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Stelvio con il Maestro Muti



Stelvio Mestrovich, Venezia rosso sangue, Dario Flaccovio editore, 2004, pp.202, € 13,00.

Per certi autori la biografia è importante, per altri è fondamentale il curriculum vitae. In quello di Stelvio Mestrovich leggiamo che nel 200 ha fatto porre, a spese del Comune, una lapide sulla facciata della casa in Gottweihergasse n.1 a Vienna, in ricordo di Antonio Salieri, è consulente e critico musicale del’Associazione Legnano 1750-Antonio Salieri di Verona, e membro dell’Associazione Mozart Italia di Rovereto. Gli scenari, i dialoghi, le considerazioni di questo romanzo risentono favorevolmente di questa “cultura alta”, le descrizioni si tingono di profonde, appassionate tinte forti: “Fin dall’ingresso, assai prima della scalinata, affreschi resi incompleti dal tempo accompagnavano l’occhio del visitatore in una overture artistica e architettonica che già faceva pregustare un’opera ricca di piacevoli sorprese. La sala della musica, magnificamente decorata da Palma il Giovane, possedeva tra i suoi tesori una spinetta veneziana del Settecento, un’arpa e un forte-piano. Nella biblioteca, rari manoscritti musicali, uno dei quali attribuito addirittura a Benedetto Marcello”. Accompagnati dalle note e dagli sfarzi di queste suggestioni, l’autore ci conduce in un romanzo composto da due storie, due polizieschi. L’ispettore, Giangiorgio Tartini, guardacaso “discendente del celebre musicista istriano”, ci inebria, letteralmente, di bellezza e di autenticità. Una Venezia vista dal basso con il suo dialetto e il filo doppio col turismo, l’insofferenza e l’impossibilità di prescindere dai vaporetti stracarichi di giapponesi, tedeschi o canadesi che si affannano, forse inutilmente, a cercare di carpire l’anima autentica di Venezia. Entrambi i delitti del romanzo sembrano infatti una sorta di scusa che l’autore adotta per regalare a se stesso e a noi lettori le immagini più care, gli scorci imprevisti, la maestosità sottratta alla massa vociante, i silenzi delle nebbie, la cultura che trionfa, nella gelosa volontà di non farla sprofondare, di una Venezia da sogno. E’ lo sforzo enorme, stoico, di un ispettore che deve sdoppiarsi tra una burocrazia indispensabile alle routine del suo lavoro e la folle ammirazione di visioni d’altri tempi che si impongono massicciamente, nell’impatto potente e diretto della bellezza e della storia. Quindi, in punta di piedi, avviciniamoci col dovuto rispetto, magari mettiamo un sottofondo di musica classica, facciamo penombra tirando la tenda, un calice di bianco posato vicino a noi, indossiamo qualcosa di comodo - e, se il lettore è donna, consiglio una vestaglia o qualcosa che abbia a che fare con vecchie camicie da notte, trine, merletti e profumo di violette… Non dovrebbe mancare un gatto, nel romanzo abbondano, accovacciato rigorosamente ai nostri piedi o al massimo accucciato sulla poltrona di fronte a noi. E diamo, soprattutto, tempo al tempo, riapproviamoci di Venezia e della sua peculiarità. Il primo, raccapricciante delitto, è quello del povero Don Augusto, parroco di San Rocco. “Ucciso nel suo confessionale per i colpi infertigli al cranio con un pesante Cristo di ferro”. Le indagini, affidate al nostro ispettore, lo dirigono dove il serial killer, come tale traspare, vuole: un biglietto da visita, lasciato appositamente per indirizzare le indagini e i relativi depistaggi. Il secondo delitto, nella Chiesa di santa Fosca, del suo parroco, don Pilade, ovviamente ucciso anch’egli con un pesante Cristo. “Due le tavole, tre i padri”, recita l’indizio del mostro. "Tre sono i padri, due sono le tavole del patto, uno è il nostro Dio, che è in cielo e in terra”. E’ l’inizio di una composizione ebraica, di autore ignoto. Il titolo è “Chi sa che cosa è Uno?”, e pone tredici domande, racchiudendo in ciascuna risposta il riepilogo di quelle precedenti. Si teme che il serial killer voglia percorrere la strada della sistematicità, attenendosi alla numerologia che tanto colpisce questo genere di criminali. Don Luigi, il prevosto, giaceva in una pozza di sangue, e il messaggio, un ridicolo ritornello infantile, che nel contesto fa rabbrividire ancora di più, recita: “Non mi fermerete, Tartini e Rossetti perché i miei delitti sono perfetti. Che vi svelo senza timore che sono opera di un morto tanto è impossibile che pur insieme mi facciate torto.” “Un poetastro non privo di cultura, però…” pensò l’ispettore. Non arriverà a tredici, cari lettori, non ci arriverà perché lo fermeranno e perché certe affermazioni trapelate da un bigliettino farneticante saranno più che sufficienti a indirizzare le indagini nella direzione giusta, e perché una spontanea confessione, anche senza pentimento, ci permetterà di sciogliere il mistero. Un mistero legato alle campagne, al lavoro duro, spesso massacrante, di certe vallate venete quasi isolate dal mondo. Nel secondo delitto indossiamo sul serio abiti consoni ai luoghi e agli ambienti aristocratici nei quali stiamo per mettere piede. I jeans e il linguaggio scurrile, che pure sono rappresentati nella quotidianità, male si accostano a questa accolita di moralizzatori e di semplici appassionati d’arte, di musica, di eleganza. Qui il trait d’union dei delitti a scapito di prostitute è un libro : il libro di Veronica Franco, Le Terze Rime. Veronica Franco, cortigiana famosissima del Cinquecento, poetessa. Le vittime sono legate con “un filo di sinopia”, un particolare strumento di lavoro dei tappezzieri. Non vado oltre per non togliere il gusto della scoperta del colpevole. Affascinante, comunque, nel contesto, questo desiderio che spinge l’uomo a fermare il tempo degli ideali supposti come i migliori. C’è di che riflettere: come individui rappresentiamo una cultura dominante che non è riuscita ad armonizzare il presente con il passato, le nostre attuali conquiste non incarnano le squisite fatture di un’Italia disprezzata e rinchiusa nei suoi centri storici asfittici e da cartolina. Se coabitassero in noi, realmente, il passato e il presente, il nostro essere, la nostra appartenenza culturale, potrebbero sul serio modificare i destini della storia. Ma quale? Oggi solo la parola futuro, e in questo senso secondo me il romanzo si colloca, ci spinge a scappare nella parte più oscura del nostro cervello rappresentata dalla memoria: il presente lo usiamo solamente in maniera strumentale e non progettuale. Un riconoscimento a questo grande autore, a questo poeta dell’immagine, un ringraziamento delicato, come le sue opere. Un “paradisetto”, un dolce, a quanto pare sublime, che non so cosa darei per provare…

Daniela Bandini - Ottobre 27, 2004






Dopo aver letto Venezia Rosso Sangue di Stelvio Mestrovich è impossibile rinunciare all'idea di poterlo incontrare *pirsonalmente di pirsona*. L'occasione mi è data dall'evento:

LA PASSIONE PER IL DELITTO 2004 Giallo e noir negli scrittori italiani della nuova generazione Villa Greppi di Monticello Brianza (Lecco) Domenica 17 ottobre

Il giro di email e sms tra amici e conoscenti, per cercare di reperire compagni di viaggio, rimane purtroppo infruttuoso, quindi precetto il consorte.

Primo incontro della giornata – SPAGNA E SUDAMERICA Gli autori sono due anziché tre come da programma. Pedro Casals – L'intermediario – Addictions Paco Ignacio Taibo II – Sogni di frontiera (e la serie di H. Belascorán) – Marco Tropea Moderatori: Andrea Carlo Cappi e Sandro Ossola, scrittori

Pedro Casals, massimo autore spagnolo di bestseller internazionali. I suoi thriller sono ambientati nel mondo delle multinazionali. Il suo personaggio, Lic Salinas, non è autobiografico, infatti è diverso anche dal punto di vista della formazione intellettuale: lui è ingegnere, Salinas un avvocato. Casals ritiene che la scrittura consenta di vivere una vita diversa attraverso il personaggio che si racconta.

Paco Ignacio Taibo II, nato in Spagna ma vive in Messico, docente universitario, storico e giornalista. Autore molto noto e amato in Italia. Non parla dei suoi libri (più di 50) ma racconta aneddoti e storie con metafore. Grande fabulatore, il moderatore ha il suo bel daffare nella traduzione simultanea, ma spesso la platea comprende prima della traduzione, tanta è la veemenza oratoria e la mimica che si finisce per capire perfettamente lo spagnolo.

L'ultima domanda per entrambi: - Qual è oggi il ruolo della letteratura – Li trova divergenti e nasce quasi una divertente lite. Per Paco Ignacio la letteratura migliora la vita, è forse l'atto culturale più sovversivo, ed è forse l'unico spazio che produce pensiero utopico. Mentre Pedro Casals afferma che la letteratura non è una ong, può darsi che arrivi a migliorare la vita, ma non bisogna dimenticare che la scrittura è solitudine, diventa letteratura quando viene divulgata e letta.

Termina il primo incontro, cambio di scrittori al tavolo e pubblico in sala. Ne approfitto per un breve giro di ricognizione fra gli scrittori presenti. Nel crocchio delle avvenenti PR, intravedo Giuseppe Genna, mi avvicino e mi presento gli faccio le congratulazioni per la presenza del suo libro nella terzina finale del premio Franco Fedeli, è sorpreso, e quando mi paleso come membro del CFC tesse lodi e complimenti per il sito di www.vigata.org. Questa volta sono io felicemente sorpresa, perché anche tutti,i presenti conoscono il sito e concordano che è utilissimo e interessante per la quantità e qualità degli articoli,e con una rassegna stampa ampia e sempre completa.

Finalmente scorgo Stelvio Mestrovich fra il gruppo di scrittori, lo riconosco dal curioso vezzo di portare gli occhiali da vista sulla fronte. Distinto ed elegante, si dimostra sinceramente felice della nostra presenza.

Inizia la presentazione – Autori del Nord Est Piccola delusione, mancano tre autori. Pertanto al tavolo vi sono: Stefano Ferrio – Il profumo del diavolo – Marsilio Stelvio Mestrovich – Venezia rosso sangue – Dario Flaccovio Moderatore: Giacomo Airoldi, giornalista

Stefano Ferrio, giornalista e docente universitario all'università di Pavia. Si definisce uno scrittore gotico, per l'accentuazione delle atmosfere, non estranee alla terra da cui viene: il Nord Est. E' nato a Vicenza città di scrittori per antonomasia, ma non osa paragonarsi a Parise. E' una detective il personaggio del suo libro: Claudia Palombo, una giovane donna intrigante, affascinante e imprevedibile. La sua eccezionale capacità olfattiva non le consente solo di essere contesa da profumieri famosi, che non lesinano sul suo onorario, ma ne fa anche una preziosa consulente della polizia. Un giallo di ben 529 pagine.

E' la volta di Stelvio. Dopo le prime note autobiografiche,confessa alla platea di amare la scuola dei giallisti siciliani, Camilleri, Piazzese e di far parte del CFC. Un libro importante per lui è stato Anonimo Veneziano, da quel libro ha capito qual è la vera Venezia da amare. Infatti, la Venezia del suo libro, è diversa dalla Venezia romantica e turistica che noi abbiamo presente; è una Venezia misteriosa antituristica, inquietante, non una Venezia da salotto. E'novembre il mese adatto a Venezia, con la nebbia, triste, solitaria e malinconica come lo è il suo personaggio l'Ispettore Capo Giangiorgio Tartini, musicologo e musicofilo e appassionato d'arte, estroso, ma anche irascibile: vorrebbe che Venezia si liberasse dall'acqua alta, dai giapponesi e dagli americani. Tuttavia Tartini non è un personaggio tutto cervello e niente corpo, come Philippe Marlowe o Nero Wolfe, ma è un uomo sensibile, pieno di umanità, e amante delle belle donne. Stelvio ammette che il personaggio è molto autobiografico vi sono molte affinità e parallelismi e in lui si immedesima. Le storie del libro si svolgono in uno dei sei sestieri di Venezia: Cannaregio, il più caratteristico. Seguono letture di alcune pagine di libri degli scrittori assenti, mentre di Venezia Rosso Sangue viene letta la pagina iniziale: l'inquietante omicidio di un parroco.

Sono le 18 passate quando termina anche questo incontro. Salutiamo Stelvio, indaffaratissimo a firmare copie e promettiamo di rivederci quanto prima.

In un'altra sala vi è - Aperitivo con Giuseppe Genna – Ma per noi è tardi, *il Polesine è una terra lontana* Sul portone di uscita della villa quasi ci scontriamo con Andrea Pinketts, è assieme ad altri che non conosciamo, mio marito indicando l'orologio gli dice: - Ma è questa l'ora di arrivare? E lui divertito risponde: - Ci siamo fermati solo un attimo all'osteria degli alpini… :))

Luisa










Last modified Saturday, July, 16, 2011