Corriere della Sera, 8 Dicembre 1998

 

E Camilleri promuove Tiberio Murgia maresciallo in Sicilia.


di Matteo Collura.


Camilleri, ora, può godersi la soddisfazione di farsi pubblicare un suo racconto scritto trent'anni fa e rimasto praticamente inedito, essendo stato, nel 1978, stampato da un piccolo editore - Lalli - e che, inutile dirlo, allora non ebbe alcun riscontro né di critica né di pubblico (e bene ha fatto l'autore a raccontare in appendice le esemplari disavventure cui il suo dattiloscitto andò incontro, l'infinita serie di «no» da parte degli editori che oggi chissà che darebbero per pubblicare una sua «cosa»). Ecco, dunque, questo primo libro del «fenomeno» Camilleri, Il corso delle cose. Che dirne? Intanto che ci si diverte a leggerlo. E questo dovrebbe poter bastare a coloro i quali dalla lettura di un libro intendono trarre divertimento, evasione, relax. Camilleri non è certo Sciascia: e credo non ci pensi neanche a esserlo, prova ne sia che Il corso delle cose è stato scritto subito dopo la pubblicazione di A ciascuno il suo, racconto che ha, si potrebbe dire, identica ambientazione e in cui i personaggi respirano la medesima cultura, ma che dall'ideatore del commissario Montalbano dista anni luce. Camilleri è un raccontatore di storie, condite alla siciliana, con qualche banalità di troppo e alcune cadute di gusto che un passabile editing eviterebbe; ma è un vero narratore, abile nel dialogo e nel ricreare atmosfere in cui la Sicilia viene fuori come distillata. Il corso delle cose è un giallo, a volte dai paradossi pirandelliani, ambientato a Porto Empedocle (anche se il paese è chiamato diversamente), protagonisti un poveraccio, Vito Macaluso, involontariamente finito nel mirino di killer più o meno mafiosi, e un maresciallo dei carabinieri, Corbo, che sembra un Tiberio Murgia appena uscito dallo schermo. Per concludere, ci siamo sempre lamentati che in Italia non esistono scrittori che costruiscono libri per far leggere e non per creare capolavori letterari: eccone uno, che però non ci risparmia le «finite a schifìo», i «macari», le «buttane» e le «minchie».

Matteo Collura