Mini recensione
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Nino e Cris
:
E' diverso dai due precedenti
libri di Piazzese, perché è diverso il protagonista. Così come "I
delitti di Via Medina Sidonia" e "La doppia vita di Monsieur
Laurent" erano pieni della personalita, dei gusti, dell'autocompiacersi
del professore universitario Lorenzo La Marca, qui Palermo, i suoi abitanti,
la sua mafia, i suoi odori e sapori, sono visti attraverso le lenti del suo
amico commissario, Vittorio Spotorno, uomo sposato e fedele alla sua donna,
ai suoi
amici e ai suoi ricordi, malinconico nel senso buono della parola, anche lui
con qualche piccola paranoia da commissario.
Lorenzo La Marca fa simpatia, si fa guardare con benevolenza coi suoi tanti
vizietti e rituali da scapolo impenitente.
Spotorno invece te lo immagini come un amico vero, di quelli siciliani.
Una particolarità: la storia raccontata accade in
contemporanea con quella dei delitti di Via Medina Sidonia, ci sono alcuni
riferimenti, ma i libri sono del tutto indipendenti e possono essere letti
individualmente. Spotorno raggiunge la scena del suo delitto dopo essere
passato per quello del libro precedente e poco più.Inaspettatamente i ricordi
di una giornata al mare tanti anni prima,
quando il commissario era ancora un ragazzino, riaffiorano e diventano
importanti per capire cosa è successo.Ma non voglio raccontarvi nulla di più.
Vi riporto invece un passaggio, che non c'entra con la vicenda, ma che mi è
piaciuto in particolare. Qui il commissario è andato a trovare don Tano, che,
a dispetto del nome, non è un mafioso, ma un vecchio commissario in pensione
a cui Spotorno è molto legato.
Ecco cosa dice amareggiato Don Tano della nuova mafia:Vitto',
questi hanno più corna di un paniere di babbaluci; e sono peggio della mala
erba: più ne scippi e più ne spuntano dal terreno. Non ci può niente. Senti a
me: vatinni. Vattene. Cogliti la moglie e i figlioli
e portateli. Fatti trasferire in qualche piccolo commissariato di provincia,
in Umbria, nelle Marche. Qui tra poco si
scatena l'inferno. Ancora non hai visto niente. E a Roma le alte sfere non
capiscono un'emerita minchia. O, peggio, fanno finta di non capire,
specialmente se sono nostri corregionali. Loro badano solo a girare le nostre
tragedie in farse e le nostre farse in tragedie. Te lo ricordi quel cardinale
che diceva che la mafia era un'invenzione dei comunisti, e che il vero
problema era l'onore diffamato dei bravi cristiani timorati di Dio? E dire che veniva dal nord. Magari ci credeva
davvero, e i pezzi da novanta erano riusciti a convincere anche lui. Credi a
me, a Roma, con tutte quelle teste di legno il
vero problema sono i tarli: a furia di bacargli la
testa, lì dentro ormai non gli hanno lasciato più niente, nemmeno le cattive
intenzioni. Forse è proprio questa la vera essenza della così detta
sicilitudine. Io l'ho cercato sul dizionario. Non esiste. E' un vocabolo
virtuale. Un vocabolo coniato per definire una cosa che non si può definire.
Spotorno sapeva che erano solo parole. Il vecchio sarebbe rimasto molto
deluso se lui avesse seguito il suo consiglio e avesse abbandonato il campo.
Però, rifletté, non si sarebbe detto che, dal giorno del pensionamento don
Tano avesse smesso di leggere i giornali, con l'eccezione dei necrologi, come
pretendeva di far credere a tutti...
U Mastru: Mi intrufolo nella recensione di Cris per
dire la mia.
Bravo, ma se la tira, era stata la mia impressione leggendo i primi due
libri. Questa volta invece, mi sembra che Piazzese cerchi di coinvolgere di
più il lettore, scrivendo in maniera meno distante.
Non so se questo è provocato dal cambio di protagonista come pensa Cris, o da
un attacco di modestia dello scrittore.
Insomma, al contrario di Cris, non l'ho ancora finito, ma "a me mi
piace" più dei precedenti.
Roberto Mistretta :
Santo Piazzese, una delle voci più interessanti della letteratura
siciliana contemporanea, ha una grande capacità, quella di riuscire a
rinnovarsi ogni volta e così sviluppare intricate quanto avvincenti trame con
personaggi più che credibili, in quella metropoli semisconosciuta ed
affascinante che è Palermo, coi suoi vicoli e i panellari, le cupole e il traffico, il mare
e la sua gente.
In questo suo ultimo romanzo, "Il soffio della valanga", vincitore
dell'ultima edizione del Premio
Città di Bergamo, assurge a ruolo di protagonista il commissario Vittorio Spotorno,
già comparso in maniera defilata nei primi due romanzi di Piazzese, dove il
protagonista-investigatore era l'amico universitario Lorenzo La Marca che qui
torna in vari richiami.
Nel capoluogo siciliano è stato commesso un duplice
omicidio. Uno dei tanti. I
morti ammazzati sono un malacarne in ascesa, Gaspare, e Rosario Alamia, un
piccolo delinquentello, vecchio compagno di giochi del
commissario Spotorno. Ma mentre Gaspare è stato
letteralmente massacrato da una gragnola di colpi all'interno della 127, Rosario è stato
colpito da un solo colpo, alla tempia. Un colpo
letale.
Per il disincantato Spotorno, incontrare Maddalena, la sorella di Rosario, e
quindi l'anziana affranta madre, di professione sarta, equivale a compiere un
tuffo nel proprio passato di ragazzino, allorché con i compagni di gioco Rosario
e Diego, assistette al ritrovamento del
cadavere della vecchia maestra. Fu allora che Spotorno decise che avrebbe
fatto il commissario di polizia, quando
rimase affascinato da don Tano, il commissario che all'epoca coordinava i
rilievi sulla scena del
delitto. Lo stesso don Tano che adesso, ritiratosi in pensione con la fedele
Ersilia che gli prepara succo d'amarena e altre delizie caserecce, dà a
Spotorno l'imbeccata giusta per decifrare il delitto, prendendo ad esempio il
football americano e il rugby e i placcaggi preventivi. Imbeccata che però il
nostro non coglierà. E mentre
continua ad indagare sulla Dama bianca, una giovane dalla travagliata
personalità che per caso aveva incontrato una sera, mentre a piedi percorreva
la città, e che ha ritrovato in una foto tra i partecipanti al funerale del
malacarne in ascesa, che risulterà poi essere suo cugino, il
commissario Spotorno, affiancato dall'efficientissimo Saverio Puleo, tassello
dopo tassello pennella un quadro a tinte fosche. Un quadro ricco di
luci ed ombre cittadine, antichi tormenti e misteri familiari, rischiarato
fino alla soluzione finale dall'affascinante agente Stella, tipica bellezza
mediterranea la cui descrizione del
femmineo potenziale bellico, è solo un esempio dell'alta scrittura
di Piazzese.
"L'umore di Spotorno -scrive Piazzese- virava istantaneamente sul sereno
stabile tutte le volte che il suo sguardo intercettava la figura dell'agente
Stella, le cui architetture secretate dall'ufficialità dell'orario di
servizio, forzavano palesemente la volontà repressiva del
tessuto ostico ma regolamentare della divisa colore blu cobalto. Un
fotogramma fulmineo, a base di pizzi e veli, sferzò la mente di Spotorno a un
pensiero involontario: quel giorno, sotto la divisa, l'agente Stella doveva
indossare una combinazione nera, impalpabile come una tela di ragno. Deglutì un paio di volte a vuoto. Aveva
imparato a convivere con quegli improvvisi guizzi preterintenzionali che
spostavano sul versante incestuoso un rapporto che lui sentiva paterno".
Piazzese offre un singolare affresco di Palermo, città dove vive e dove
ambienta i suoi scritti, valorizzati anche dalla grande capacità di titolare
ad effetto i singoli capitoli che compongono l'opera, capacità che è propria
dei grandi romanzieri.
Elio Svettini:
….
Il professore, forse
pungolato da chi lo considerava divertente ma "dilettante", ha deciso di
fare sul serio. Ha messo a riposo il simpatico se-stesso La Marca ed ha tirato fuori
alcuni personaggi reali ed una storia fantastica ma molto più vicina alla realtà di una
cronaca giornalistica. I personaggi sono descritti con una precisione che supera la risoluzione
di 1600x1200 pixel. Sembra di vederli; anche se Piazzese non si attarda a
descriverli fisicamente, gli basta descrivere le azioni e farli parlare per
renderli vivi e visibili. Spotorno è Abatantuono e Puleo è quel ragazzo che
fa Fazio nei telefilm Montalbanici, mentre...beh, gli altri immaginateli voi.
La storia è una storia di mafia, d'amore, di morte, di passione e di ricordi.
Pressappoco perfetta. Piccole imperfezioni: le
epoche e le autovetture non combaciano perfettamente.
Ognuno rimane sulla scena per il tempo necessario per
valutarlo, soppesarlo, inserirlo nella storia e immaginarlo fisicamente.
La dama bianca. Una donna che ho
conosciuto! Perfetta. Identica
fin nei minimi dettagli ad una ragazza (adesso donna) da me conosciuta in passato.
Anche i riferimenti a musiche, cose, fatti e piante sono più delicati e non rappresentano più un elemento di sfoggio del sapere come la sensazione che avevo avuto dalla prima
lettura del professore.
Mi sono sentito amico dei protagonisti del libro ( e di Spotorno in particolare) come se fossi uno
dei personaggi minori della storia; un amico col quale parlare delle cose
accadute, magari davanti ad un "cataratto" delicato e fresco al
punto giusto. Una specie di tenero amore mi legava ad alcuni dei personaggi, grazie
al sapiente lavoro fatto dall'autore...
oi è arrivata la pagina -3 ed allora mi sono accorto che il fantastico vino che stavamo degustando era
finito. Erano rimaste le ultime gocce da far cadere nel bicchiere dando una
spremutina alla bottiglia. E sono rimasto nello stesso modo. Appagato da un
gran vino, ma deluso per la sua "prematura"
conclusione.
Grazie Professore. Ogni parola esposta è un concentrato di profumi, sapori e
sensazioni.
Ah, dimenticavo... con l'occasione ho letto anche il secondo dei libri con
"La Marca", da me interrotto a pagina 30 e l'ho trovato migliore della
prima sensazione avuta. Mi
sono addirittura divertito per tutte le informazioni "parallele"
fornite da Piazzese e per il suo delicato modo di prendere in giro i lettori. In conclusione, mi sembra che il nostro professore scriva per se
stesso ed in qualche attimo di magnanimità ci consenta di partecipare al suo
divertimento.
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