la Repubblica - Domenica, 27 giugno 1999 - pagina 44
di SILVIA FUMAROLA

Domani e il 5 luglio su RaiTre due speciali di "Ragazzi del ' 99"
DEAGLIO: "ITALIANI STRANA GENTE"

ROMA - La scelta è volutamente fuori moda, una Fiat Duna con gli altoparlanti che gira per viottoli e strade ad annunciare gli argomenti della trasmissione. Rispecchia lo stile di Enrico Deaglio, il più antitelevisivo dei giornalisti - "è vero, e mi sembra un bel complimento" commenta lui -, che con Ragazzi del ' 99 ha scelto di raccontare l' Italia di questa fine millennio con le storie di persone comuni. Mentre in estate la redazione continuerà a raccogliere materiale per la prossima stagione, vanno in onda domani e lunedì prossimo, su RaiTre alle 20.50, due speciali del programma: "Noi e loro", sul rapporto degli italiani con gli immigrati, e "Noi e noi", che indaga sulle nostre paure e i nostri desideri. Nel primo intervengono il presidente del Consiglio D' Alema, Innocenzo Cipolletta, Adriano Sofri, il sindaco di Milano Albertini, monsignor Loris Capovilla, e Andrea Camilleri; nel secondo anche Serena Dandini e Carlo Verdone. "Fa una certa impressione ripercorrere l' anno" spiega Deaglio, "perché in questi mesi sono successe tante cose, scoppiava la guerra e un' albanese vinceva il festival di Sanremo, D' Alema invece cantava da Morandi, Benigni vinceva l' Oscar. è stato un lungo viaggio tra molte contraddizioni". Un' inchiesta che è come un libro da sfogliare, con le facce di medici, operai, suore, zingari, carrozzieri, baristi, vigili, disoccupati, volontari, sacerdoti. "Sono 170 italiani" continua il giornalista "che fanno il ritratto di un paese vecchio, decrepito - case, strade, piazze, città - e molto, molto individualista. Un' Italia concentrata sul proprio benessere, ostinata nel perseguire i propri obiettivi. Poi vai a Otranto e vedi quello che la gente comune fa per gli immigrati e ti rendi conto che non ci sono due, dieci, venti Italie, ma sono molte di più". Com' è stata l' esperienza televisiva? "Sapevamo fin dall' inizio che un programma come questo, sarebbe stato una scommessa, un rischio, perché abbiamo fatto l' esatto contrario di quello che si fa in genere in tv. Come si dice in questi casi, abbiamo avuto il dieci per cento di share, che significa che al dieci per cento degli italiani le nostre storie sono piaciute. Di questo mi accorgo camminando per strada, andando al bar. Mi chiedono com' è andata a finire in un caso o nell' altro, si è creata una certa curiosità. Abbiamo tentato una strada diversa. Non abbiamo scelto persone che volevano mettersi in mostra, non abbiamo cercato l' effetto a tutti i costi, non siamo stati aggressivi, non abbiamo manipolato la realtà. La verità è che ci piace ascoltare le persone, riprenderle nella loro realtà, inquadrarle in un tempo e in uno spazio. E questo, mi rendo conto, è altamente antitelevisivo". Però ballerine e cubiste davano un tocco molto "televisivo". "Già. Anche quello è un mondo poco conosciuto, sorprendente, perché alla fine il sesso è visto sempre in modo un po' triste. Il fine di tutto sono i soldi... Ma di cose curiose ce ne sono, come un certo ristorante dove si mangia direttamente sulla pancia di una ragazza in bikini".

la Repubblica - Sabato, 26 giugno 1999 - pagina 1
di SEBASTIANO MESSINA

Ecco il piano del ministro Piazza per "punire" i burocrati che ci costringono alle lunghe file 

ARMIAMOCI DI UN FAX CONTRO I BUROCRATI
LA CODA ABOLITA PER LEGGE

PECCATO. Proprio ora che cominciavamo ad abituarci alla calca formicolante che nasconde lo sportello, proprio ora che avevamo imparato a stare in fila uno dietro l' altro, senza schierarci a ventaglio davanti all' oblò di vetro di Sua Maestà l' Impiegato, proprio ora che avevamo scoperto le segrete delizie del numeretto elettronico, andando al cinema in attesa del nostro turno, il governo che ti combina? Abolisce le code per decreto. Le cancella con un segno della penna. O meglio: le taglia. Dopo l' inflazione programmata, annuncia la fila programmata. Dunque rassegniamoci a cambiare vita, buttando nel cestino l' arte di fare la coda. Entrando in un ufficio pubblico sapremo che ci toccherà aspettare, mettiamo, sei minuti per una raccomandata, un quarto d' ora per un certificato, cinque minuti per un biglietto ferroviario. Il ministro Piazza, mite e insospettabile autore di un simile disegno di legge, vuole che ogni ufficio indichi "il tempo massimo di attesa". Se le file sono più lunghe, dovrà aprire nuovi sportelli. Se non lo fa, il cittadino non avrà diritto a un rimborso, ma il direttore di quell' ufficio passerà i suoi guai. GIA' , perché gli utenti ingannati potranno segnalare il tempo perduto a un numero di fax. E lui sarà destituito, trasferito, rimosso, degradato. Armiamoci dunque di un cronometro e di un fax: se passa la legge Piazza, abbiamo in pugno tutti i burocrati d' Italia. Questa novità rivoluzionaria è accompagnata da un annuncio sovversivo: scompare anche il gioco dell' oca del bravo suddito. Anziché farci rimbalzare sadicamente da uno sportello all' altro, da una circoscrizione a un commissariato, da un ufficio tecnico a un ufficiale d' anagrafe, a caccia di bolli, visti, autentiche e nulla osta - obbedendo, come diceva Marcello Marchesi, al motto del perfetto burocrate: "Est modulus in rebus" - l' ufficio nel quale incapperemo dovrà cercare di risolvere sul posto il maggior numero di problemi, e nel più breve tempo possibile. L' onere della prova adesso passa a loro. Qualcosa sta cambiando. Dopo la posta che arriva il giorno dopo, la Domus Aurea prenotabile al telefono e i treni che deragliano in orario, le code a tempo sono l' ultimo e definitivo segnale della chiusura della potente centrale della burocrazia nazionale, l' Ucas: Ufficio Complicazione Affari Semplici. Finisce un' epoca, nel paese dove le file sono ancora quelle di "Siamo uomini o caporali?", nel quale Totò si guadagnava da vivere scavalcando le file per il pane razionato. "Scusi, lei lo vede quel puntino nero lassù nel cielo?" chiedeva all' ultimo che stava in coda, e mentre quello cercava tra le nuvole col naso per aria, lui coinvolgeva tutta la fila nella ricerca di un aereo inesistente, e intanto li scavalcava a uno a uno nella lunga marcia verso lo sportello. Un maestro inarrivabile, un esempio insuperato. Se ne va un pezzo della nostra vita, quelle mezze giornate passate intruppati in uno stanzone saturo di afrori in cui cento italiani di centouno partiti diversi scoprono improvvisamente di credere nella stessa ideologia, di provare la stessa passione, di avere lo stesso nemico comune: quell' impiegato flemmatico e indolente che armeggia goffo con una macchina inceppata, e poi si alza con foglio, torna dopo un' eternità e ricomincia non col prossimo della fila ma col collega che gli porta, "famme ' sta cortesia", il conto corrente di chi è arrivato ultimo ma è bene ammanigliato anche all' ufficio postale. Scompare, certo, anche qualcosa di buono. La socialità delle code, per esempio, quella molla che scatta quando l' attesa si muta in speranza ed è capace - come ricordava Andrea Camilleri - di far risposare un vedovo, di regalare un' amicizia a un solitario, di dare una famiglia a uno scapolo scorbutico. Svanisce anche il comodo alibi di mille infedeltà, quelle immaginarie code bibliche per una bolletta o un codice fiscale inventate per celare l' incontro fugace di due amanti clandestini. Ma pazienza: il progresso ha un prezzo, e siamo arrivati alla cassa. Lode dunque ad Antonio Piazza, coraggioso eroe dell' attesa perduta. L' uomo che sfida con ammirevole incoscienza l' avvertimento di Schopenhauer: "Voler accelerare il regolare procedere del tempo è l' impresa più dispendiosa che ci sia". Il ministro che ancora non sa quello che gli accadrà quando si presenterà in Parlamento con il suo disegno di legge sottobraccio. Quel giorno, troverà ad attenderlo un solerte impiegato in livrea con le code, che gli farà un inchino profondo e poi gli mostrerà tredici decreti, settantatré progetti di legge e diciassette autorizzazioni a procedere che vengono tutti prima del suo provvedimento, sussurrandogli infine all' orecchio, con deferente ossequio: "Eccellenza, si metta in coda".



La Classifica
1 Il birraio di Preston

Si capisce, leggendo Camilleri, che il suo piacere letterario maggiore,
raccontando vicende della provincia siciliana (fatti veri su cui trama
e ordisce la finzione, e quindi in se' semplici se non fossero intricate
dall'essere appunto siciliane), e' quello di riportare il dialogo vivo.

Il birraio di Preston - 23 Preferenze

 

 

Nell'estate del 1995 trovai, tra vecchie carte di casa, un decreto ministeriale
(che riproduco nel romanzo) per la concessione di una linea telefonica privata.
Il documento presupponeva una cosi' fitta rete di piu' o meno deliranti
adempimenti burocratici-amministartivi da farmi venire subito voglia di
scriverci sopa una storia di fantasia (l'ho terminata nel Marzo del 1997).

La concessione del telefono - 23 Preferenze

La concessione del telefono 2
3 Il cane di terracotta

Il solito delitto di mafia, misterioso e intricato, a Vigata, cittadina
fantastica e metaforica in terra di Sicilia, dove Camilleri ambienta il suo
secondo romanzo giallo, con protagonista il commissario Montalbano.
Occhio e intelletto di giustizia, Montalbano risolve le sue inchieste, si
direbbe, per affinita' ambientale: e' cosi' perfettamente siciliano che
ogni indizio per lui si trasforma in univoco messaggio di un codice
conosciuto, da decrittare simbolo per simbolo, come una lingua arcaica che
continua a parlare in forme nuove.

Il cane di terracotta - 12 Preferenze



4) Il ladro di merendine    - 11 Preferenze


5) La stagione della caccia - 8 Preferenze


6) La forma dell'acqua      - 7 Preferenze


7) Un filo di fumo          - 7 Preferenze


8) La voce del violino      - 6 Preferenze


9) La bolla di componenda   - 3 Preferenza


10) Un mese con Montalbano  - 2 Preferenza


11) Il gioco della mosca    - 1 Preferenza

La repubblica22.06.1999

I francesi bocciano Sciascia polemista.

Marcelle Padovani ...
Camilleri? Anche lui usa il giallo come metodo letterario, ma a differenza di Sciascia non ci tiene a fare il moralista: e' un grande tecnico della scrittura che non vuole dare lezioni a nessuno.

Mario Di Caro

 
La repubblica22.06.1999

Camilleri con Montalbano spopola sotto l'ombrellone

Impazza il ciclone Camilleri. La libreria Sellerio di viale Regina Elena, nelle ultime settimane ha registrato un autentico boom dei libri del romanziere siciliano.
I piu venduti i gialli di Montalbano: "La forma dell'acqua", "Il ladro di merendine", "La voce del violino" e "Il cane di terracotta".
Va sottolineato che il lettore da spiagia predilige il volume piccolo, tascabile, da mettere facilmente in borsa. Anche per questo la linea Sellerio riscuote un discreto successo.
Vanno forte anche "I delitti di via Medina-Sidonia", e "La doppia vita di M. Laurent", di Piazzese.

"In linea di massima i clienti sono abitudinari - spiega Carmela, che si divide il turno non-stop con Bianca e Giuditta - Oggi, pero', e' entrato un pensionato che mi ha chiesto tutti i libri di Camilleri (15,ndr) ed ha speso 220 mila lire".

L'ultimo arrivato e' "Piccola posta" di Adriano Sofri, appaiato con "Bestie", un romanzo pulp dove la comicita' nera prevale.
Da ieri le libreria rimane aperta fino alle 24.

Marco Tripisciano



la Repubblica - Mercoledì, 16 giugno 1999 - pagina 22
di GIANNI MURA

"Non mi sento merce di scambio per il Cermis o per la guerra. Nella mia vicenda penso si fosse arrivati a un punto in cui anche gli americani erano disponibili a concludere qualcosa" della sua contentezza, dei progetti per il futuro
"GRAZIE A TUTTI, LA MIA VITA RICOMINCIA DA REBIBBIA" SILVIA BARALDINI PARLA DEL SUO RITORNO A ROMA DELLA SUA CONTENTEZZA, DEI PROGETTI PER IL FUTURO "SONO FELICISSIMA DI RITORNARE. IO AVEVO DUE OBIETTIVI: IL PRIMO ERA QUELLO DI RIENTRARE IN ITALIA, IL SECONDO DI FARLO SENZA PASSAR SOPRA ALLE MIE CONVINZIONI E SENZA COMPROMETTERE ALTRE PERSONE"

"A Danbury, quando si è sparsa la notizia che potevo uscire, tutte le detenute mi hanno fatto festa" "Roma è una bella città, anche se stare a Rebibbia non è la stessa cosa. Eppure lì ripartirò daccapo"

DAL penitenziario di Danbury la voce di Silvia Baraldini arriva forte e chiara. Allegra, anche. "Sto aspettando. è tanto tempo che aspetto, ma almeno stavolta si vede la fine del tunnel. Mi hanno detto che entro luglio la situazione dovrebbe risolversi". Cosa manca, a questo punto? "A Roma devono stilare un documento in cui si garantisce l' accettazione della mia condanna, riconoscendo la sentenza americana. Questo documento poi viene inviato a New York, valutato da una giuria che mi convoca per una dichiarazione formale. Quindi mi notificano il provvedimento di espulsione e m' imbarcano su un volo per Roma. Dell' Alitalia, credo. Ma non sono sicura. Non so, ad esempio, se avrò una scorta americana o italiana. Non so se sarò ammanettata per tutto il viaggio. Avere le mani libere sarebbe un bel modo di ricominciare. Ma non mi pongo il problema. Mi basta salire su quel volo e tornare in Italia". Quando ci è stata, l' ultima volta? "Ottobre ' 81. Ero andata in Africa per lavoro, poi sono passata da Roma a salutare i miei. Bella città, Roma. A me però piace anche Milano". Ricomincia da dove era partita, da Roma. "Sì, anche se stare a Rebibbia forse non è la stessa cosa che stare a Roma. è molto fuori città il carcere?". No, poco oltre la Tiburtina. Ma sempre carcere è. Parziale vittoria o parziale sconfitta? In Italia se ne discute. Qual è il suo parere? "è un risultato positivo. Io avevo due obiettivi. Il primo era quello di tornare in Italia. Il secondo era di rientrare in Italia senza passar sopra alle mie convinzioni e senza compromettere altre persone. Ho accettato le condizioni poste dagli americani perché quella era l' unica strada praticabile. E sono felicissima alla prospettiva di tornare, anche da Rebibbia è come ripartire daccapo". Tra le reazioni, in Italia, c' è anche questa: il via libera alla Baraldini è un baratto figlio del Cermis e della guerra. "No, la mia storia nasce prima. Certo io non mi sento merce di scambio. Sono vicina alle famiglie che vogliono giustizia per il Cermis, che non è una storia già conclusa ma una battaglia da continuare. Nella mia vicenda, penso si sia arrivati a un punto in cui per varie ragioni anche gli americani erano disponibili a concludere qualcosa. Tutti ci hanno messo un po' di buona volontà. Anch' io, che ho accettato condizioni particolarmente pesanti. Anche il governo italiano, che ha scelto la strada giusta. Anche il mio nuovo avvocato italiano, Grazia Volo, che sono contenta di avere scelto. è molto lucida, in gamba". Come ha reagito Liz Fink, il suo avvocato americano? "è molto contenta anche lei, naturalmente. Liz ha per le mani dei casi molto annosi, si dice così? Uno era il mio. L' altro è quello sulla strage di Attica, un processo in piedi da 25 anni. Silvia, mi ha detto ieri, se torni a casa tu, posso cominciare a pensare di andare in pensione. Ma se io sono arrivata a una via d' uscita non devo ringraziare solo governi e avvocati. Devo ringraziare milioni di persone. Tutti i comitati, tutti quelli che hanno organizzato manifestazioni per me, dalle corse dell' Uisp ai concerti di Guccini, tutti quelli che hanno firmato appelli, petizioni. Senza di loro non sarebbe esistito un caso Baraldini e io non sarei mai tornata in Italia. Forse dovrei usare un altro verbo, ma sono ottimista. Stavolta ci credo. Ci crederò veramente quando l' aereo si sarà staccato da terra". Come sono questi ultimi, si spera, giorni a Danbury? "Intanto, vivo molto meglio nel nuovo braccio sperimentale, è stato la mia salvezza. è molto tranquillo, ci sono in giro più psicologi che guardie. è riservato per metà a detenute diciamo così normali e per metà a donne che hanno subito violenze sessuali. Dopo le otto di sera è proibito ogni rumore e ci sono tre belle ore libere per studiare, leggere. Prima, nel braccio più turbolento, era dura. Quando si è sparsa la notizia che potevo uscire tutte le detenute mi hanno fatto festa. Spinte da tre motivi, credo. Il primo è che per chi sta dentro è sempre bello quando qualcuno esce, pensa che prima o poi toccherà anche a lei. Il secondo è che sono in carcere da 17 anni e, in rapporto a quel che ho commesso, molte pensano che mi meritavo di uscire. Il terzo motivo appartiene all' area più politicizzata: compagne che sanno perché sono in carcere e condividono le mie scelte. In carcere si è ottimisti e generosi. Quando si apre il portone si apre un po' per tutti, è una speranza in più". Vede ancora Susan Steinberg e Alejandrina Torres, che hanno diviso con lei anche i tempi atroci di Lexington? "Sì, e passiamo anche più tempo assieme perché ogni giorno potrebbe essere l' ultimo che ci vediamo. Alejandrina ha una condanna più leggera della mia, dovrebbe uscire nel 2002, Susan più pesante, fino al 2011. Non ci vedremo più perché io non potrò più tornare in America". Rimpiangerà qualcosa? "Inevitabilmente, avendoci passato molta parte della mia vita. Le amicizie, in primo luogo. Ma anche molti aspetti della cultura. La musica. Lo sport. A proposito, i miei Knicks sono in finale coi San Antonio Spurs. Sembravano finiti e in due mesi sono cresciuti parecchio, i Knicks. Lo sport dà belle lezioni di vita. Invece, cos' ha combinato Pantani?". Non lo so. Niente, lui dice. "Ci sono rimasta male. Qui in tivù il Giro non lo danno, ma il Tour sì, mezz' ora al giorno. L' anno scorso mi aveva entusiasmata e avevo letto che era un corridore all' antica, quindi che bisogno avrebbe di doping moderno? Torna al Tour?". No, lo salta. "Peccato. E poi non ho capito come ha fatto il Milan a vincere lo scudetto". Nemmeno io. Lei continua a fare sport? "Sì. Le cure sanitarie non sono delle migliori, in carcere, quindi è primaria l' esigenza di volersi conservare, tenere in forma. Mente sana in corpore sano, giusto? Per la mia età, non posso lamentarmi. Quelli che vengono a trovarmi per prima cosa mi chiedono come sto e per seconda cosa come mai ci sono tanti grassoni in America. è strano, con la fissazione del fitness". Saranno tutte le porcate che mangiano. Se dico tavola, lei a cosa pensa? "A degli amici, a una bottiglia di vino rosso". E se dico futuro? "Penso all' Italia e al fatto che dovrò imparare ogni giorno qualcosa. Penso che dovrò continuare a studiare. Vorrei perfezionare il mio spagnolo". E i suoi corsi di computer? "A livello elementare. Qui ti insegnano fino a un certo punto, temendo che se impari bene poi li usi contro di loro. Una cosa mi è chiara: passo da un regime carcerario che conosco bene a uno che non conosco per nulla. In America il detenuto è obbligato a lavorare, in Italia no, quindi avrei più tempo per studiare. Ho una laurea in storia afro-americana, quella che qui si chiama black history. Ma so che nelle carceri italiane c' è molto volontariato, questo m' interessa molto. Mi piacerebbe fare qualcosa di utile". Ha già cominciato a fare pacchi? "Sì, dice che porta male?". Spero proprio di no. Cosa spedisce? "è imbarazzante dirlo, un sacco di roba. Girando per le carceri si accumula, non si butta via nulla, tutto potrebbe servire. Molti libri li ho regalati alle compagne, molti altri li ho lasciati alla biblioteca di Danbury. Ho regalato la mia racchetta da tennis e altre cosette. Porto via solo i libri che mi servono per studiare e quelli che mi hanno tenuto compagnia, come i gialli di James Lee Burke, che non sono solo gialli ma anche affreschi sociali sulla realtà del profondo Sud. E quelli di Camilleri, che mi hanno spedito dall' Italia. Mi piace molto il commissario Montalbano. Poi, una delle prime cose che farò a Rebibbia sarà di ascoltare la canzone che mi ha dedicato Guccini. Molti di quelli che mi hanno scritto in questi anni accludevano il testo della canzone. Mi pare molto bello, lo so a memoria. Ma per valutare una canzone bisogna sentire anche la musica, no? Com' è?". Piuttosto country, direi. Giusta. A me fa venire in mente Woody Guthrie, ma forse sbaglio. "E poi mi porto via le lettere, le cartoline, tutto quello che rappresentava il ponte con l' esterno. Quello che fa parte della mia vita. Sono messaggi di appoggio, di solidarietà. Mi hanno dato forza". In Italia Silvia Baraldini è vista in diversi modi: un simbolo, un' eroina, una terrorista, una donna sfortunata. "Io non mi sono mai sentita una terrorista ma una detenuta politica. Altrove, i terroristi di ieri sono diventati capi: Mugabe, Mandela. Io so di aver commesso atti contro il governo degli Stati Uniti e per questo sono stata processata e condannata. E ho pagato. Pur di tornare in Italia rinuncio ad alcuni diritti, ad alcuni benefici. Ma mi va bene così, lo ripeto. E penso che il mio ritorno sia una vittoria anche per mia madre, che ha 82 anni e potrà vedermi quattro volte al mese e non una all' anno. Molti hanno parlato della mia forza, ma io so che è stata molto forte anche lei. E penso anche a mia sorella, che non c' è più ma che questa battaglia l' ha iniziata". Sta guardando più indietro o più avanti? "Indietro per gli affetti, ma anche avanti. Nella vita uno deve andare avanti. Quel volo per Roma, quando sarà, sarà il mio primo passo verso il futuro e conviene avere la testa chiara. Non mi spaventa la prigione, sia come sia non sarà peggio che qui e avrò la famiglia vicina. Un po' mi preoccupa, questo sì, l' incertezza di non sapere cos' è meglio, quando non conosci le situazioni. Ma in questo momento sono più felice che preoccupata".


Il Camilleri's fans club ha nominato Silvia SOCIA ad honorem

 

la Repubblica - Sabato, 12 giugno 1999 - pagina 42
Le novità in classifica
ANDREA CAMILLERI SCALZA BARICCO E CONQUISTA LA VETTA

Torna un vecchio leader. Andrea Camilleri conquista infatti con La mossa del cavallo la prima posizione della top ten superando City di Alessandro Baricco. Si confermano invece al terzo e al quarto posto Il testamento di John Grisham e la versione economica di un altro libro di Camilleri, Un mese con Montalbano. Quinto troviamo invece L' eredità di Eszter di Sandor Marai che è dunque in ascesa, mentre il Jacaré di Sepulveda scende al sesto posto, seguito dal vecchio Avvocato di strada, di Grisham in versione supertascabile. In discesa è invece De Crescenzo, con Le donne sono diverse, che passa in ottava posizione, così come in nona va Il piccolo libro della calma di Wilson. L' ultimo posto in classifica è occupato da una novità: tutte le canzoni e gli spartiti del grande cantautore genovese Fabrizio De André. La classifica libri è stata realizzata dall' Istituto Cirm.

 

la Repubblica - Domenica, 6 giugno 1999 - pagina 41
di RODOLFO DI GIAMMARCO

"Dopo 40 anni Catania mi mette da parte"
FERRO: ADDIO AL MIO TEATRO ALLA BASE DELLA SEPARAZIONE ANCHE L' INFLUENZA CHE LO STABILE PALERMITANO HA ASSUNTO SULLA CITTÀ ETNEA "QUANDO ENTRA LA POLITICA IL TEATRO È GIÀ FINITO"

Dopo lo strappo con direttore e presidente, l' anziano attore abbandona lo Stabile siciliano da lui fondato

ROMA - Turi Ferro abbandona lo Stabile di Catania dopo 40 anni di ininterrotta militanza. E' una dissociazione amara, una presa di distanze civile e non polemica che segna però uno strappo fortissimo e allarmante nel tessuto teatrale del più storico teatro pubblico della Sicilia, un organismo che lo stesso grande attore aveva fondato con Mario Giusti al termine degli anni Cinquanta. Artista apolitico per eccellenza, Turi Ferro ha reso pubblico giorni fa il proprio addio allo Stabile sulle pagine del quotidiano locale, ed è una lettera aperta, la sua, che lamenta trascuratezze, superficialità, scarso rispetto delle regole e un epilogo adesso ancora più imbarazzante, sfuggente, da ricollegare ai vertici dell' istituzione e, a quanto sembra, alla nuova direzione artistica affidata a Filippo Amoroso. Reagendo a una precedente intervista in cui Amoroso aveva parlato di saturazione e indisponibilità dell' attore, Ferro ha ritenuto doveroso uscire allo scoperto. "Voglio chiarire io stesso i motivi di un rifiuto che mi addolora immensamente" ha fatto sapere "e che per me rappresenta la rinuncia a gran parte di qualcosa a cui ho dedicato un' intera esistenza. Io ho solo tratto le conclusioni da una serie ininterrotta di comportamenti del Consiglio d' amministrazione dello Stabile. Mi domando se in più di un anno non fosse stato cortese chiedermi un incontro. E lo stesso dicasi per il presidente Giarrizzo, a tutt' oggi mai visto, né sentito. Ho appreso dalla stampa la notizia della nomina (rifiutata, n.d.r.) di Camilleri e poi di Amoroso". Va detto, per obiettività, che la direzione era più volte stata offerta, nel dopo-Baudo, (mentre si faceva anche il nome di Missiroli) all' attore-fondatore del teatro, suscitandone però il ritegno tipico dell' artista puro. Qual è stato il motivo di queste dimissioni da attore del teatro pubblico catanese? "Dopo che per due anni non sono stati capaci di individuare un direttore, ho incontrato in casa mia il neo- eletto Amoroso che mi ha esposto il cartellone, le produzioni già decise, ossia una rilettura de "Le Troiane" da Euripide, Seneca e Sartre (ad opera di Micha Van Hoecke) e de "La guerra di Troia non si farà" di Giraudoux (regia di Pugliese), chiedendomi di partecipare con qualunque altra cosa io avessi voluto. Ho fatto presente lo scollamento in atto. Mi ha risposto che si sarebbe adoperato per appianare le incomprensioni. Mai più visto, né sentito. Il tentativo di riconciliazione è durato meno di un' ora. Io auguro a tutti buon lavoro, e buone nuove prospettive, e lungi dal mettere in difficoltà lo Stabile potrò dedicarmi a miei progetti, che finora ho magari trascurato. Certo, mi torna in mente una frase di Giusti: quando in questo teatro entrerà la politica, lo Stabile finirà". Intanto c' è stata una conferenza stampa del teatro dove l' "affaire Ferro" non è emerso affatto. Per la cronaca, la dignitosa presa di posizione dell' attore allude anche a un evidente spostamento d' asse che è in corso da quando lo Stabile di Palermo diretto da Pietro Carriglio accresce la propria influenza in Sicilia: il direttore di Catania, Amoroso, è reduce dall' Istituto del dramma antico ed è stato consulente di Carriglio, e ha già annunciato la futura co-produzione con Palermo e col Piccolo di Milano di un "Macbeth" con regia dello stesso Carriglio, il quale ha a sua volta risposto a Turi Ferro attraverso un giornale, dicendosi "invitato" da Catania, proponendo un asse unito siciliano di tutte le istituzioni per un "Re Lear" da riservare a Turi Ferro con regia di livello internazionale. Ma intanto uno dei nostri più seri e rispettabili artisti della scena, ora alle prese con "Pensaci, Giacomino" di Pirandello, ha la grata fiducia del teatro privato e l' inspiegabile, politica indifferenza di uno Stabile cui ha dedicato quasi mezzo secolo di vita, cultura ed emozioni.


la Repubblica - Martedì, 1 giugno 1999 - pagina 42
di PAOLO MAURI

Il nuovo romanzo di Giuseppe Ferrandino
PINO PENTECOSTE PARODIA DI UN DETECTIVE

Il metodo Ferrandino, già apprezzato in occasione dell' uscita di Pericle il Nero, consiste soprattutto nel dosare la parodia, gonfiando e sgonfiando i personaggi di una sorta di Cartoonia napoletana e rifilandone però le asprezze con un omaggio a quel barlume di umanità che resiste anche nella peggior carogna. Nel Rispetto (Adelphi, pagg. 120, lire 20.000: verrà presentato questa sera, ore 21, alla libreria Bibli di Roma da Andrea Camilleri e Franco Marcoaldi) agisce il detective Pino Pentecoste: "un uomo tranquillo" che si dedica a cornuti e cornute, ha per amante una mignotta bellissima e intende difendersi da chiunque metta in forse la sua tranquillità materiale e, diciamo così, morale. Insomma Pentecoste è pronto a fare a cazzotti con tutti, poliziotti compresi, e a guardare storto i peggiori elementi della malavita napoletana che si sono messi in testa chissà che cosa. Ho scritto guardare storto e dovevo scrivere semplicemente guardare, poiché questo trucibaldo ammiratore di se stesso è soprattutto un osservatore, un antropologo in formato minore. E tutto il libro è un taccuino pieno di annotazioni, di ritrattini, di considerazioni a margine di un' umanità fiera e degradata insieme. "Rimasto da solo mi sono messo ad osservare l' isolato da lì sopra" dice Pentecoste ad un certo punto. "Si prova una certa specie di fiducia a guardare il mondo dall' alto. Fiducia in se stessi, voglio dire, mica negli altri. Ché anzi gli altri, lì, in basso, paiono patate". Dove il libro a mio parere funziona meno è nella storia proposta: una storia di cavalli rubati (anzi che i malavitosi si son rubati l' un l' altro in un complesso giro di furti per conto terzi) un intreccio che non riesce mai a diventare avvincente, anche se, come in ogni storiaccia nera che si rispetti, provoca i suoi bravi morti ammazzati. Persino lo stesso autore sembra dubitare della vicenda di zio Filomeno e se la ripete di tanto in tanto, come per metterla a fuoco. Dunque Ferrandino qui divarica: la storia è là, i personaggi sono qua, a fare il loro teatrino, a sfilare nell' ufficio di Pino Pentecoste o sotto le sue finestre. Pentecoste è infatti un detective poco mobile e anche un poco svogliato, di quelli che lasciano che i fatti vadano a lui, piuttosto che andarseli a cercare. Dicevo prima della parodia. Ferrandino lavora molto sulla lingua: un italiano secco, aggressivo, talvolta gridato, a cui si mescolano le espressioni dialettali dei vari personaggi. I "tamarri" dell' hinterland si rivolgono ai cittadini in un italiano storpiato, cercano cioè di parlar fino, secondo un' antica tradizione del contrasto comico. Lo stesso Pentecoste quando inveisce scivola nel gergo dei duri: ""Ma che cacone. Che terribile cacone" ho detto proprio svomicato". Ma i suoi antagonisti non sono da meno: "Avete sentito gente? Avete sentito chi abita qui? Il più grand' uomo di merda di questa città. Pino Pentecoste! Un pover' uomo di merda che sa fare il guappo solo a parole...". L' effetto, nonostante le minacce, non è, ovviamente, drammatico. è di una comicità clownesca, un po' antica, che mescola commedia e tragedia. Non credo sia un caso che il successo di Ferrandino e quello di Camilleri siano andati un poco di pari passo, quasi a soddisfare la voglia di linguaggi saporiti, di Italie arcaiche e magari anche anacronistiche rimaste a contrastare, se non altro per forza di fantasia, le Italie postmoderne, hamburger e discoteca. Sarà un caso che nei libri di Camilleri si veda solo una ruspante tv locale? è anche il ritorno, sia pure episodico, dell' espressionismo, forzato in parodia, che la vince sulla lingua omologata, asettica e tristanzuola delle frasi fatte e senza colore. Certo Pericle il Nero, rispetto a Pino Pentecoste, aveva una grinta diversa. Ma Pino, probabilmente destinato a tornare in scena, ha delle buone chance. Alla prossima.