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Un'infanzia da sillabario. Il fascismo secondo Camilleri

di Simona Demontis

È normale che la critica, per comodità, faccia distinzioni didascaliche fra i romanzi “gialli” e i romanzi “storici” di Andrea Camilleri. Se in qualche modo la struttura dell’indagine affiora in pressoché tutti i narrativi dell’autore, appare evidente che la Storia sia sempre presente, sia che si tratti della cronaca quotidiana (è noto l’impegno civile dell’autore) che di storia del passato. La priorità dello scrittore sembra comunque essere lo spunto narrativo, piuttosto che la collocazione temporale, dal momento che molte delle vicende ottocentesche non potrebbero svolgersi in tempi odierni per ovvi motivi (Un filo di fumo, La stagione della caccia, Il birraio di Preston, La concessione del telefono, La scomparsa di Patò).

Camilleri utilizza il periodo storico della sua infanzia e adolescenza piuttosto raramente e in modo ancor più sporadico attinge ai propri ricordi di vita vissuta per trarne materia narrativa: anche ne La presa di Macallè il materiale strettamente autobiografico si riduce ad alcuni spunti: alla partecipazione del piccolo Camilleri, in qualità non di abissino, alla infantile e glorificante ricostruzione della presa di Macallè, effettuata nello stadio di porto Empedocle; e ad un ulteriore aneddoto citato più volte dall'autore, che risale appunto al 1935: mosso dalla martellante propaganda a favore della guerra in atto, l'appena decino Camilleri scrisse al duce offrendosi volontario, ma ottenendone un ovvio quanto compiaciuto diniego. È probabile che anche riguardo al mestiere del perseguitato politico Camilleri si sia ispirato ad un episodio autobiografico. Infatti ne La testa ci fa dire e ne La linea della palma ricorda che a Porto Empedocle c’era proprio un sarto, Turiddu, piuttosto abile che, a causa della sua fede comunista, veniva ritualmente arrestato

Oltre che nell’Ottocento, Camilleri ha fatto anche un’incursione nella Sicilia sei-settecentesca, costituita dal monumentale Re di Girgenti; meno spesso si è occupato di altri periodi oltre la stretta contemporaneità, ma non mancano racconti in cui, per un motivo o per l’altro, si faccia riferimento, anche superficialmente, al periodo fascista e a quello della seconda guerra mondiale. Tra essi il più significativo, per questo lavoro, è Un diario del '43, in qualche modo un’anticipazione della vicenda cardine del discusso La presa di Macallè: il protagonista, infatti, è Carlo, un quindicenne che imbevuto di nazionalismo compie una strage che rimane impunita. A differenza di Michilino, però, il ragazzo si rende conto dell’enormità del suo gesto e si suicida per il rimorso. Anche ne La bolla di componenda si può rintracciare un episodio che prelude a La presa di Macallè: Tano trucida l’assassino del figlio senza remore, perché ritenendolo un porco lo ha ammazzato come tale, cioè gli ha rubato la vita; intendendo letteralmente la metafora, così, è convinto, grazie alla bolla di componenda, di poter ottenere il perdono divino. Similmente, Michilino si sente definitivamente autorizzato ad uccidere il povero Alfio quando il padre gli dice che i comunisti sono come animali e ad ammazzarli non si fa peccato, acquietando quindi il suo fervore religioso.

La presa di Macallè per il suo argomento scabroso, il linguaggio esplicito, le descrizioni senza sottintesi si è attirato molte critiche anche da parte di lettori affezionati. Colpisce anche, in questo romanzo, l’assenza di qualunque varco di speranza e l’assoluta mancanza dei siparietti umoristici che Camilleri ha offerto abitualmente ai suoi lettori. Il clima è, viceversa, sempre cupo e asfittico e si respira una tensione che non può che preludere alla tragedia. Il tratteggio dei personaggi può interpretarsi in chiave espressionistica: ognuno di essi, persino le vittime, mostra comportamenti esasperati, incontrollati, abnormi, animaleschi. Inteso in senso allegorico il romanzo rappresenterebbe la degenerazione di un sistema politico attraverso l’annullamento dell’umanità nei singoli individui per fare posto ad un’aberrante bestialità.

Questo libro di Camilleri è una lezione di storia, dal momento che gli aspetti del regime fascista fanno da irrinunciabile contesto e vengono vagliati e affrontati tutti: la politica interna ed estera; l’espansione coloniale; la gestione delle organizzazioni di massa e la propaganda; l’economia autarchica; la repressione nei confronti dei dissidenti; i rapporti di connivenza con la Chiesa cattolica. Tutto visto attraverso gli occhi di un bambino ingenuo e credulo con una tecnica a tratti iperrealista.

Il clima culturale viene accuratamente ricostruito attraverso le canzoni d’epoca e le letture infantili del periodo, fra le quali spicca il libro Cuore, la cui retorica post-risorgimentale ben si adatta al periodo fascista. Pur avendo entrambi per protagonisti dei bambini, l’edificante libro Cuore e il cinico La presa di Macallè sono tuttavia due libri antitetici, a partire dalla connotazione geografica fino alla raffigurazione dei personaggi adulti e bambini. Al paternalismo umbertino e al patronage perbenista dell’uno si oppongono l’autoritarismo e la prevaricazione dell’altro; al tentativo non sempre riuscito di recupero degli elementi di disturbo (Franti), si contrappone l’emarginazione di figure potenzialmente pericolose (Alfio Maraventano e il padre), valutate non in base al proprio comportamento, ma in virtù dell’appartenenza politica.

Tra le pagine del libro traspare chiaramente come il regime avesse saldamente in mano il controllo delle istituzioni scolastiche e delle organizzazioni giovanili (anche entrando in contrasto con la Santa Sede), al fine di manipolare le coscienze degli italiani fin da piccoli e condizionarli al rispetto dello Stato fascista. Fondamentale la ritrovata conciliazione con la Chiesa che fu spesso complice connivente del fascismo, in particolare durante la guerra, quasi una crociata, contro gli abissini, con il pretesto della civilizzazione dei selvaggi e del dovere di evangelizzazione e apostolato cattolico fra i pagani. Gli ecclesiastici presenti nel volume equiparano i nemici del duce a quelli di Cristo e forniscono a Michilino una formidabile giustificazione al suo operato.

Michilino non ha la responsabilità delle sue azioni: si comporta come Dio, Patria e Famiglia gli hanno indicato e imposto: il bambino che ritiene impossibile che san Calorio, un uomo di colore, quindi un selvaggio, possa essere proclamato santo, crede di ottemperare al proprio dovere di cristiano e di fascista assassinando un coetaneo presunto sovversivo, in quanto figlio di un comunista.

Il fascismo si nutre della mitizzazione dell'esperienza bellica e assume il linguaggio militaresco anche in ambiti estranei ed impropri (la battaglia del grano, la lira a quota 90), glorifica i morti trasformandoli in martiri e sfrutta il mito dei soldati caduti in guerra, creando cimiteri monumentali e statue commemorative. Nel libro di Camilleri, la rielaborazione scenica della presa di Macallé, allestita nel campo sportivo dal capo locale dell’Opera Nazionale Balilla per celebrare degnamente un sabato fascista, vorrebbe proporsi appunto come una sorta di sacra rappresentazione, che simboleggia pienamente il patto fra lo Stato e la Chiesa, ma si tramuta in una furiosa rissa che scivola involontariamente, ma inevitabilmente, nel ridicolo di una farsa.

Nel ricercare le origini dell’atto estremo commesso da Michilino, non si può trascurare anche un’altra componente e cioè il miscuglio di sentimenti che il bambino prova nei confronti di Alfio. Al disprezzo che sente a priori per il suo compagno, in quanto figlio di un antifascista, si unisce il ribrezzo avvertito appunto nei riguardi di costui, che oltretutto gli si rivolge in modo volgare e offensivo. Per Michilino è fin troppo facile associare il sudiciume delle strade e delle case diroccate, trasformate in latrine, del quartiere dove vivono i Maraventano (dove non brilla certo il sole dell'avvenire) alla sozzura morale degli avversari politici, senza Dio, disfattisti senza spirito patriottico, senza etica, senza valori, così come aveva assimilato a casa e a scuola. A ciò si aggiunge pure la rabbia e l’umiliazione per essere stato pubblicamente battuto nella lotta da un rivale reputato indegno.

Il bimbo è vittima della logica della repressione e dell’intolleranza che si respirava nel ventennio, in cui l’avversario politico veniva non solo perseguitato, ma soprattutto delegittimato e calunniato: l’artigiano Maraventano, in quanto comunista, è quindi un ubriacone senza voglia di lavorare, che incolpa il governo della sua miseria; è un padre snaturato, che non si prende cura della sua stessa prole, contravvenendo all’istinto naturale, posseduto financo dalle bestie, di provvedere alla sopravvivenza della specie; è un assassino, che addirittura uccide il proprio figlio per qualche recondito motivo, frutto di una mente contorta, che partorisce ragionamenti abortiti, incomprensibili per la gente perbene.

La tecnica plagiaria del fascismo tendeva a individuare nel vigore fisico anche un’accertata superiorità, ad associare quindi la virilità al potere politico; ad accoppiare la fertilità, orgogliosamente dimostrata con l’ostentazione dei fiocchi celesti e rosa dei nuovi nati, con una fatale supremazia. Le immagini fotografiche e le riprese cinematografiche del duce, sovente a petto nudo, “valente trebbiatore”, boxeur, intento alla corsa, ampiamente diffuse dalla stampa e dai cinegiornali, concorrevano alla formazione di uno stereotipo sessuale alquanto inusuale nell’immaginario di un’Italia inibita e fortemente soffocata dalla Chiesa cattolica, per definizione repressiva in tale materia. Le conquiste sentimentali, o piuttosto le imprese meramente amatorie, sbandierate da Mussolini, in contrasto con la riservatezza della vita privata di Hitler, lungi dal minare l’istituto familiare, avevano la funzione di esibire una vitalità incontenibile, allusione alla continuità con quella stessa energia che nel periodo risorgimentale aveva prodotto l’inarrestabile rincorsa verso l’unità e l’indipendenza del Paese.

Il rapporto fra eros e potere è evidente nel corso di tutto il volume: Marietta si lascia sedurre da Balduzzo dopo averlo visto passare nell’irresistibile divisa militare, quasi ipnotizzata dallo sguardo magnetico del giovanotto, che percepisce identico a quello di Mussolini. Giugiù Sterlini più di una volta associa gli attributi virili alle capacità militari e di comando e racconta alla scandalizzata moglie Ernestina, con un compiacimento tutto maschile, l’effetto di sovreccitazione prodotto dal capo del governo sulle donne ‘continentali’. Michilino, giocando con un carro armato giocattolo finisce per sbirciare involontariamente sotto la gonna della vedova Sucato, con cui ha un inconsapevole approccio erotico, in una scena che è quasi una rappresentazione dell’uomo-torpediniera e della donna-golfo di Marinetti. La vigliacca seduzione da parte del professor Gorgerino avviene infatti quando questi si rende conto del turbamento provato dal bambino nel sentire i discorsi dei rappresentanti dell’autorità e del duce in particolare. Al di fuori della sfera politica, infatti,  le azioni carnali sono percepite da Michilino come una cosa volgare, vastasa, indegna di un soldato di Cristo e del Duce. Sintomatico l’atteggiamento di ripulsa al pensiero che anche la madre avesse gli organi sessuali o nei confronti delle oscene avance del pedofilo ansante e pagante nell’oscurità della sala cinematografica.

Il piccolo protagonista del romanzo di Camilleri non prende certo parte alla schiera conformista dei borghesi indifferenti, nutrita di povertà intellettuale e cinico convenzionalismo, disposta ad una adesione formale e opportunista piuttosto che ad un assenso esaltato e partecipe. Né aderisce al gruppo dei presunti dongiovanni isolani, i quali subiscono l’invadenza dell’erotismo in una rappresentazione grottesca, farsesca e un po’ cialtrona del “gallismo” fascista. Michilino si presenta, piuttosto, come interprete ideale di una lettura “genitale” del potere: la connessione tra esibizionismo sessuale e fascismo, inevitabilmente, richiama alla memoria Eros e Priapo, il feroce pamphlet con il quale Carlo Emilio Gadda ha inteso ridicolizzare l’uomo che per oltre vent’anni ha tenuto in pugno la nazione.

Se Camilleri, attraverso un racconto inventato come La presa di Macallè, si scaglia indirettamente contro il fascismo, Gadda con Eros e Priapo fa accuse dirette, anche se tardive, al regime e soprattutto al duce, il quale, per ulteriore sfregio non viene mai citato con il suo nome, ma solo con epiteti dispregiativi se non scurrili: ecco quindi il “Bombetta”, il “mascelluto”, il “mortuario smargiasso”, il “parolaio da raduno” il “Gran Pernacchia” e via discorrendo. Il suo libello come di consueto incompiuto, perse per strada le ambizioni di trattato, non si propone come biografia di Mussolini, ma come una testimonianza o meglio un’invettiva nei confronti delle devastazioni operate dalla dittatura, colpevole di aver trasformato l’Italia in un manzoniano vaso di coccio in mezzo ad altre nazioni forti come vasi di ferro. Gadda argomenta gli stessi temi affrontati successivamente da Camilleri: il fascismo è responsabile di innalzare l’attività sessuale a canone, a paradigma e a sistema di vita; di indurre all’identificazione tra la potenza sessuale e l’autorità politica attraverso la propaganda, complice il fatto che la voce esaltata dagli amplificatori si staglia prepotentemente distinguendosi dalla massa, diventando un potente richiamo sessuale,  mezzo di conquista,  strumento di regno; di solleticare nelle deboli e influenzabili femmine i più bassi istinti animali e di indurle al tradimento mentale, se non carnale dei propri mariti; di aver mandato al massacro masse incolpevoli e manipolate fin dall’infanzia.

Molta parte della critica ha individuato in Gadda uno dei possibili “padri putativi” di Camilleri, fin dai primi libri da lui pubblicati, soprattutto riguardo alla varietà dei registri linguistici e alla dissacrazione del romanzo ‘giallo’. Il sottotitolo di Eros e Priapo, da furore a cenere, che ben si appropria al rogo della casa e della famiglia di Michilino che costituisce la tragica conclusione del romanzo del narratore siciliano, non fa che alimentare le somiglianze fra due autori per altri versi agli antipodi.

 

(Sinossi dell'intervento al Seminario Lingua, storia, gioco e moralità nel mondo di Andrea Camilleri, Cagliari, 9 Marzo 2004)



Last modified Saturday, July, 16, 2011