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Da "Un mese con Montalbano

Visto e considerato che a Vigàta l'acqua (non potabile) del dissalatore veniva erogata due volte la settimana per ore quattro, visto e considerato che il numero degli emigrati in Belgio e in Germania aveva toccato quota duemiladuecentotredici, visto e considerato che il numero dei disoccupati aveva superato il settanta per cento della popolazione, visto e considerato che una recente indagine aveva rivelato che su dieci giovani quattro si drogavano, visto e considerato che il porto era stato da appena due mesi scalato alla categoria inferiore, visto e considerato tutto questo e altro
il Sindaco aveva indetto solenni festeggiamenti in occasione del 150° anniversario della proclamazione di Vigàta (già denominata Sottoposto Molo di Montelusa) a Comune autonomo.
Nel programma dei festeggiamenti, che si sarebbero svolti lungo l'arco d'una simanata, dal 25 al 30 giugno, era inclusa, per tutte le sere, l'esibizione della "Famiglia Moreno" della quale qualcuno, che aveva avuto la fortuna d'assistere a questo speciale spettacolo nelle città del nord, lungamente favoleggiava. Il nome artistico prescelto dalla troupe, "Famiglia Moreno" appunto, dava l'idea di un gioco innocente e al quale i nonni potevano assistere con i nipotini. Ma era un inganno, dicevano i bene informati, tant'è vero che sui manifesti c'era la scritta trasversale "Vietato ai minori di anni 18".
Debitamente messo al corrente dalla mogliere di uno che lo spettacolo aveva veduto a Bergamo, patre Burruano, arciprete, si scagliò contro il sinnaco il quale, si maravigliò il parrino, apparteneva a un partito il cui capo e fondatore aveva una zia monaca che non mancava mai di nominare. Ma il sinnaco fu irremovibile: il suo, replicò, era un partito che voleva gli òmini liberi, la sua amministrazione non era come quelle passate governate da gente senza Dio, senza Patria, senza Libertà. E quindi gli adulti, se a quello spettacolo volevano andarci, ci andavano; masannò potevano scegliere tra due manifestazioni contemporanee all'esibizione della "Famiglia Moreno": la corsa coi sacchi e il torneo di scopone scientifico.

Gerhardt e Annelise Boldt, fratello e sorella, questa minore di due anni, nati e cresciuti in un circo, già da picciliddri si esibivano come acrobati. A diciotto anni Annelise, addiventata ora una picciotta bionda che dava punti alle fìmmine da copertina, aveva perso la testa per un pilota d'elicotteri, Hugo Rittner, e se l'era maritato. Era stato proprio a Hugo ch'era venuto in testa di formare, con la mogliere e il cognato, la "Famiglia Moreno".
Tre giorni avanti l'esibizione, nel posto prescelto venne costruita, con tubi di ferro, una grandissima struttura circolare a cielo aperto, sui tralicci fu applicata una spessa tela pittata in modo da raffigurare il Colosseo.
La struttura, capace di quattrocento posti disposti torno torno alla curvatura interna, aveva al centro un ampio spazio circolare coperto interamente da una pedana di legno bianco. Allato alla struttura vennero allocati una fotoelettrica girevole e un alto traliccio che reggeva una cabina in legno con un'antenna sopra. L'esibizione, secondo il manifesto, doveva principiare alle 21 e 30 precise, ma già da un'ora prima la sala era gremita da màscoli vigatesi, schetti e maritati, a malgrado che il costo del biglietto fosse considerevole. Fìmmine, invece, nenti: l'avvertimento che vietava lo spettacolo ai minori di anni 18 le tenne lontane.
Almeno per quella prima sera. All'ora stabilita, con precisione teutonica, il fascio luminoso della fotoelettrica pigliò a esplorare il cielo, mentre una musica di film di spavento intronava gli spettatori. Tutto il pubblico stava con la testa isata al cielo nìvuro, ma nella stessa posizione ci stavano macari i vigatesi che erano di fora. Poi la fotoelettrica inquadrò un elicottero e lo seguì fino a che venne a posizionarsi, alto, sulla verticale della struttura, pareva volesse atterrare sulla pedana di legno. Invece dall'elicottero calò una lunga fune che terminava con un anello e lungo la fune oscillante discese uno, infagottato in una tuta spaziale argentata. E cominciò a fare una serie di spettacolose acrobazie. In paìsi intanto si era scatenato un quarantotto: tutti sui balconi o alle finestre a taliàre in cielo. Il torneo di scopone e la corsa coi sacchi furono sospesi. L'acrobata terminò il suo numero con rapidissimi volteggi a un solo braccio che lasciarono i vigatesi senza respiro.
Dall'elicottero calò un'altra fune alla quale era attaccato un trapezio e sulla barra c'era assittata una fìmmina, lo si capiva dai capelli biondi a crocchia, che aveva macari lei la tuta ma senza casco. Arrivata all'altezza dell'altro acrobata, la fìmmina eseguì, a velocità incredibile, alcuni esercizi a solo che erano chiaramente molto difficili. Appresso, principiarono una serie di acrobazie a due. La gente gridava "bravi!", applaudiva, faceva voci, ma loro erano troppo alti per sentire. Al termine di questo balletto aereo, le funi vennero allungate fino a due metri dalla pedana e gli acrobati scomparirono alla vista dei vigatesi che non avevano pagato il biglietto. La fotoelettrica s'astutò, l'elicottero ritirò le funi e s'allontanò, un riflettore solo s'accese sulla pista. E la musica cangiò, anche metaforicamente, dando inizio a quella seconda parte dello spettacolo per cui patre Burruano, l'arciprete, aveva avuto parole di foco.
La fìmmina saltava giù dal trapezio, fingeva di cadere malamente e restava svenuta, le braccia allargate, le gambe divaricate. Allora il suo compagno si liberava della tuta e compariva vestito solo di una pelle di tigre con una maschera di leone sulla faccia. La picciotta, ripigliati i sensi e visto l'armàlo, si scantava e si metteva a correre. Una prima zampata del leone le portava via la parte superiore della tuta lasciandola in reggiseno. Un'altra zampata la lasciava in mutandine. Allora la picciotta, capite le intenzioni del leone, gli faceva il gesto d'aspettare e principiava un lentissimo e voluttuoso spogliarello al termine del quale restava con un quasi invisibile tanga. E qui cedeva alle voglie del leone che non solo pareva conoscere a memoria il Kamasutra ma era macari in grado di farne un'edizione riveduta e ampliata.
Faceva tanticchia di frisco quando l'esibizione finì in un delirio d'applausi, ma gli òmini erano tutti accaldati e sudati come se fossero stati davanti a un forno. L'elicottero si rimise a perpendicolo, calò le funi, i due ringraziarono ancora una volta e stavano per risalire quando capitò quello che capitò.

«Che capitò?» rispose Mimì Augello la matina appresso a Salvo Montalbano. «Non so se chiamarla farsa o tragedia. La picciotta aveva appena agguantato il cavo che si sentì una voce dispirata. Tanto straziante che la gente ammutolì. "No, no! Non andartene! Non volare via!" faceva quella voce. Stava interpretando il sentimento di tutti. Lei, con una mano a tenere il cavo, gli occhi sorpresi, si era sciolti i capelli mentre ringraziava, le arrivavano al fondo della schiena, le gambe lunghissime, forti che ti nasceva il pinsèro che se venivi a trovarti in mezzo ad esse erano capaci di spezzarti in due, ma nello stesso tempo così femminili e con quel culetto tanto alto e sodo che arrivava a livello dei miei dolori cervicali, e quelle minne rosate allo scoperto...»
Montalbano fece un fischio alla pecorara, Mimì Augello si scosse, niscì dal sogno.
«Mi voltai a taliàre chi facesse quelle voci, non lo distinsi bene, era un picciotto tenuto a stento da due vicini. Poi il picciotto si liberò, si precipitò sulla pista. La fìmmina, visto il pericolo, salì agilmente sulla fune. Il picciotto tentò macari lui di andarle appresso, ma venne abbattuto da un pugno in faccia dell'acrobata mascolo. Il picciotto cadì a terra, i due s'arrampicarono sulle funi, l'elicottero se ne andò. Io scesi in pista. Il picciotto si stava lentamente susendo da terra, dalla bocca gli colava sangue per il cazzotto ricevuto, ma farfugliava: "La voglio! la voglio!". Aveva gli occhi spiritati di un pazzo, trimava tutto. L'ho diffidato, gli ho detto che se lo trovavo ancora nelle vicinanze la sera appresso l'avrei fatto arrestare. Non so se abbia capito quello che gli dicevo. E lo sai chi era? Nenè Scòzzari!»
A sentire quel nome, macari il commissario strammò. Ma come?! Nenè Scòzzari?! Stimato e vantato in tutta Vigàta per la serietà, la compostezza, l'educazione. Figlio di un avvocato, il numero uno del paìsi, benestante, iscritto all'Azione cattolica, laureato in legge a ventitré anni, da sei mesi zito con Agatina Lo Vullo, la capa delle Figlie di Maria. E si metteva a fare pubblicamente di queste cose, dando scandalo?
«Io non mi ci capacito» fece Augello. «Se riusciva ad avere tra le mani l'acrobata, se la fotteva lì, davanti a tutti.»

Questo successe nell'esibizione, la prima, del 25. Sparsasi la voce dello spettacolo nello spettacolo dato da Nenè Scòzzari, la gente al botteghino, la sera appresso, fu tanta che dovettero intervenire le guardie comunali a mettere ordine nella ressa. Macari una decina di fìmmine maritate, accompagnate dai màscoli, si fecero vedere. Ci andò pure Mimì Augello il quale, con faccia a tenuta stagna, aveva detto a Montalbano che la sua presenza era indispensabile perché non capitassero incidenti come quello del giorno avanti. Ma poi finì col confessare al suo superiore che le cosce dell'acrobata tedesca non gli avevano fatto pigliare sonno.
Lo spettacolo del 26 filò liscio, a parte un leggero malore che venne sul più bello del Kamasutra al cavaliere Scibetta, di anni settanta, che dovette essere portato fora a braccia dal figlio e dal nipote, dato che tutti gli altri non si erano voluto cataminare per non perdersi manco un minuto dell'esibizione.
Obbediente alla diffida, Nenè Scòzzari non si era fatto vedere. E non si era fatto vedere, dalla notte del 25, nemmeno dai suoi genitori, coi quali abitava.

La matina del 27, verso le undici, nell'ufficio del commissario s'appresentò l'avvocato Giulio Scòzzari, il patre di Nenè.
«Mio figlio non torna a casa dalla notte del 25, dopo che ha fatto la farsa che ha fatto, che ci è caduta la faccia per terra dalla vrigogna.»
«è scomparso?»
«Ca quale scomparso!» fece ammaravigliato l'avvocato. «So benissimo dove sta.»
«E dove sta?»
«A Punta Speranza, dove ci sono l'elicottero e i camper di questi fottuti tedeschi.»
Punta Speranza, dove gli acrobati avevano fatto la loro base, era una zona deserta, quasi a strapiombo sul mare.
«E che fa?»
«Niente. Sta dentro la sua macchina, a poca distanza, e aspetta che la tedesca nesci fora per taliàrla, lo stronzo.»
«E lei che vuole, da me?»
«Se lei potesse andarci a parlare, a convincerlo di non fare il buffone...»

Erano le undici e mezzo, non aveva gana di andare a parlamentare col picciotto. Incarricò a Mimì Augello che non se lo fece ripetere due volte, partì a razzo, capace che arrinisciva a vedere la tedesca da vicino. Tornò doppo due ore, stravolto.
«Madonna santissima, Salvo! Arrivato a Punta Speranza ho trovato questa situazione: Nenè Scòzzari stava appoggiato al cofano della sua automobile a una ventina di metri dai due camper e dall'elicottero. La tedesca invece stava stinnicchiata, nuda completa, sopra un lettino e pigliava il sole. Nenè teneva in mano un mazzetto di margherite che aveva appena cogliuto, si avvicinò alla fìmmina, glielo posò sulle minne e tornò al suo posto. Lei allora lo taliò. Madonna santa, Salvo, che taliàta! Ma quella appena può, appena marito e fratello le danno un momento di respiro, una sveltina a Nenè gliela fa fare. Garantito!»
«E i due òmini gli spaccano la faccia, questa volta sul serio.»
«Ma dai, Salvo, questi tedeschi sono, non sono siciliani. Una scopatina a mordi e fuggi alle fìmmine loro la perdonano!»
«A proposito, dov'erano gli òmini?»
«Si stavano facendo il bagno, cento metri più sotto.»
«Ci hai parlato a Nenè?»
«Sì. Ma credimi, sono sicuro che non mi ha sentito. Ho avuto l'impressione che manco mi vedesse, ero aria per lui. Taliàva sempre la tedesca e lei taliàva a lui. Che potevo fare? Me ne sono tornato. Te lo confesso, quella tedesca mi stava facendo bollire il sangue.»
«Ma non l'hai mai vista a una fìmmina nuda?»
«Come a quella, mai» disse sincero Mimì «e non è quistione solo di bellezza. Ora so veramente che intendono gli americani quando parlano di sex-appeal.»

Gli spettacoli del 27 e del 28 andarono benissimo, solo che le fìmmine presenti erano addiventate il doppio degli òmini.
«E questo si spiega» disse Mimì che non aveva mancato una serata. «Se fossi fìmmina, perderei la testa per lui. è preciso a sua sorella, solo che lo è al maschile.»
La matina del 29 Mimì Augello arrivò in ufficio tanticchia tardi, con un sorrisino sulle labbra.
«Ti si ruppe la sveglia?»
«Ma quando mai! Stavo venendo in ufficio, quando davanti all'autonoleggio ho visto i due tedeschi, il pilota e l'acrobata, che se ne stavano partendo in macchina. Allora sono trasùto e ho spiato al proprietario. Sono andati a Catania, a fare un sopralluogo, devono esibirsi là.»
«Mimì, tu sei più strucciulèro d'una portinaia, d'una cammarera.»
«E non è finita!» fece Mimì con gli occhi sparluccicanti. «Mi è venuto un pinsèro...»
«... d'andare a Punta Speranza» disse Montalbano.
Mimì Augello lo taliò ammirativo.
«C'inzertasti! Quando arrivai, mi fermai a distanza per non fare sentire il motore. Nenè non c'era dintra la sua macchina. M'accostai al camper che hanno la tedesca e suo marito. Non ti dico, Salvo! Era tutto chiuso, ma lei era incaniata, gridava "Ja! Ja!" che pareva la stessero scannando. Se a Nenè la forza gli regge, può stare a cavallo fino alle sei di stasira, prima di quell'ora i due tedeschi non ce la fanno a tornare. Non te lo dicevo, Salvo, che quella appena poteva non se lo lasciava scappare a Nenè?»

Alle sei e mezzo del matino del 30, il commissario venne arrisbigliato da una telefonata dell'avvocato Giulio Scòzzari.
«Dottor Montalbano, mi perdoni l'ora, ma sono molto preoccupato per mio figlio.»
«Che è successo?»
«Come ho fatto in questi giorni, stanotte verso l'una sono passato dalle parti di Punta Speranza. La macchina di mio figlio non c'era.»
«L'elicottero e i camper erano al loro posto?»
«Sì, tutti erano rientrati dallo spettacolo. Ho aspettato ancora un'ora, non s'è visto, ho pensato che fosse finalmente tornato a casa. Non c'era.»
Poteva dire al padre che forse il figlio, stanco della lunga cavalcata, come la chiamava Mimì, era andato a ritrovare le forze in qualche albergo senza dover dare spiegazioni ai genitori?
«Beh, avvocato, probabilmente qualcosa è cambiato.»
L'avvocato non capì.
«Non è cambiato niente! Sono passato manco un quarto d'ora fa, i tedeschi dormono e non ci sono né mio figlio né la sua macchina.»
«Avvocato, suo figlio è maggiorenne.»
«E che c'entra?»
«C'entra sì, perché non possiamo andarlo a cercare come se fosse un picciliddro perso. Aspettiamo ancora tanticchia e se non ricompare, vedo quello che posso fare.»
Ma l'angoscia dell'avvocato Scòzzari in qualche modo gli si comunicò. Alle otto del matino invece di dirigersi verso l'ufficio, decise di fare una visita ai tedeschi. Della macchina di Nenè Scòzzari non c'era traccia. Era persuaso che i tedeschi dormissero ancora. Invece i due màscoli erano viglianti, Hugo strumentiava nel rotore, Gerhardt si esercitava alle parallele. Il commissario gli si avvicinò, non sapeva una parola di tedesco ma sperava di farsi capire lo stesso.
«Tu sai dov'è andato a finire l'uomo che stava fermo qua con una macchina?»
Gerhardt, che era sceso dalle parallele, allargò le braccia, scosse la testa. Si accostò l'elicotterista che aveva sentito la domanda.
«Italiano innamorato non più fisto.»
E rise. Macari l'acrobata scoppiò in una risata di testa, sgradevolissima.

Non si può confessare a nessuno, forse manco a se stesso, che un'indagine viene avviata solo perché c'è stata una risata troppo sgradevole, dintra la quale sonavano derisione, disprezzo, trionfo, malvagità. Appena in ufficio, chiamò Fazio e Gallo.
«Tu» disse a quest'ultimo «vai, senza farti notare, a Punta Speranza, dove gli acrobati tedeschi hanno fatto la base. Portati un binocolo e il cellulare. Voglio essere informato della qualunque.»
«E tu» continuò rivolto a Fazio «appena arriva Mimì Augello vai con lui a pigliare la tedesca. Arrisbigliatela se dorme, non me ne fotte niente. La voglio qua, ma da sola.»
Poi telefonò all'avvocato Scòzzari.
«Notizie di suo figlio?»
«Niente, commissario. Siamo disperati.»
Subito però l'avvocato s'insospettì.
«Perché mi ha telefonato, commissario? Ha saputo qualche cosa? Perché mi ha chiamato?»
Montalbano non seppe che rispondere.
«Mi scusi, ho molto da fare. Mi telefoni se ci sono novità.»
Riattaccò. E in quel momento comparse Mimì Augello.
«E tu non sei andato con Fazio?»
«Siccome ho telefonato per avvertire che avrei tardato, Fazio è andato a pigliare la tedesca con Galluzzo.»
«Ma io volevo che ci andassi tu perché a forza di fottere turiste qualche parola di tedesco la spiccichi!»
«Se è per questo, macari Galluzzo. Quand'era picciotto è andato a cercare travaglio in Germania.»
«Mimì, quando ci portano la tedesca, voglio che tu stai con mia. Non perderti a taliàre le sue minne o le sue cosce.»
«Mi vuoi spiegare cos'è successo?»
«Nenè Scòzzari è scomparso con la macchina.»
«Tutto qua? Dopo la gran scopata che s'è fatta aieri...»
«Sì, Mimì, macari io l'ho pensato. Però c'è qualcosa che non mi persuade.»
Mimì Augello s'azzittì. Quando il suo superiore diceva che qualcosa non funzionava, voleva dire veramente che qualcosa non funzionava, lo sapeva per spirènzia.

Appena Annelise trasì nell'ufficio, vestita con un paro di pantaloncini corti e aderentissimi e un grande foulard di seta a coprirle il petto, Montalbano capì la sofferenza di Mimì quando l'aveva vista nuda. Aveva ragione il suo vice, non si trattava solo di bellezza. Sorrise ad Augello che già conosceva, fece un cenno con la testa al commissario, spiò qualcosa in tedesco.
«Sta domandando se è una faccenda di passaporti.»
«Nein» fece d'istinto Montalbano.
«Nein» disse contemporaneamente Mimì.
Si taliàrono.
«Scusami» disse il commissario «dille che vogliamo sapere come ha passato la giornata di ieri.»
Mimì domandò e quella rispose. A lungo. E via via che parlava Augello appariva sempre più imbarazzato.
«Che disse?»
«Beh, Salvo, questa usa parlare papale papale. Dice che siccome aieri era rimasta sola, ne ha approfittato per fare sesso, ha detto proprio così, con quel bel ragazzo siciliano che è impazzito per lei. Non hanno mangiato, sono stati assieme fino alle quattro del pomeriggio, quando lei l'ha mandato via, si scantava che tornassero il marito e il fratello che erano andati a Catania. Appena il ragazzo è uscito, lei si è addormentata di colpo, era, ha detto così, un pochino provata.»
«I miei complimenti a Nenè Scòzzari» fece Montalbano.
«Verso le sette di sira» continuò Mimì «suo marito la svegliò e lei cominciò a prepararsi per l'esibizione.»
«Domandale se quando è uscita per montare sull'elicottero la macchina del giovane c'era ancora.»
«Dice che non lo sa» tradusse Mimì «c'era già scuro fitto. Ha detto che poco fa, quando i nostri sono andati a pigliarla, s'è meravigliata di non vedere l'auto al solito posto. Ne è rimasta dispiaciuta e contenta.»
«Spiale perché dispiaciuta e poi fatti spiegare perché contenta.»
La risposta di Annelise fu abbastanza lunga.
«Dispiaciuta perché gli uomini, secondo lei, sono tutti porci egoisti che appena hanno quello che domandano o s'addormentano o vanno nel cesso a pisciare, ha detto così, oppure spariscono. Contenta perché temeva qualche brutta reazione di Gerhardt, il quale non solo è geloso, ma è macari un violento.»
«Stai traducendo bene, Mimì? Guarda che Gerhardt è il fratello, il marito di nome fa Hugo.»
«Lei ha detto Gerhardt, però. Ora domando meglio.»
Mimì spiò qualche cosa e la risposta della tedesca lo fece a un tratto arrossire violentemente. Montalbano strammò: quella faccia stagnata del suo vice era capace d'arrossire?
«Che disse? Che disse?»
«Ha detto, molto semplicemente, che quando aveva quattordici anni suo fratello è stato il primo uomo della sua vita.»
«Perché prima se la faceva con gli elefanti» commentò poco galantemente il commissario.
«Ha detto macari che Gerhardt ha sofferto molto quando ha voluto maritarsi con Hugo, ma che fortunatamente suo marito si è dimostrato molto comprensivo. Ha aggiunto che il pòviro Gerhardt, quando fanno il Kamasutra in pista, soffre di una forte tensione perché è costretto a mimare ciò che farebbe sul serio.»
La tedesca si calò in avanti a levarsi un granellino di polvere dall'alluce che sporgeva dai sandali. Altamente se ne fotteva delle reazioni dei due òmini alle sue parole.
«Dille di andarsene» fece Montalbano. «è chiaro che non sa niente di Nenè. Sarà troia, ma mi pare sincera.»
«Macari a mia» appoggiò Mimì.
Convocò tutti i suoi òmini, fatta eccezione di Gallo che se ne stava a Punta Speranza a taliàre che facevano i tedeschi, e spiegò quello che aveva in mente di fare.
«Tu, Germanà, vai a casa dell'avvocato Scòzzari e ti fai fare una denunzia per la scomparsa di suo figlio Nenè. Dev'essere retrodatata ad almeno al 28 matina, altrimenti non ci sono le ventiquattro ore richieste dalla legge per principiare le ricerche. Questa denunzia la consegni al dottor Augello. Tu, Mimì, la denunzia la presenti al giudice, gl'impapocchi qualche minchiata e ti fai dare un mandato di perquisizione per i caravan, il Tir, l'elicottero, insomma per tutto quello che i tedeschi hanno. Ma questa perquisizione dev'essere fatta stanotte, non prima, appena atterrano con l'elicottero a Punta Speranza dopo lo spettacolo. Tortorella, Galluzzo, Grasso vanno con una macchina di servizio nei paraggi di Punta Speranza senza farsi vedere dai tedeschi. Cercate l'auto del picciotto, Augello vi dirà la marca e il colore. Tu, Germanà, ti metti in contatto col cellulare di Gallo, ti fai spiegare dove si trova e tra un'ora gli dai il cambio.»
«E tu?» spiò Augello.
«Io? Io me ne vado a mangiare» rispose Montalbano.
Trasì sparato Catarella.
«Dottori, ora ora tilifonò Gallo. Dice così che i teteschi màscoli se la stanno pigliando con la tetesca fìmmina, le hanno fatto voci e so' fratre l'ha macari spintottonata.»

«Ho cattive notizie» fece Mimì trasendo in ufficio verso le quattro del dopopranzo.
«Il giudice non ha firmato il mandato?»
«No, non ha detto biz, ce l'ho in sacchetta. Il fatto è che mi è venuta un'idea e sono passato dall'autonoleggio. Ho spiato al proprietario a che ora i tedeschi avessero restituito la macchina. M'ha risposto verso le sei e mezzo, l'ha riportata Gerhardt che per tornarsene al campo ha pigliato l'autobus per Montereale che ferma nelle vicinanze di Punta Speranza.»
«E ti pare una brutta notizia?»
«C'è un seguito. Il proprietario dell'autonoleggio ha aggiunto che però i tedeschi erano tornati prima.»
«E come fa a saperlo?»
«Perché li ha visti passare verso le tre e mezzo, andavano in direzione di Montereale, quindi di Punta Speranza.»
«E perciò capace che i due hanno visto nèsciri Nenè dal camper di Annelise.»
«Esattamente. E la cosa mi dà pinsero.»
Squillò il telefono, era Germanà che aveva dato il cambio a Gallo.
«Dottore? Qui tutto è tranquillo. I due acrobati si stanno esercitando alle parallele. Gerhardt e Annelise, dopo la sciarra che ha visto Gallo, hanno fatto la pace. Si sono abbrazzati e si sono vasati. La vuole sapere una cosa, dottore? Da come si vasavano, se quelli sono fratello e sorella io sono il Papa.»
«Non ti formalizzare, Germanà, i tedeschi usano accussì, fanno tutto in famiglia, peggio di noi.»

Alle sette la voce trionfante di Tortorella annunziò che avevano ritrovato l'auto di Nenè Scòzzari, a tre chilometri da Punta Speranza. Era stata infrattata nel folto di una macchia e per di più ricoperta con rami tagliati. Dintra non c'era nessuno. Che dovevano fare? Il commissario rispose che lasciassero le cose come le avevano trovate. Grasso sarebbe rimasto di guardia nelle vicinanze. Gli altri potevano rientrare.
Alle otto s'appresentò Gallo.
«Vado a dare il cambio a Germanà. Lo sa, commissario? Gli altoparlanti dei tedeschi dicono che stasera ci sarà un numero speciale. Lo farà un acrobata che si chiama Icaro.»
"E dove l'hanno pescato?" si spiò il commissario. Ma si diede immediata risposta, certamente l'avevano trovato a Catania.
«Mi raccomando» disse Montalbano «qualsiasi cosa stramma che vedi o che senti, telefona, io mi porto appresso il cellulare.»

«Quasi quasi stasira ci vengo macari io» disse Montalbano. «Quanto costa il biglietto?»
Mimì lo taliò alloccuto.
«Ma non c'è bisogno di biglietto!»
«No? E perché?»
«Perché noi siamo Autorità.»
«Non lo sapevo» disse sincero il commissario.
«E come no? Abbiamo i posti riservati in prima fila.»
Alle nove e venti stavano niscendo dall'ufficio che squillò il cellulare. Era Gallo.
«Commissario? La picciotta tedesca non ha pigliato posto dintra all'elicottero. Lo vedo bene perché all'interno hanno la luce. La fìmmina non c'è. E proprio in questo momento stanno partendo.»
«Quanti sono dintra all'elicottero?»
«Due, commissario. L'elicotterista e l'acrobata mascolo che tiene in mano il casco della tuta spaziale, l'ho riconosciuto benissimo.»
E Annelise dov'era? E il nuovo acrobata Icaro ch'era stato annunziato dagli altoparlanti?
«Gallo, fai una cosa. Avvicinati ai camper. Se c'è qualcosa che non ti persuade, agisci di tua iniziativa. Ma telefonami.»

Gli altoparlanti avevano annunziato uno spettacolo diverso e infatti cominciò che l'elicottero, fermo sulla perpendicolare, calò la prima fune, quella con l'anello, fino a toccare la pedana di legno. Passò qualche minuto e non successe nient'altro. Poi, imbracato alla seconda fune dalla quale era stato levato il trapezio, apparse un acrobata. Le fasce che lo tenevano alla fune erano intrecciate da far sì che l'omo stava a panza sotto, pareva una rana. Era in mutande, canottiera, calzini. Indossava solo il casco spaziale. Un costume veramente ridicolo. L'acrobata cominciò a muovere le braccia e le gambe scompostamente, in modo talmente buffo che alla gente venne da ridere. L'omo appeso alla fune si fermò, le braccia aperte, le gambe spalancate, tremava tutto e ora pareva un ragno. Indubbiamente era Icaro, un clown.
«è molto bravo» disse Mimì al commissario. Montalbano non rispose, si stava domandando com'era possibile fingere una paura folle, totale, fino al punto da farla apparire vera. Di scatto, vista l'altra fune vicina, l'acrobata Icaro s'agitò violentemente per raggiungerla con le mani protese, ma si capovolse, la testa in giù, i piedi in aria. Il pubblico scoppiò a ridere, applaudì. I movimenti del clown che mimava tutti i gesti della paura si fecero frenetici.
E in quel momento il cellulare di Montalbano squillò.
«Commissario? Sono Gallo. Ho sentito un lamento venire da un camper, ho sfondato la porta. C'era la tedesca, legata e imbavagliata. Pare pazza, commissario, e io non capisco quello che grida, vuole scappare, m'ha graffiato tutto.»
«Tienila lì» gridò a Gallo e gridò ancora, rivolto ad Augello: «Vieni con me!».
Corse fuori, Mimì gli si affiancò.
«Ce l'hai la pistola? Appena entriamo, metti fuori combattimento tutti quelli che incontriamo.»
Si precipitò darrè la fotoelettrica, principiò ad arrampicarsi lungo la scaletta di ferro del traliccio, sudato, le mani artigliate ad agguantare le barre, pativa di tanticchia di vertigine.
«Mi vuoi spiegare che succede?» gli spiò Mimì che saliva appresso di lui.
«Non mi parlare, ora, minchia, non ho fiato» ansimò.
Arrivò sulla piattaforma nella quale c'era la cabina, si fece di lato, Mimì Augello si catapultò contro la porta che era semplicemente accostata, precipitò a valanga sopra un omo ch'era assittato davanti a una consolle e che finì a terra con tutta la seggia.
Montalbano gli strappò la cuffia dalle orecchie, sentì domandare qualcosa in tedesco, la passò a Mimì. Sulla consolle c'erano due microfoni, il commissario attivò quello al quale non stava parlando l'omo quando erano entrati.
«Quelli dell'elicottero continuano a domandare cosa sta succedendo qua» fece Mimì e, tanto per avere le mani libere, calò col calcio della pistola un colpo sulla nuca dell'omo che si stava rialzando, stordito, da terra.
«Vigatesi!» gridò Montalbano. Dalla finestrella della cabina si vedevano tre quarti di platea e quasi tutta la pista. Il commissario notò che la sua voce era arrivata, tutti si erano voltati verso gli altoparlanti in sala.
«Vigatesi!» ripeté. E il diavoletto maligno dell'ironia, che sempre gli stava allato macari nei momenti più difficili, gli suggerì d'aggiungere "fratelli, popol mio" come Alberto da Giussano. Vinse la tentazione.
«Il commissario Montalbano sono. L'uomo che sta appeso lassù non è Icaro, non è un clown. è il nostro compaesano Nenè Scòzzari che i tedeschi hanno pigliato e gli stanno facendo rischiare la vita! Aiutatemi!»
«Quelli dell'elicottero hanno capito qualcosa. Bisogna fare presto» disse concitato Mimì con la cuffia alle orecchie. Già, ma fare cosa? Il commissario tornò a taliàre la gente. E vide uno spettacolo che lo commosse, gli chiuse la gola. Due o tre picciotti si stavano arrampicando, come scimmie, lungo la fune, un grappolo umano di una trentina di persone s'era afferrato alla stessa fune, faceva peso. Montalbano taliò l'elicottero, era chiaramente in difficoltà, ce l'avrebbe però fatta lo stesso a sollevarsi.
«Parla con questi due stronzi» disse Montalbano «digli che se si allontanano si portano appresso in volo una decina di persone sospese a una fune. Può essere una strage. Si facciano bene i conti.»
Ma sapeva già come sarebbe andata a finire.
«Lasciate libero l'elicottero!» gridò. «Ripigliate i vostri posti!»
Infatti la fune che reggeva Nenè Scòzzari, svenuto, pareva un pupo coi fili rotti, principiò lentamente a calare a terra.

Le cose sono andate in questo modo. La tedesca, una stocco di figa della quale il mio vice Augello porterà imperituro ricordo avendola vista nuda, approfitta dell'assenza del marito e dell'amante (che altri non è che suo fratello) per concedersi qualche ora d'intense scopate nel suo camper con Nenè Scòzzari, ex giovane dabbene, impazzito per lei. I due tedeschi, tornati prima del tempo, sorprendono lo Scòzzari che esce dal camper. Gli viene l'idea di fargli pagare la scopata con uno scherzo crudele: l'agguantano, lo legano, lo nascondono nell'elicottero, fanno sparire l'auto. Quando la figona si sveglia dal sonno riparatore i due la rimproverano per quello che ha fatto, ma la cosa pare finire lì. Mandano un accolito in giro per il paese ad annunziare che quella sera allo spettacolo parteciperà un acrobata nuovo, Icaro. Poco prima di partire dalla loro base, i due buontemponi legano e imbavagliano la rispettiva moglie e sorella-amante, la quale evidentemente si rifiuta di partecipare allo scherzo. I due mettono in mutande, letteralmente, lo Scòzzari, gli infilano il casco perché non si sentano le sue grida e lo calano con la fune. Ecco creato il clown-acrobata Icaro. Io ho capito la faccenda quando un mio agente mi ha telefonato d'avere scoperto la ragazza legata e imbavagliata.
Le mie proposte sono: ergastolo ai due stronzi (che, sia chiaro, non avevano intenzione d'ammazzare lo Scòzzari, ma solo di fargli pigliare un bello spavento); libertà condizionata alla tedeschina (il condizionamento della libertà consiste nel lasciarla in balìa, per un mese, del mio vice dottor Mimì Augello).
Questo riferì nel suo rapporto al giudice il commissario Montalbano. Ma usò altre parole e omise le proposte finali

Andrea Camilleri



Last modified Saturday, July, 16, 2011