La Stampa 14.5.1999
Camilleri e le passioni civili Dalla parte di Chevalley La mia Sicilia, una terra in rivolta non quella rassegnata del Gattopardo di Andrea Camilleri

Micromega organizza, domenica 16 alle ora 11 in Sala 500, l'incontro «Passioni civili». Sull'argomento, pubblichiamo un intervento dello scrittore Andrea Camilleri

Nel primo decennio del secondo dopoguerra andò di moda, tra gli scrittori e gli intellettuali, l'engagement, l'impegno, che era più un impegno politico che civile. Chi tesseva sottili trame psicologiche o descriveva travolgenti passioni amorose aveva sempre la peggio davanti a romanzieri che narravano di uno sciopero in miniera o delle lotte per la conquista della terra da parte dei contadini. Insomma il «privato» non aveva diritto di cittadinanza dove s'accampava il «pubblico». Anni dopo, ci fu chi asserì che il privato coincideva col pubblico, ma questa è tutta un'altra storia.
E' chiaro che buoni romanzi vennero fuori e da una parte e dall'altra, del resto è semplice-mente assurdo voler imporre poetiche ed estetiche in base al colore di una bandiera o per decreto-legge. Io, fortunatamente, ho cominciato a pubblicare moltissimi anni dopo la querelle tra impegno e disimpegno, che considero sciocca, allora come ancor oggi. Se le cose stanno così, potrà chiedermi qualcuno, perché quest'intervento in merito alla tavola rotonda, o quello che è, indetta dalla rivista «Micromega» alla prossima Fiera del Libro di Torino e che ha come tema la «passione civile»? La risposta è contenuta proprio nella mia scrittura, nei miei romanzi, soprattutto quelli ambientati nella Sicilia della seconda metà dell'Ottocento. Anzitutto in questi romanzi lo scenario è sempre quello del processo post unitario, processo a mio parere maldisegnato e peggio sviluppato, gravido d'incongruenze e d'errori, le cui conseguenze il nostro Paese ancora sconta. E guardate che non ne faccio una questione Nord-Sud, gli uomini politici siciliani hanno avuto la loro bella fetta di responsabilità. Sarò ancora più chiaro: nel «Gattopardo», in una scena memorabile, l'inviato piemontese Chevalley offre al principe di Salina la nomina a Senatore. E questi rifiuta, con la famosa battuta antistorica sui gattopardi. Io sono tutto dalla parte di Chevalley. Tirandosi fuori da quella che ritiene una volgare rissa politica il principe cede al luciferino orgoglio siciliano ed esce in un certo senso, dalla Storia. E con lui, quasi tutti i nobili che detenevano, in quel momento, la ricchezza. Ancora: i miei romanzi sono sostanzialmente corali, cioè a dire cercano di mostrare il ventaglio delle reazioni popolari di fronte a un determinato fatto: è un punto di vista, questo mio, scientemente scelto, E poi, quali sono i temi da me trattati? Nel «Filo di fumo» cerco di raccontare l'irresistibile ascesa di una classe borghese priva di scrupoli; nel «Birraio di Preston», la resistenza di una città di fronte a un sopruso dell'autorità che rappresenta lo Stato; nella «Concessione del telefono» tratto dell'oppressione burocratica e della manipolazione della realtà. La mia Sicilia non è la terra sonnolenta e rassegnata che in tanti hanno narrata (non Sciascia, non Pirandello): essa, semmai, nei miei libri è costantemente in movimento, in rivolta contro qualcosa o qualcuno.
Che poi io racconti queste vicende in modo ironico o che possa far scivolare il lettore in un'aperta risata, questo non significa né mancanza di passione e ancor meno assenza di passione civile: è un modo, appunto civile, di esporre dei problemi molto seri.