Parla il commissario Montalbano
Zingaretti: L'Emmy ci ha gia premiato.
ROMA — I
pugni in tasca, la rabbia in corpo, lo sguardo al mare. E
le spalle voltate a un mondo marcio che vorrebbe
annientare, per poi dimenticarlo. Stavolta il commissario
si è spinto oltre, ha ficcato il naso dove non avrebbe
dovuto, ha pestato i piedi ai più potenti tra i papaveri, a
quei delinquenti eccellenti mascherati da politici. Luca
Zingaretti è di nuovo Salvo Montalbano. Un attore bravo,
schivo e privo di divismo per un personaggio che ha
convinto anche i critici di Oltreoceano. I due film dai
romanzi di Andrea Camilleri, andati in onda la scorsa
stagione su Raidue, hanno ricevuto la nomination all'Emmy
l'Oscar della tv. E domani, insieme con il regista Alberto Sironi, il presidente di viale Mazzini, Roberto Zaccaria e
il capo di Raifiction Stefano Munafò, Zingaretti volerà a
New York, «con il fiato in gola fino al verdetto finale».
Essere entrati nella rosa dei candidati, secondo lui, è più
di un premio, «un riconoscimento che significa un ritorno a
come eravamo, al cinema dei grandi narratori».
I nuovi
episodi che sta girando in Sicilia, sono tratti da La forma dell'acqua (storia di affari e
malaffari) e Il cane di terracotta (eros, thanatos e mafia), i primi due gialli
scritti da Camilleri.
Chi è il
primo Salvo Montalbano?
«Con le
dovute sfumature è lo stesso, è quello che il pubblico già
conosce. Un uomo solo, che ragiona con il suo cervello e
non appartiene al branco. Un uomo che più di tutto tiene
alla sua onestà. E alla sua terra. Per carriera, mai
rinuncerebbe al trascorrere lento del tempo, ai sapori,
agli odori, ai colori, della sua Sicilia. Chi è Montalbano?
Un ruvido gentiluomo d'altri tempi. Perchè purtroppo oggi
conta più apparire che essere».
E Zingaretti?
«Non voglio
sembrare presuntuoso, per amor di Dio. Ma quei valori sono
anche i miei. Con la grande differenza che io li vivo in un
altro modo e in un altro mondo: Roma è una giungla, non è
quel piccolo immaginario paese di nome Vigata. Roma non è
un'isola , un minuscolo fortino protetta dalla cosiddetta
civiltà dal mare. Roma è dura. Ma se si è temprati a
dovere, se si ha dignità e si comprende che la vita è una
lotta continua, è possibile rintanarcisi».
Prima di tornare su Raidue con i gialli di
Camilleri, sarà San Pietro nel nuovo Gesù. Che tipo di
esperienza è stata?
«Grandiosa.
Il rosso accecante Marocco dei monti Atlas accoglieva un
set sconfinato e multietnico. "Sembra di essere
tornati ai tempi di Ben Hur", dicevano i macchinisti
più anziani. Mentre io assaporavo il gusto di una immensa
avventura».
E il suo
personaggio?
«Il mio Pietro è
il dubbio in carne e ossa. E' tormentato, quanto umano. Non
è mica facile credere e non farsi domande. Se oggi
arrivasse un uomo e dicesse "sono il Messia", chi
non avrebbe incertezze? E se quell'uomo uomo compisse miracoli,
chi non penserebbe: e se fosse un ciarlatano, un
cialtrone?».
Quali sono i suoi
dubbi?
«Gli stessi di sempre:
da dove vengo e dove vado».
Il
successo ha cambiato qualcosa nella sua vita?
«Non dormo più», ride. «Troppi caffè.
Quando giro per strada, la gente mi riconosce, io, sedotto
dal calore e dall' affetto, non posso fare a meno di far due
chiacchiere...E va a finire che mi ubriaco di
caffè...».
La bravura paga?
«Alla lunga, sì. Ho fatto una
gavetta che avrebbe sfiancato un cavallo».
Il traguardo?
«Restare un uomo libero. Poterlo scegliere,
il lavoro, e non dipendere, mai, dal lavoro».
di MICAELA URBANO