I romanzi che hanno come protagonista il commissario Montalbano sono: La
forma dell'acqua (1994), Il ladro di merendine (1996), Il cane di
terracotta(1996), La voce del violino (1997), Un mese con Montalbano
(1998), Gli arancini di Montalbano (1999) La gita a Tindari (2000) L'odore della notte (2001) e La paura di Montalbano (2002).
Montalbano
Camilleri non ci dà mai una descrizione fisica del suo commissario, salvo
dirci in "La voce del violino", 1997, che ha quasi 46 anni.
Se leggiamo con attenzione i libri che lo hanno come protagonista possiamo
però conoscere questo personaggio molto più da vicino di quanto non sembri a
prima vista.
Salvo Montalbano era uno scolaro "murritiusu", che studiava poco e sedeva
sempre nell'ultimo banco.
Rimase orfano di madre da piccolo; l'unico ricordo che ha della madre è la
luce dorata riflessa dai capelli di lei. Un giorno il padre lo portò nella
casa di una sua sorella senza spiegargli che la nonna stava morendo e la
madre si era gravemente ammalata; quando tornò a riprenderselo, vestito a
lutto, lui si rifiutò di seguirlo.
In " Il ladro di merendine" conosce Clementina Vasile Cozzo, una settantenne
su seggiola a rotelle, ex maestra elementare, intelligente e signorile, con
la quale entra subito in sintonia, tanto che prende
l'abitudine di andarla a trovare una volta la settimana, raccontandole
dell'inchiesta che ha per le mani. Tra loro nasce un sentimento filiale;
questa donna anziana rappresenta la madre che avrebbe voluto scegliersi.
Altre notizie sull'infanzia e giovinezza del nostro non ne abbiamo. Sappiamo
però che anche lui, prima di diventare commissario capo di Vigata fece la
sua gavetta; a 32 anni era vicecomissario e a ogni cambio di stagione lo
trasferivano da un paese all'altro per sostituire qualcuno o per colmare un
buco.
E' un uomo molto tradizionalista sotto certi aspetti, ma estremamente
progressista per tutto il resto.
E infatti ama le tradizioni : pensa con nostalgia alla trepidazione di
quando era piccolo e la mattina del due novembre si alzava la mattina presto
per cercare il canestro di vimini nel quale durante la notte i morti avevano
deposto i loro regali; la festa è oramai andata perduta e sostituita "dalla
banalità dei doni sotto l'albero di Natale". D'altra parte non regge i
rituali delle feste natalizie ed è convinto che una notte di capodanno
passata in un albergo con decine e decine di sconosciuti, a fingere allegria
durante il cenone e il ballo, gli provocherebbe la febbre.
Non sopporta tutto ciò che è burocrazia, per cui gli riesce difficile in
caso di delitto accettare di perdere tempo in attesa del giudice, del medico
legale, della Scientifica, che sono capaci di metterci ore prima di arrivare
sul posto. Così pure durante le conferenze stampe si trova a disagio, si
agita, diventa rosso, suda, non riesce a star fermo, si esprime balbettando
"con gli occhi sbarrati e le pupille che ballavano 'mbriache" (Il cane di
terracotta).
In "Il ladro di medendine" veniamo a sapere che non crede nel
soprannaturale.
Non lo si dice mai chiaramente ma si intuisce che è di idee politiche di
sinistra; è amico del giornalista di Retelibera, Nicolò Zito, "rosso di pelo
e di idee" e, quando alcuni operai del Cementificio vengono mandati in cassa
integrazione e scoppia una rivolta, lui non se ne vuole immischiare,
sostenendo che quelli che "restano col culo per aria sono gli operai"; e non
gli pare giusto prenderli anche a manganellate (La voce del violino). Nega
comunque di essere comunista e, in ogni modo, non vuole parlare di politica.
Sostiene piuttosto di provare simpatia, in un mondo di politici corrotti,
tangentari e ladri, per quelli onesti, indipendentemente dal loro colore
politico; anzi arriva a nutrire addirittura un senso d'affetto verso chi,
pur non pensandola come lui, è pulito e sinceramente convinto (Il cane di
terracotta).
E' un abitudinario. Per abitudine arriva al commissariato con una decina di
minuti di ritardo.
Quando rientra a casa la sera, quasi meccanicamente accende il televisore e
si guarda il notiziario sulle due televisioni locali, Televigata e
Retelibera
Ogni domenica compera un giornale di economia che immediatamente butta
perché non ci capisce niente, conservando le pagine culturali che legge la
sera a letto prima di dormire.
Rifiuta sistematicamente una promozione che lo allontanerebbe da Vigata,
perchè la sola idea di un trasferimento e di un cambiamento di abitudini gli
fa venire qualche linea di febbre.
Due o tre volte la settimana, quando vuole pensare meglio o prendere un po'
di aria buona, si concede una passeggiata lungo il molo di levante, fino al
faro o sulla spiaggia ovest, che è sempre deserta. Prima però acquista
presso lo squallido negozietto, "la putìa", di Anselmo Greco, calìa e
semenza, cioè ceci abbrustoliti e semi di zucca salati; a volte compera
anche noccioline americane.
Sappiamo che fuma, ma su questo fatto Camilleri sorvola.
Detesta andare dal barbiere per il taglio dei capelli e vedersi negli
specchi con l'espressione inevitabilmente ebete che ognuno assume in
quell'occasione.
Vive il rapporto con il proprio corpo con semplicità, senza inutili pudori.
Il suo abituale costume di spettatore televisivo è canottiera, mutande e
piedi nudi; in casa spesso sta nudo, oppure esce dalla doccia e si piazza
davanti alla televisione "nudo e gocciolante", né si fa problemi ad aprire
la porta in costume adamitico.
Il paesaggio della sua isola che più gli piace è quello delle colline arse
dalla siccità e che non ricordano più la mano dell'uomo, interrotte qua e là
da grigie rocce e da poche case di pietra messe di sghembo "quasi che
avessero fortunosamente resistito a una violenta sgroppata della terra che
non voleva sentirsele sopra"; è la Sicilia "aspra, di scarso verde, sulla
quale pareva impossibile campare e dove ancora c'era qualcuno, ma sempre più
raro, con gambali, coppola e fucile in spalla, che lo salutava di sopra la
mula portandosi due dita alla pampera".
Assapora con voluttà sapori e odori della sua terra; così lo troviamo di
notte, dopo una lunga giornata di lavoro, viaggiare lento, mentre dai
finestrini dell'auto aperti gli arrivano gli odori di una notte di mezzo
maggio, ventate di gelsomino dai giardinetti delle ville alla sua destra,
folate di salmastro dal mare a sinistra ( Un mese con Montalbano).
Non è certo un uomo tranquillo, di quelli che si adattano alle circostanze e
alle persone. E' di umore fondamentalmente instabile, basta poco per
innescare la miccia e farlo infuocare.
Anzitutto è meteoropatico, caratteristica che ha ereditato da parte di
madre, che spesso si chiudeva in camera da letto per la cefalea e non
tollerava il minimo rumore. Un tempo variabile fa si che anche il suo
cervello cambi continuamente opinione: se, a causa di una forte libecciata,
il mare arriva fin sotto la verandina della sua casa, lui, che si sente in
pace con sé stesso solo quando può arrostirsi al sole, diventa "nivuro come
l'inca"; se invece è una mattina tersa e chiara, si sente disponibile a
ogni situazione e a ogni incontro.
L'umore nivuro comunque lo accompagna spesso.
E' nervoso quando deve viaggiare in uno scompartimento a due letti, il che
per lui significa una nottata intera da passare con uno sconosciuto in uno
spazio più soffocante di una cella di isolamento ( Un mese con Montalbano).
E' nervoso quando fatica a veder chiaro in un'inchiesta e allora si mette a
"tambasiare" a casa sua; girella cioè di stanza in stanza senza uno scopo
preciso, occupandosi di cose di scarsa importanza., come riordinare la
scrivania o pulire i fornelli del gas; gli capita persino di non avere
appetito e di non aprire neppure il frigorifero per vedere quello che
Adelina gli ha preparato (La forma dell'acqua).
Oppure si vuole "accuttufare", che significa tanto essere preso a legnate
quanto allontanarsi dal consorzio civile; in certi momenti per Montalbano
sono validi tutti e due i significati.
E' nervoso quando dal commissariato arriva una telefonata che lo sveglia,
notte o giorno che sia; allora si alza "santiando" e guida verso Vigata
dicendo parolacce a tutti gli automobilisti che incrocia "i quali, a suo
parere, col codice della strada, per un verso o per l'altro, usavano
puliziarsene il culo". Però (Il ladro di merendine) quando si sveglia alle
quattro del mattino per cercare un libro che può aiutarlo nell'indagine e
ricorda di averlo prestato a Mimì, non si fa scrupolo di telefonargli,
svegliarlo e obbligarlo a riportarglielo immediatamente.
Quando è nervoso, i suoi uomini preferiscono tenersi alla larga; solo Fazio
ha il coraggio di avvicinarlo.
Per calmarsi a volte si siede sulla verandina di casa sua, che dà sulla
spiaggia, e, guardando il mare si fuma tre sigarette di fila Oppure se è in
ufficio e non ce la fa più a restarsene lì seduto, passa a comperare il
solito grosso sacchetto di "calìa e simenza", che sgranocchia avviandosi
verso il molo.
Durante un interrogatorio (Il cane di terracotta), per dominare l'impulso di
spaccare la faccia con un pugno all'interrogato, fissa la penna a sfera che
tiene in mano, si concentra sul cappuccio, l'estrae, lo esamina dentro e
fuori come se non l'avesse mai visto prima, soffia nella parte interna del
cappuccio per pulirlo da un invisibile granello di polvere, lo guarda di
nuovo, non soddisfatto vi soffia ancora, lo posa sulla scrivania, svita la
punta di metallo, ci pensa su un po', la sistema a lato del cappuccio,
esamina la parte centrale che gli è rimasta in mano, l'allinea vicino agli
altri due pezzi, sospira profondamente.
Possiede una buona cultura umanistica Spesso luoghi o situazioni gli
suggeriscono ricordi letterari. Coltiva raffinate letture. Possiede il
Faust e presumibilmente l'ha letto, nella versione di Manacorda. Ha letto
Proust, Musil, Melville, Simenon. Conosce il poeta inglese Dylan Thomas e
cita Saba. Ha letto "Storia della morte in Occidente" di Ariès. Tra i
siciliani gli piacciono Consolo e Bufalino, ma detesta leggere libri che
parlano di mafia.
Conosce i dipinti di Peter Bruegel e di Hieronymus Bosch.
I suoi passatempi preferiti sono due: mangiare e nuotare.
Adora mangiare se è cucinato bene, seppur con semplicità. In casa si affida
"alla fantasia culinaria ma gustosamente popolare" di Adelina, la vecchia
domestica; quando apre il frigo o il forno, è trepidante e cerca il pasto
che Adelina gli ha preparato come fosse una sorpresa.
Spesso va in trattoria, all'osteria San Calogero, dove lo rispettano, non
tanto perché è il commissario, quanto perché è un buon cliente, un
intenditore della buona cucina.
Gli piace mangiare da solo o, se in compagnia, in perfetto silenzio.
In "La voce del violino" per evitare che gli squilli del telefono gli
turbino la serenità indispensabile per preparare gli spaghetti con la salsa
corallina di Adelina, stacca la spina.
In "Il ladro di merendine" porta alla bocca il primo boccone, ma non lo
ingoia subito; lascia che "il gusto si diffonda dolcemente e uniformemente
su lingua e palato, che lingua e palato si rendano pienamente conto del dono
che viene loro offerto".
Nello stesso romanzo, per sottrarsi a un pranzo mal cucinato, si inventa un
impegno urgente e subito dopo si ferma a una trattoria in riva al mare.
Nuotare è un esercizio che lo rigenera in qualsiasi circostanza, sia quando
è stanco dopo una nottata di veglia, sia quando ha dormito troppo; se ha un
caso che non riesce a risolvere, una nuotata gli schiarisce le idee. Non
importa se l'acqua è gelida, comunque una nuotata "lo rimette in vita".
E' incapace di mentire alle persone che stima e che considera oneste, mentre
davanti ai delinquenti o a gente che non rispetta sa inventarsi le fandonie
più inverosimili. E infatti al commissario Sciacchitano, che non ha mostrato
considerazione per i suoi uomini, Montalbano mente senza pudore,
inventandosi che il questore ha scritto al ministro per lamentare i metodi
da lui usati (Il cane di terracotta).
E sa anche ricattare: perché è ricatto quello che perpetra ai danni del
suocero di Ingrid (Il cane di terracotta), che abusa della nuora, facendogli
recapitare fotografie particolari e minacciandolo di spedirle ai giornali.
E' vendicativo; quando gli viene ingiustamente tolto un incarico, si
vendica, cercando di creare problemi a chi l'ha sostituito; giustificabile
dal punto di vista professionale, in quanto lui avrebbe condotta meglio
l'inchiesta, molto meno dal punto di vista umano.
Sa di possedere il sangue di sbirro, quell'istinto della caccia che lo porta
a non dormire se c'è qualcosa che non gli quadra; in tali circostanze
qualsiasi cosa faccia, leggere un libro o guardare il mare, non riesce a
concentrarsi, continua a pensare a che cosa non quadra. In "La voce del
violino" la vista della Twingo e della villetta con le finestre chiuse lo
mettono a disagio; così, spinto da un'intuizione che non lo lascia dormire,
commette una grave infrazione, forzando l'entrata della villetta e scopre un
delitto. Nello stesso romanzo, intuendo che c'è qualcosa che non quadra ma
non riuscendo a capire che cosa è, va a camminare sulla battigia, con
l'acqua che ogni tanto gli bagna i piedi; il "rumore cullante della risacca
l'aiuta a disporre in ordine i suoi pensieri" finchè capisce cosa lo sta
angustiando.
Non risolve i casi secondo processi razionali, alla Van Dyne o alla Sherlock
Holmes; la scoperta della verità gli arriva come una rivelazione, "un flash
accecante che gli esplode nel cervello". Montalbano vive fisicamente questi
momenti: "gli parse di essere diventato un personaggio dei fumetti che aveva
il potere degli occhi a raggi x, che riuscivano persino a vedere dentro alle
cose." (La forma dell'acqua). Oppure un'intuizione improvvisa lo sveglia,
come un lampo che lo obbliga ad aprire gli occhi (La voce del violino).
Quando la rivelazione arriva, interrompe quello che sta facendo, qualsiasi
cosa sia, ad esempio esce dal bagno con i pantaloni sbottonati (La voce del
violino).
In "Un mese con Montalbano", gli sembra di vedere un lampo accecante, come
se un fotografo avesse fatto esplodere un flash, si sente di colpo le gambe
di ricotta, si deve sedere.
Due questori si avvicendano nella storia di Montalbano a Vigata. Il primo è
il questore Burlado, che è persona anziana e Montalbano lo considera amico.
Nel 1996 (Il ladro di merendine) Burlado ottiene il collocamento a riposo e
viene sostituito (La voce del violino) da Luca Bonetti-Alderighi, "un
giovane e scattante bergamasco che era riuscito, in un mese, a crearsi
ovunque antipatie da coltello" e che andava sempre a cercare il pelo
nell'uovo. A Montalbano non è simpatico; lo si capisce da come lo vede
fisicamente: "contemplò l'inquietante capigliatura del suo superiore,
abbondantissima e con un grosso ciuffo in alto, ritorto come certi stronzi
lasciati campagna campagna.". Anche il questore gli confessa, con estrema
sincerità, di non avere un'alta stima di lui.
I suoi uomini invece sanno leggere al di là dei suoi scatti d'ira, lo
rispettano e gli sono affezionati. Sono difficili solo i rapporti con il suo
vice, Mimì Augello, che stima ma considera anche un rivale, tanto da
tenerlo all'oscuro delle indagini (Il cane di terracotta). Montalbano
giustifica il suo atteggiamento dicendo che col tempo si è accorto di essere
un cacciatore solitario, "perchè mi piace cacciare con gli altri ma voglio
essere solo a organizzare la caccia".
In "Il ladro di merendine", pur sapendo che non è vero, accusa Mimì di
volergli fare le scarpe e questi si difende rispondendogli che, se avesse
voluto, in quattro anni che lavoravano insieme, a quest'ora Montalbano
sarebbe a dirigere il più sperduto commissariato della Sardegna; perchè
Montalbano, è un colabrodo che perde acqua da tutte le parti e lui, Mimì,
non fa altro che tappargli quanti più buchi può. E Montalbano è costretto a
riconoscere tra di sé che il suo vice ha ragione.
A suscitare le ire e la gelosia del nostro commissario c'è anche il fatto
che Mimì prova simpatia per la sua donna, Livia, e ne è ricambiato.
Mimì è comunque un grande amico sia per Salvo che per Livia e sta molto
vicino ad entrambi in un momento importante della loro vita, quello
relativo alla mancata adozione di François ; dimostrando di conoscere molto
bene Montalbano, gli dice che è meglio che le cose siano andate così,
perchè lui, Salvo, non è portato a fare il padre. Questo comunque non
cancella in Montalbano la rivalità che prova sia nella professione che in
amore per Mimì.
Montalbano è molto sensibile al fascino femminile fino a provare un senso
di vertigine al sentire "odore di fimmina e di letto"(Un mese con
Montalbano).
L'ispettrice Anna Ferrara gli fa il filo; è figlia di un suo compagno di
scuola che si era sposato giovane, una ragazza gradevole e spiritosa, ma che
a Montalbano proprio non interessa, anche se a lei ricorre per informazioni
e la "usa", professionalmente parlando, confidando sul debole di lei.
Conosce in "La forma dell'acqua" Ingrid Sjostrom, moglie svedese del figlio
del professor Cardamone, un galantuomo con una sola pecca, quella di andare
a letto con la nuora. La donna, che in Svezia faceva il meccanico, diventa
amica e collaboratrice di Montalbano.
In "La voce del violino" conosce poi Anna Tropeano, durante l'indagine, e
tra i due nasce naturale un'attrazione e una confidenza particolare. Quando
passa davanti alla sua casa, è più forte di lui, accosta, frena, scende. Una
sera fa una strada più lunga per evitare di passare davanti alla casa,
sicuro che altrimenti si sarebbe fermato. Una seconda vota sente il
desiderio di stare un po' con Anna, ma decide di non fermarsi. E' quindi un
fedele per natura, fedele a Livia, la sua donna, che risiede a Boccadasse in
Liguria. Non sa come definirla di fronte agli altri; fidanzata, gli sembra
termine dell''800, ragazza, non è il caso per via dell'età; è il questore
Burlado a suggerirgli il termine "donna". E' un rapporto consolidato dal
tempo, ma comunque difficile. Quando è lontana, Montalbano la desidera, ma
quando lei è vicina, la avverte come una presenza ingombrante, che gli
toglie la possibilità di vivere a suo modo e gli sconvolge le abitudini,
anche culinarie. Eppure a lei è legato. Prima di addormentarsi la pensa,
nel sonno, "come presenza propiziatrice a
ogni viaggio"; a volte la sogna e il mattino le viene voglia di telefonarle,
ma non le dice di averla sognata, trattenuto da un assurdo pudore. Tiene sul
davanzale della finestra in ufficio una pianta grassa che lei gli ha
regalato e alla quale presta molte cure; con lei si sente libero di "cantare
la messa intera e solenne" (La forma dell'acqua). Tra i tanti legami che ha
con Livia c'è anche il fatto che, quando mangia, Livia non apre bocca.
Montalbano resta comunque un solitario, un uomo che basta a sé stesso;
qualche giornata ogni tanto da passare con la propria donna è per lui la
soluzione ottimale. Durante i tre giorni trascorsi da lei, a Boccadasse,
dimentica quasi del tutto la Sicilia, salvo qualche cedimento che lo prende
a tradimento, quando sente qualche odore o la parlata della sua terra (La
forma dell'acqua). Ma troppo spesso si "dimentica" di lei. Le dice di
chiamarlo a mezzanotte precisa, promettendole il tempo per parlare a lungo,
ma se ne dimentica, prende un impegno di lavoro e, quando lei telefona, la
liquida con poche, seppur cordiali parole; ne prova "una punta di rimorso",
ma proprio una punta (Il cane di terracotta). Così pure non è affatto
entusiasta che Livia abbia prenotato una vacanza insieme a lui (Il cane di
terracotta). Essendo nervoso pensa che forse la voce di Livia l'avrebbe
calmato e le telefona, ma quando lei si offre di raggiungerlo, si terrorizza
e pensa "Ci manca solo Livia" e gli secca perfino dover rinunciare per lei
alla pasta al nero di seppia (Il ladro di merendine). In realtà poi la
presenza di Livia gli si rivelerà utile. Dimentica comunque che sarebbe
arrivata all'ora di pranzo e, alle tre, mentre sta seduto alla trattoria San
Calogero, si precipita al telefono, immaginandosela furibona Scopre che in
realtà l'aereo ha avuto un ritardo e Livia è appena arrivata a Marinella; si
inventa così una preoccupazione che non ha mai provato, le dice di aver
telefonato a casa ogni quarto d'ora e infine di aver chiamato Punta Raisi
nel sonno; si inventa anche un impegno in quel preciso momento, impegno che
gli proibisce di raggiungerla, e torna a sedersi al tavolo dove l'aspetta
"una mezza chilata di triglie fritte croccanti".
Durante questo soggiorno a Vigata Livia conosce François, un bimbetto
tunisino rimasto orfano. Si affeziona molto al piccolo e Montalbano, quando
li vede dormire abbracciati, diventa cupo come per "un oscuro
presentimento". Solo a tavola la bontà del cibo gli impedisce di
arrabbiarsi, mentre assiste al parlottare dei due "chiusi in una invisibile
complicità," dalla quale lui è completamente escluso. Così pure si
impietrisce quando sente che Livia non vuole far all'amore per non svegliare
il bambino: "quest'altro aspetto delle gioie familiari non l'aveva
calcolato".
L'esperienza che sta vivendo con Livia e François gli sembra infatti "un
assaggio, un anticipo dei quieti, familiari, domenicali pomeriggi che
l'attendevano……con un bambino che, svegliandosi, l'avrebbe chiamato papà
invitandolo a giocare con lui". Si lascia prendere da una "botta di panico"
e l'istinto che prova è quello di scapparsene da quella casa che "preparava
agguati famigliari".
Dopo la partenza di Livia ripensa razionalmente a quanto ha vissuto e
finisce col proporle, in una lettera, di preparare le carte per il
matrimonio, che avrebbe anche accellerato la pratica per l'adozione di
François.
In "La voce del violino" 1997 sono nate delle difficoltà al proposito
perché i documenti per l'adozione di François non sono ancora pronti. Livia
gli domanda, telefonicamente, se la sua proposta di matrimonio resta
ugualmente valida e lui approfitta di un tuono fortissimo per prendere tempo
e fingere che la comunicazione sia andata via. Livia non gli pone più quella
domanda e sembra più che altro interessata a non perdere François. Soffre
molto quando constata che il bambino preferisce stare dov'è (la scena è un
po' melodrammatica) e Montalbano si commuove al vederla così fragile e
minuta. Il loro rapporto in questa circostanza si incrina; Livia pensa che a
Montalbano non importi nulla avere perduto il bambino, Montalbano si risente
che Livia veda solo la sua disperazione e non consideri che, al di là di
tutto, loro due sono sempre una coppia. Ha a sua volta un comportamento
irrazionale: ingoia due pastiglie di sonnifero, si scola un bicchiere di
whisky e si getta sul letto.
Alla fine c'è comunque un riavvicinamento e Montalbano promette un viaggio a
Boccadasse.
In "Il ladro di merendine" viene nominato per la prima volta il padre di
Montalbano in quanto il nostro commissario viene avvertito che il padre sta
morendo di cancro. Scopriamo così, dopo due anni di romanzi che hanno come
protagonista Montalbano, che questi è rimasto orfano di madre da bambino ed
è stato allevato dal padre che era stato sempre un genitore "sollecito e
affettuoso". Aveva addirittura aspettato per risposarsi che il figlio si
laureasse e trovasse lavoro. Ciononostante qualcosa non aveva funzionato tra
i due, c'era stata una quasi totale mancanza di comunicazione e non erano
mai riusciti ad esprimere vicendevolmente i reciproci sentimenti. Quando il
padre poi si era risposato, Montalbano ne era rimasto offeso. I loro
incontri si erano diradati sempre più e lui non sapeva neppure che il padre
era malato. Veniamo però a sapere che, quando Montalbano era rimasto ferito
ed era stato ricoverato, il padre aveva telefonato tutti i giorni ed era
andato a trovarlo una volta; doveva essere già malato ma non gli aveva detto
niente.
Alla notizia dell'imminente morte del padre Montalbano passa dalla vendita
di "calìa e simenza" e comincia la sua camminata sul molo, ma non apre il
cartoccio perché c'è un groppo che gli chiude la gola. Quando nella
confusione dei pensieri riesce a coagularne uno, quello della morte che
avanza un poco tutti i giorni, riesce a sciogliere il nodo in un pianto
liberatorio. Decide di non andare a trovare il padre, e questo per tre
motivi; vedendolo, il padre, avrebbe capito la gravità del suo male e
sarebbe stato peggio; non sapeva quanto suo padre avrebbe gradito la sua
presenza; a Montalbano i moribondi facevano paura, orrore, probabilmente
sarebbe scappato via. Già in "La forma dell'acqua" sostiene che in ogni
morte, anche quella di un Papa, non riesce a trovare niente di sacro.
Confessa questa sua mancanza di coraggio a un anziano professore; questi gli
ricorda come, una volta, Montalbano abbia abbandonato un'indagine su un
traffico d'armi per occuparsi di un delitto avvenuto cinquant'anni prima e
gli spiega questa scelta come un tentativo di continuare "a fare il suo non
piacevole mestiere scappando però alla realtà di tutti i giorni", che
evidentemente gli pesa troppo. Così, la morte del padre è un fatto reale che
Montalbano si rifiuta di avvallare constatandolo di persona. E'
l'atteggiamento infantile di chi chiude gli occhi per non vedere qualcosa di
spiacevole.
Quando trova il coraggio per andare a trovare il padre, è troppo tardi
perché il padre è morto da due ore e Montalbano ringrazia il destino che non
l'ha obbligato a sostenere una prova per lui così difficile.
In "La voce del violino", quando offre il vino, che faceva il padre, dice
prima "fa" e solo in un secondo tempo "faceva": non ha ancora preso
consapevolezza o accettato la morte del padre.
Eppure questo suo atteggiamento risulta contraddittorio se si ha presente
che nell'indagine de "Il ladro di merendine" Montalbano ha modo di
incontrare un pediatra, cui il padre, sentendosi in pericolo, aveva
domandato aiuto, ma che non era intervenuto perché al momento doveva
partire; Montalbano lo giudica assai severamente e arriva ad augurargli di
non aver mai bisogno di suo figlio, perché, se buon sangue non mente,
"sarebbe fottuto".
Non si comporta poi anche lui nello stesso modo?
Se vogliamo definire in poche righe il commissario Salvo Montalbano possiamo
dire semplicemente che è un uomo intelligente e volitivo, con molte qualità
e qualche umanissimo difetto. E soprattutto è un uomo con tutte le
caratteristiche tipicamente maschili; nella sfera professionale è generoso e
si dà senza risparmiarsi; nella sfera privata è attento ad assaporare tutto
ciò che la vita di bello gli può offrire e molto impegnato a sfuggire i
problemi e le responsabilità personali che glielo possono impedire. Non è
forse questa una caratteristica molto comune nel sesso maschile?