Il Salvagente 21.10.1999


Martino Ragusa

Con tutto il rispetto per Adelina, le arancine - noi, in Sicilia, le chiamiamo così - che danno il titolo all'ultimo libro di Camilleri - mi convincono veramente poco. Forse la sua memoria non è più quella di una volta o forse a Vigata le arancine le fanno proprio strane. Oppure è colpa del commissario Montalbano, che magari sa mangiare meglio di quanto non sappia cucinare e ha preso qualche svarione raccontandocele. D'altra parte, il procedimento è descritto con tale accuratezza che viene voglia di commentarlo passo passo per correggerlo. Senza che Adelina, per carità, si offenda. In neretto metto i passaggi chiave del testo di Camilleri. Adelina ci metteva due jornate sane a pripararli. L'inizio è corretto. È vero che ci vogliono due giorni! Io, anzi, ce ne metto tre. Un giorno per fare il ragù, che lascio insaporire e addensare in frigo per ventiquattr'ore. Il secondo giorno preparo le arancine e le friggo solo dopo averle fatte riposare altre 24 ore in frigo perché si compattino bene e non si aprano durante la frittura. Del resto chi ha voglia di palle di riso fritte può sempre fare in due e due quattro degli ottimi supplì romani. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve cociri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. L'"aggrassato" (parola siciliana che indica l'umido) nel caso delle arancine non è altro che un normale ragù. Va bene la carne di vitello, ma sarebbe meglio quella di manzo, mista a quella di maiale. Una scuola di pensiero di tutto rispetto insiste per l'aggiunta di fegatini di pollo durante l'ultima mezz'ora di cottura del ragù. Ci va la cipolla, non ci vanno né il prezzemolo né il basilico che, fra l'altro, preferiscono esibirsi sempre separatamente. Il giorno appresso si prepara un risotto, quello che chiamano alla milanìsa... Quella del risotto alla milanese è una moda recente. Il riso va semplicemente lessato a metà cottura, nove minuti esatti dalla ripresa del bollore. (senza zaffirano, pi carità!) Con lo zafferano, invece, per carità! Lo zafferano è arrivato a Milano dal mondo arabo via Spagna-Sicilia. È comunque vero che non veniva usato nelle versioni povere del piatto o, ancora oggi, in quelle capziosamente economiche delle rosticcerie. Lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddare. Prima lo si fa raffreddare, dopo si mettono le uova. Se si rispetta la sequenza di Adelina le uova si cuociono e diventano uova strapazzate mescolate a riso. Intanto si cocino i pisellini. Meglio metterli nel ragù, durante gli ultimi 30 minuti di cottura. Si fa una besciamella. "E che è sta besciamella?" direbbe un siciliano doc. Si riducono a pezzettini na poco di fette di salame. Meglio evitare il salame e ricorrere a qualche dadino di primo sale o di caciocavallo fresco. Il suco della carne s'ammisca col risotto. Il sugo non si mischia, quel poco che è avanzato si scola e si tiene per un'altra preparazione. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s'assistema nel palmo d'una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell'altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d'ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s'infilano in una padedda d'oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d'oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signuruzzu, si mangiano. Il finale è corretto. Ma meglio non esagerare con l'oro vecchio. Preferite un bel colore di oro giovane. Anzi, di arancio maturo, come vuole il nome. (Se poi volete tutta la mia ricetta, la trovate al solito posto, in ultima pagina).