RADIOCORRIERE TV 12-18.06.1960 

L'Orestiade di Eschilo 

L'edizione è quella registrata al Teatro Greco di Siracusa; la traduzione è dovuta a Pier Paolo Pasolini; la regia è dello stesso Gassman e di Luciano Lucignani

La folla che ogni sera, in occasione delle rappresentazioni classiche siracusane, gremisce la cavea del Teatro Greco, a prima vista non ha nulla da spartire con il composto e un poco distaccato pubblico che siamo abituati e vedere nei teatri normali. Eccitati e chiassosi bambini corrono lungo le gradinate inventando nuovi giochi, gli spettatori del “loggione” (che è un vero e proprio prato) mangiano panini distesi sull’erba e creano un’atmosfera spensierata da scampagnata domenicale, gli occupanti dei posti riservati dopo un po' dimenticano anche loro di trovarsi convenuti per assistere ad uno spettacolo teatrale e si abbandonano al piacere di una vacanza improvvisata: i nomi e i richiami s'intrecciano nelle lingue più diverse, mentre su tutte sovrastano le voci dei venditori di bibite e di cuscini. E', insomma, una folla da stadio (quella che in fondo sogna ogni uomo di teatro). Ma non appena dall'immenso palcoscenico si odono provenire le prime note musicali, scende improvviso un silenzio assoluto, raccolto. Come obbedendo a un ordine, il pubblico da kermesse si trasforma disciplinatamente In pubblico da teatro, attento, esigentissimo. Quest'anno, poi, in occasione della rappresentazione dell'Orestiade di Eschilo, si sapeva già che Vittorio Gassman e i suoi compagni del Teatro Popolare Italiano avrebbero apportato sostanziali Innovazioni nel criteri di messinscena al Teatro Greco e questo ha fatto sì che la folla fosse fin dal primo momento ancora più sensibile e ricettiva. Dichiarando i suoi propositi di regista e d'interprete, Gassman aveva infatti scritto: “Ben vengano gli strumenti più moderni, una traduzione che cerchi non soltanto la ricostruzione archeologica e filologica ma l'equivalente delle espressioni, delle invocazioni, degli anatemi originari, ben vengano le scene e i costumi essenziali, le danze genuinamente barbariche e l'impiego perfettamente spregiudicato delle risorse tecniche più diverse”. E di novità infatti ce ne sono state, e non poche. Prima di tutto, lo spostamento dell'ora di Inizio degli spettacoli. Una tradizione ferreamente rispettata da tutti coloro che si sono cimentati nella messinscena degli spettacoli siracusani è stata quella di cominciare la rappresentazione un’ora prima del calar dei sole, In modo da poterla terminare alle prime ombre del crepuscolo. Gassman non ha voluto giovarsi di quell'incomparabile “effetto” che è un tramonto a Siracusa, con le rondini che volano controluce e, picchiando improvvise, s'infilano fra le colonne costruite dai macchinisti, facendo viva e vera la scenografia. Illuminate dalla luce dei riflettori, le scene del teatro greco non hanno però perso nulla della loro suggestione: ne hanno anzi acquistata una nuova, più sottile e segreta, che si è avvertita maggiormente in quelle sere In cui il calendario degli spettacoli comportava la rappresentazione dell'intera trilogia e la recita proseguiva fino a sera inoltrata, quando cioè i rumori della città si facevano più radi e non turbavano con la loro presenza viva il silenzio della folla e della notte. Il pubblico ha anche compreso perché Gassman abbia fatto ricorso (specialmente nelle Eumenidi) all'uso di numerose battute registrate e deformate con effetti “concreti”: la deformazione era necessaria In quanto si trattava di dare una voce plausibile alle mostruose Erinni, le creature della notte che perseguitano Oreste dopo che questi ha ucciso sua madre, per vendicare Il padre, Agamennone, assassinato dalla sposa infedele. Ma sia la luce artificiale che la registrazione erano, In fondo, solo innovazioni superficiali. La novità sostanziale consisteva, più che nell'impiego di danzatori negri (i quali, questi sì, hanno reso perplesso il pubblico), nello spirito assolutamente libero da ogni preoccupazione accademica con Il quale Gassman ha affrontato la messinscena giovandosi della traduzione di Pier Paolo Pasolini. Lo spettatore esigente. avrà notato indubbiamente qualche squilibrio di stile, non sempre infatti l’accentuato realismo di alcuni atteggiamenti e di parecchie intonazioni ha potuto accordarsi con momenti di sopravvento di una tradizione aulica che ancora trova il suo terreno propizio nell'educazione drammatica dei nostri attori: tuttavia la volontà e la linea guida della regìa si sono manifestate chiaramente e Il pubblico è stato mosso ad una partecipazione diretta, immediata. 
Elemento essenziale della mediazione è stata la traduzione di Pasolini. Sulla validità di essa, almeno per ciò che riguarda la sua funzione più elementare, basterà un esempio. Gli spettatori del Teatro Greco usano comprare, assieme al cuscini, anche il volumetto della traduzione e con esso si comportano un po' come i frequentatori dei teatri lirici. Negli anni scorsi abbiamo avuto modo di osservare come il volumetto si rivelasse in certi momenti indispensabile per la comprensione delle battute e non per difetto d'acustica o di dizione ma proprio perché i traduttori, rispettosi del testo originale, si erano preoccupati più della fedeltà filologica che non della necessità di far chiaramente capire quanto veniva detto. Quest'anno invece il volumetto, durante gli spettacoli, è rimasto chiuso sulle ginocchia dello spettatore. Della traduzione pasoliniana altri potrà formulare un giudizio di merito più qualificato dal punto di vista filologico e culturale: per quanto riguarda loro, gli spettatori, proprio per averla potuta seguire dalla viva voce degli attori e non essere stati costretti a leggerla durante lo spettacolo, ne hanno dato Il giudizio più positivo che, in sede teatrale, dare si possa.
Un importante problema che Gassman ha inquadrato e in più punti risolto con la sua messinscena dell'Orestiade è stato quello delle limitazioni proprie alla recitazione all'aperto, limitazioni d'ordine tonale e timbrico. che impongono anzitutto un volume di voce più alto del normale, un controllo continuo dei toni di petto, la necessità di una dizione chiara e dunque più lenta. “Questo significa - ha scritto Gassman - che in pratica gran parte della regìa viene imposta dalle esigenze del luogo, e ciò vale anche per i tempi di attacco delle battute, che implicano problemi non solo di tecnica, ma anche psicologici e d'interpretazione: vi entra infatti come componente anche il candore del personaggio greco, la sua monumentale (e spesso consapevole) ingenuità che può giustificare o suggerire certe lentezze del discorso”. Appunto per conservare questi importanti elementi dell'interpretazione (i quali costituiscono la vera regìa di un'opera drammatica, al di là delle facili sollecitazioni scenografiche e coreografiche) la registrazione dell'Orestiade è stata effettuata fra i ruderi e le pietre del Teatro Greco di Siracusa, all'aperto.

Andrea Camilleri