Il Messaggero 23.08.1999


Dal 10 ottobre le riprese dei nuovi film per Raidue, dai primi romanzi
di Camilleri. Protagonista, ancora Zingaretti. E il regista Sironi racconta
Ritorno alle origini

di MICAELA URBANO
ROMA — Mafia, eros e thanatos. Due storie complicate come un rompicapo, dure, sporche, aspre, passionali, sapide di passato, dolorose e misteriose. Il commissario Salvo Montalbano ritorna alle origini, protagonista della Forma dell'acqua e del Cane di terracotta, i primi romanzi gialli di Andrea Camilleri che stanno per diventare due film-tv nonchè successivi capitoli della serie che la scorsa stagione ha riscosso calorosi consensi di critica e di pubblico. Le nuove riprese inizieranno il 10 ottobre e Montalbano approderà su Raidue nella primavera del Duemila. Montalbano che ancora una volta ha preso in prestito la carne, le ossa e l'anima di Luca Zingaretti. E al suo fianco e nel letto avrà ancora la sua Livia (interpretata da Katharina Bohm), continuerà ad assaporare sarde e purpetielli affogati, a riempirsi i polmoni di salmastro, a fiutare criminali. E si ritroverà faccia a faccia con trafficanti d'armi e "uomini d'onore", grandi amori morti e sepolti ma ancora capaci di lacerare il cuore.
Manca più di un mese al primo ciak, ma il regista, Alberto Sironi è già al lavoro, ancora stordito dal successo che lo ha investito. Nato in teatro con Strehler, maestro di fiction (ha diretto Il grande Fausto, su Coppi) sgrana gli occhi dicendo: «Ci sono voluti più di trent'anni perchè si accorgessero di me, un po' come per Camilleri», sorride, fiero «di non essere mai sceso a compromessi e di poter dire: sono un uomo dalle mani pulite».
La spina dorsale dei prossimi racconti?
«La forma dell'acqua è l'intrallazzo, l'inciucio, la mafia. E Vigata, quel paese tanto immaginario quanto reale, diventa lo specchio del malaffare italiano. Il cane di terracotta, invece, è il romanzo dell'immedesimazione, l'unico forse in cui Camilleri e Montalbano sono la stessa persona».
La mafia secondo Camilleri?
«Assomiglia a quella di In nome della legge, di Pietro Germi. E' una mafia vecchia, antica addirittura, e appartiene più ai ricordi che al presente dello scrittore. E' una mafia di uomini di parola, una mafia che onora le regole, una mafia che forse non è mai nemmeno esistita».
La Sicilia che si riaffaccerà in tv?
«La Sicilia di Vigata è più dell'Italia, è l'ombelico del mondo. E' una lingua di terra che veglia sul male, sul bene e su qualsiasi altra possibilità. La Sicilia di Camilleri, che è diventata la mia Sicilia, non è un panorama da cartolina. Nessun accento calcato, nessuna caricatura, in contrapposizione alle tinte forti, crude, accecanti di quell'angolo greco ma anche arabo, civile ma anche barbaro». La risoluzione dei casi?
«Montalbano è lo stesso: in tutti i racconti. Matura mano a mano che il suo autore invecchia, ma il suo animo non cambia. E viene a capo dei delitti sempre con la stessa arma, l'intuizione. Incamera una serie di dati e poi viene sorpreso da un'illuminazione».
Che cosa invidia a Montalbano?
«La fedeltà. Una fedeltà quasi imbarazzante: potrebbe avere tutte le donne che vuole, ma non tradisce mai Livia. E la sua moralità, quella saldezza di principi che lo spinge a combattere una guerra privata, da solo e contro chiunque».
Che cosa non le piace di lui?
«Il rapporto irrisolto con il padre: ma in fondo è un lato che lo rende ancora più umano di quanto già non sia».
Le donne di Camilleri?
«Molto femmine, apparentemente peccatrici ma realmente sante, due risvolti della stessa medaglia. Che sorprendono con la femminilità, con una complessità che però è elementare come la terra, misteriosa come la luna».
I sentimenti protagonisti?
«Nobiltà di spirito, amore, odio, morte, padri e figli. Sentimenti forti, che hanno il colore della sensualità, dei tramonti, del mare. Il mare, la grande madre che ti dà la vita e pazientemente aspetta che tu gliela restituisca».
Meglio il cinema o la tv per questi romanzi?
«Non si tratta di categorie ma di qualità. Si può fare buon cinema così come buona tv se si è bravi artigiani».
Lei lo è?
«Io sono un artigiano, se bravo non sta a me dirlo».
Molti abusano di questa parola, ma che cosa significa, chi è l'artigiano?
«E' quel signore che mette insieme i tasselli di un puzzle, che segue l'arco di un racconto cercando di restituirlo in maniera semplice ma coinvolgente».