, chi camurria stu settantino. Era un cristiano pacifico, scrivia sceneggiaturi pi Megrette… A sira turnava a casa, s’assittava cu na buttigghia di vinu, un piattu d’alivi e un piezzu di pani, e s’arricriava a scriviri minchiati, ca quannu i scrivia ridia sulu sulu. Nun putia continuare a scriviri minchiate a so casa, pi so mugghieri, i mso figghi e i so niputi?"

Massimo Onofri, uno dei massimi esponenti della nuova critica

Andrea Camilleri? Un autore che ha realizzato «un’abilissima operazione di mercato», i cui romanzi non hanno «nessuna necessità espressiva» e la cui scrittura è caratterizzata da un dialetto «esornativo, cautamente lessicale, ancora rassicurante».

Esce la raccolta di saggi di Massimo Onofri sulla letteratura siciliana. Che non prevede il papa' di Montalbano

L'intellettuale Camilleri ha indubbiamente forti tensioni civili e politiche. Come scrittore a me pare che lavori a una materia fortemente caratterizzata nei suoi topoi a volte regressivi, che si materializza in un dialetto lessiacale, non lavorato dentro un'ipotesi gnoselogica.

Certo, c'e' il Camilleri del filone ottocentesco, che e' quello che piu' mi interessa: il suo lavorare dentro lesaccocce dell'inchiesta parlamentare di Sonnino e di Franchetti e' un'idea davvero geniale.

La polemica di Enzo Siciliano

Gli assenti hanno sempre torto. E mai come questa volta hanno sbagliato quegli studenti dello Scientifico Leonardo che hanno preferito la giornata di sole piuttosto che l'incontro con lo scrittore Enzo Siciliano, organizzato dalla Provincia nell'ambito della manifestazione «Percorrendo la letteratura». Al Cine Astor comunque c'è stata una larga presenza di studenti e professori, insieme a quella dell'assessore Lillo Firetto, del preside Leonardo Manzone, del critico Salvatore Ferlito e della prof. Agata Gueli. Enzo Siciliano non ha deluso certamente le attese: non è un caso se è uno dei maggiori scrittori contemporanei. Con gli studenti si è parlato del suo ultimo romanzo («Non entrare nel campo degli orfani», edito da Mondadori) e del suo modo di intendere la letteratura e la cultura. Siciliano è entrato in polemica con l'uomo che è attualmente il mostro sacro della letteratura italiana, quell'Andrea Camilleri campione di vendite che è nato proprio a due passi dal luogo in cui si è svolta la sua conferenza. «Con tutto il rispetto per Camilleri – ha detto Siciliano – credo che lui faccia un uso del dialetto offensivo. Lo usa per fare distinzioni di ceto come accadeva nei circoli per fare la distinzione tra il notabile ed il cafone. Non ha realtà è il limite della irrealtà. Fermo restando che questo nel gioco comico di Camilleri va bene. Ma io non accuso Camilleri, ma un certo uso del dialetto che si fa». Siciliano è legato alla Mondadori ma non sembra particolarmente felice del legame. La circostanza è apparsa chiara quando il prof. Zino Pecoraro gli ha chiesto degli scrittori impegnati alla maniera dei Pasolini anni Settanta. Enzo Siciliano ha citato Leonardo Sciascia: «Sono uno scrittore impegnato con me stesso».

Critica sulla presa di Macallè di Stefano Malatesta (La Repubblica 15.10.03)

Gli scrittori stanno sempre a rimestare la sabbia di Vigata (Porto Empedocle) o facendosi largo tra i pescatori di Sciacca. E questo avviene non perché si scrive bene solo di cose che si conoscono bene, ma per una sorta di coazione, forse perché l´isola non corrisponde pienamente a tutta la magnitudine dell´amore che i siciliani dicono di portarle e li tradisce. Di fatto una buttana, parola chiave nel linguaggio siciliano ../..

La presa di Macallè dovrebbe appartenere al filone storico. Ma fin dall´inizio appare come un testo così anomalo rispetto alla produzione abituale di Camilleri, da annullare qualsiasi paragone o incasellamento. Per dirla in breve, mi sembra che Andrea si sia imbarcato in un genere difficilissimo, quello del romanzo di scrittura, in cui le vicissitudini di un ragazzino di sei anni, forse pensato dall´autore come un simbolo dell´infanzia sensibile e immacolata, tradita dalla infamia degli adulti, ma che invece appare al lettore come uno gnomo sornione e vizioso, in possesso di una sessualità e di attributi assolutamente fuori del comune, vengono raccontate in una prosa tecnicamente mezza siciliana mezza inventata, che si trasforma in una sorta di delirio verbale, in stretta colleganza con le disavventure erotiche in cui il pupo sembra cadere senza alcun rimpianto

La contemporanea presenza di una forte componente grottesca, dovuta al fatto che la storia si volge durante il regime fascista, in particolare nel periodo della conquista dell´Etiopia, con tutti gli annessi e connessi che conosciamo, carica il libro di troppe opzioni, tutte forti, che contrastano tra loro, dando come un respiro affannoso alla vicenda, disagio che si trasferisce al lettore. Il risultato, come avrebbe detto Moravia, è una pignoccata: troppo roba, tutta speziata, profumata, zuccherata, messa insieme in uno spazio ristretto. Leggendo certi passaggi del libro, ad esempio quello in cui l´insopportabile pomicione di un ragazzino avvicina e poi fornica con la cugina più grande di lui, ho avuto l´impressione di un tradimento letterario. Chi ha scritto queste pagine che sembrano brani di modelli di scrittura da flusso di coscienza erotico-pornografico-gargantuesco, è proprio Camilleri, lo sceneggiatore principe, con un magnifico curriculum di romanzi elaborati in lingua ragionevolmente innovativa, senza perdere di vista la misura e il buon senso letterario e puntando sulla qualità intrinseca delle storie. Ben sapendo che molti hanno tentato di raggiungere il capolavoro attraverso lo stravolgimento della scrittura, fino alla sua negazione come linguaggio comprensibile. Ma a pochi o a nessuno il tentativo è riuscito, a cominciare da Horcynus Orca, mito e leggenda della letteratura siciliana, che andrebbe meglio definito come un glorioso fallimento. Mi è capitato, qualche volta di assistere in Sicilia, alla lettura di alcuni brani, particolarmente felici, del romanzone di D´Arrigo. E mi sono accorto che esiste ancora, in Sicilia come altrove, un´ammirazione acritica di questi romanzi sperimentali, una volta considerati come la sola, vera gloria della letteratura moderna. Come se, per innalzarsi ai rami superiori della narrativa, fosse necessario dimostrare di essere capaci di una sperimentazione verbale, tanto più apprezzata, quanto più fuori di controllo. È stata una vera sorpresa vedere Camilleri prestarsi a un´impresa letteraria che sarà stata divertente da scrivere, soprattutto nelle parti in cui si lascia libera la fantasia di ritornare a un´infanzia sognata e come immersa in un erotismo casalingo e onnicomprensivo. Ma risulta molto meno divertente da leggere. Una delusione mitigata dall´assoluta convinzione che Camilleri, per questa sua divagazione, ha sprecato un centesimo o un millesimo del tempo che un altro autore avrebbe dedicato al romanzo. E che è di nuovo pronto a scrivere altri libri di qualità, come ha sempre fatto, senza castigare chi lo segue da anni.




Last modified Wednesday, July, 13, 2011