Corriere della sera, 19 luglio 1998.


Camilleri, l’eredità di Sciascia e il fantasma di Berlusconi


di Matteo Collura.


Ieri Susanna Tamaro, oggi Andrea Camilleri. Nelle classifiche dei libri più venduti, periodicamente “esplode” un autore (non importa se, poniamo, quello stesso autore abbia alle spalle un numero considerevole di pubblicazioni passate inosservate). Così, oggi, non si parla che del “fenomeno Camilleri”. Ed è giusto, perché nella classifica dell’ultimo Tuttolibri de “La Stampa”, lo scrittore di Porto Empedocle, in una sola sezione,-quella della narrativa italiana- su dieci posti ne occupa otto. Dal primo (Un mese con Montalbano, Mondadori) al decimo (La forma dell’acqua, Sellerio). Nel mezzo, i suoi più noti best-seller, tutti editi da Sellerio: La concessione del telefono, Il ladro di merendine, Il birraio di Preston, La voce del violino...
Camilleri è, dunque, lo scrittore del momento, in Italia. Eppure, a leggere un articolo a lui dedicato sulla prima pagina del Foglio di ieri, si tratterebbe di un pover’uomo in cerca di un “patentino antiberlusconiano” di sinistra. Perché un simile attacco? La risposta è in un’intervista apparsa sull’ultimo numero dell’Espresso con il seguente programma:”Il cavaliere secondo Andrea Camilleri”. Il contenuto dell’intervista al Foglio non è piaciuto. Dice, tra l’altro, Camilleri:”Uno come lui (Berlusconi, ndr) che è riuscito a persuadere gli italiani di aver fondato un partito per amore della politica e non per ragioni personali, ha il dono di trasformare la realtà. Il signor Berlusconi dice che siamo in un regime, e che lui è un perseguitato politico. Ma, come documenta proprio il famoso “Libro nero” che ha pubblicato e regalato ai suoi amici, un regime non consente agli oppositori di accumulare un attivo di diecimila miliardi, di possedere tre tv e un quotidiano, di guidare un partito...”
Continui a fare lo scrittore di divertenti libri gialli e lasci stare la politica: questo il senso dell’articolo, non firmato, come tutti gli altri del Foglio. Con in più una domanda: che bisogno ha, Camilleri, di mettersi al petto una medaglietta di sinistra, tutta luccichii antiberlusconiani?
La mano sembra essere quella di Giuliano Ferrara, il direttore (Tutto il suo sarcasmo siciliano si scioglie, caro Camilleri, nella sciocchezzuola di chi dice all’Espressino:”Purtroppo invece il comunismo non c’è più. Ma c’è il comunismo virtuale creato da Berlusconi”).
Interpellato, Ferrara nega decisamente:”L’articolo non è mio”. E aggiunge:”Ma è come se lo avessi scritto io. Condivido punto per punto. Non se ne può più di questa intellighentia di sinistra sempre pronta a dare i voti a qualcuno, a fargli l’esamino. Per loro, no, mai un esame.
Che bisogno aveva, Camilleri, di quella sortita? Apparentemente nessuno, ma gli serviva uno status symbol, quello della sinistra che, messo insieme ai tanti libri venduti, secondo il suo modo di pensare gli darebbe la vera misura del successo. Poveri noi.”
Senonchè, per concludere, il Foglio tira in ballo il solito Sciascia.
Ma che c’entra lui? Camilleri, nell’intervista all’Espresso, alludendo al contagio mafioso, dice che Sciascia ha scritto un “bel” saggio sulla metafora della palma che sale verso il Nord (mentre questo Sciascia lo fa dire al Capitano Bellodi nel Giorno della civetta, e la frase diventa poi il titolo di un libro del partito radicale che raccoglie alcune interviste a Sciascia). Ovviamente, la critica del Foglio non muove da ragioni filologiche e chiude con Camilleri:”...se proprio deve dire tutte quelle sciocchezze forcaiole, potrebbe esimersi dal citare il povero Leonardo Sciascia che per noi garantisti è un’intoccabile icona”.
Sciascia, proprio per tutto quanto ci ha lasciato scritto, non amerebbe essere un’icona nè per la destra nè per la sinistra nè per il centro, così come è fuorviante definirlo garantista. Lui era per la giusta applicazione della giustizia in base alle regole di uno Stato democratico degno di chiamarsi tale.

Matteo Collura