6 maggio ore 20.40 RAIDUE

IL LADRO DI MERENDINE

13 maggio ore 20.40 RAIDUE

LA VOCE DEL VIOLINO




Giorno 06 maggio alle ore 20.40
l'Associazione Culturale "The Camilleri's fans club"
si riunira' presso la sede sociale (Palermo) per prendere visione dell'adattamento televisivo de
"Il ladro di merendine".
L'invito e' esteso a tutti i familiari, soci e simpatizzanti.
Chi fosse interessato a partecipare puo' rivolgersi al direttore esecutivo
Beppe



La Repubblica06-05-1999

Una sfida tra commissari

Uno profuma di capperi e basilico, vive in Sicilia, non lascerebbe mai la sua terra, e' un investigatore filosofo, gourmet; l'altro abita a Roma, e' "un Marlowe di Trastevere", secondo la definizione di Enrico Montesano. Una sfida impossibile quella di stasera tra Il Commissario Montalbano di Alberto Sironi (Raidue 20.50; con Katharina Bohm, Afef, Renato Scarpa e Guia Jelo) e l'Ispettore Giusti di Sergio Martino (su Canale 5 alle 21; nel cast Mietta, Paola Saluzzi). Due mondi, due mentalita', che non potrebbero essere piu' lontani: Luca Zingaretti, che da' vita al commissario creato da Andrea Camilleri (il film di oggi e' tratto da "Il ladro di merendine"), definisce il suo personaggio "un eroe all'antica"; Montesano vede l'ispettore "come un uomo ironico, pronto all'azione, allergico alle pistole".
Come si dividera' il pubblico?
"Non ci spaventa che sia abituato a un racconto diverso da quello di Camilleri " spiega il direttore di Raificrion Stefano Munafo' "L'investimento di Montalbano e' a lungo termine, su questo abbiamo gia' vinto: puntiamo alla qualita'. Vogliamo rilanciare un genere, il giallo, con forte connotazione italiana e europea. Dopo montalbano arrivera' Pepe Carvalho. La fiction Rai funziona, ma proprio per questo e' ora di cambiare, per evitare che i primi scricchioli diventino crepe: usciamo dal cliche' degli eroi ricorrenti e guardiamo di piu' alla letteratura. Peccato che Mediaset continui a fare copie delle copie: dagli spettatori alle "commesse".

S.F


Giornale di Sicilia08-05-1999

Montalbano batte Montesano

Il primo episodio della fiction "Il commissario Montalbano", in onda giovedi' Raidue, e' stata la trasmissione piu' seguita del prime-time con 6 milioni 251 mila telespettatori e il 24,45% di share, Canale 5 proponeva il primo episodio un altra fiction poliziesca: "L'ispettore Giusti", con Enrico Montesano, e' stata vista da 4 milioni 430 mila telespettatori (share 17,50%).



        

Il "Birraio" a Trapani

"Il birraio di Preston"
(Allestimento Teatro Stabile di Catania)

TEATRO UNIVERSITA'
Lungomare Dante Alighieri

Lunedi 3 Maggio 1999


Per informazioni:
Botteghino Teatro Villa Margherita

ore 10.00-13.00 / 16.00-19.00
Tel. 0923-21454
Fax 0923-22934



Giornale di Sicilia

Tornano da domani, sulle tavole del ristorante Il mirto e la rosa, i piatti del commissario Montalbano. Per tre settimane, il ristorante di via Principe di Granatelli 30 a Palermo offrira' la guida ai piatti del commissario Montalbano e la possibilita' di gustare i piatti abilmente descritti nei libri di Camilleri ai quali e' ispirata l'omonima fiction televisiva.

"L'idea - spiega la titolare Antonella Sgrillo - ci e' venuta visto il successo di vendita e di critica dei libri di Camilleri.
Quella descrizione magistrale dei piatti ci ha spinto a proporre questi particolari menu' dove cucina e letteratura s'intrecciano.
I clienti, accanto al piatto, troveranno alcuni passi tratti dai libri con l'affascinante e suggestiva descrizione".




XII fiera del libro
Andrea Camilleri
E' l'autore piu' venduto con un totale di 3950 copie,
3000 le ha vendute con Sellerio con tutti i libri pubblicati,
550 Rizzoli con "La mossa del cavallo",
500 Mondadori con "Un mese con montalbano"
Baricco
City (Rizzoli) 800 copie
Luther Blisset
"Q" (Einaudi) 790 copie




A Palermo Cinema Lux Via F. Di Blasi 25 (tel. 091348990)
L. 12.000 orari spettacoli 16.30 18.30 20.30 22.30 (480 posti)





6 maggio ore 20.40 RAIDUE

IL LADRO DI MERENDINE

13 maggio ore 20.40 RAIDUE

LA VOCE DEL VIOLINO



La Repubblica - Domenica, 30 maggio 1999 - pagina 44
dal nostro inviato LEONARDO COEN

Inseguendo Pantani sulle strade di casa: 168 chilometri di entusiasmo, curiosità e vecchie passioni
UN' AUTO IN MAGLIA ROSA SHOW MASERATI AL GIRO CON LA NUOVA 3200 GT NELLA TAPPA DA CESENATICO A SASSUOLO TRA LA FOLLA ESULTANTE

SASSUOLO - "Mo' scusi, è la macchina di Pantani?". Neanche il tempo di scendere dalla Maserati gialla. Attaccata alla portiera, una sventola di fanciulla. Viva la Romagna. Le cosce si allungano, la maglietta si tende. Bella e sguaiata la ragazza. Tiene duro: "è la macchina del Panta?", ripete, ostinata. Tutti gli stupori, tutti gli spasimi d' una simile coraggiosa indiscreta domanda. E vabbé, ha indovinato signorina, questa è la macchina del Panta, rispondiamo. Non vede il colore? Gialla. Come la villa che il Pirata si è appena costruito, fuori Cesenatico, in via Fiorentino (un tributo al super kitsch, direbbe Arbasino). Gialla, ripetiamo. Come la maglia del Tour: che Pantani ha vinto l' anno scorso. Come gli striscioni per strada, alternati con quelli tutti rosa del Giro d' Italia. Signorina, questo colore si chiama "giallo Modena". "Ma allora, che macchina è? Una Ferrari?", incalza la sventola. Al che il buon Omar Barbieri che di mestiere fa il collaudatore e che della sperimentazione in casa Maserati è un po' il boss, ha come un sussulto. Perbacco, gli è toccato ascoltare un' eresia. "Non l' ha visto il marchio? Ma-se-ra-ti - scandisce - è il nuovo modello della nuova era. Roba da centocinquanta milioni, granturismo, non le dice nulla questa parola?". Però Omar è anche molto gentile. è uno che si controlla: come appunto questa Maserati in curva. Risponde, in tono affabile: "Non è una Ferrari, è la nuova Maserati 3200 GT. Una belva. Sa, la marca del Tridente. Sa, 370 cavalli. Un due turbocompressori di impietosa potenza". No, non sa, la sventola cosa vuol dire tutto ciò. Né cosa significa la Casa del Tridente. Non sa che Nuvolari guidava la Maserati. Che Manuel Fangio ci vinse il Mondiale di Formula Uno. Che Stirling Moss ne era infatuato. No, alla sventola - una miss della carovana pubblicitaria che precede ogni tappa del Giro - le è "piaciuta tanto, posso salirci un secondo?". Roba da anni Sessanta. Da Italia del boom. Da "Poveri ma belli". Passa Marco il Pirata sulla sua Bianchi da tappa piatta, e un' occhiata alla Maserati gialla la getta, eccome se la getta. Al Pirata l' auto veloce gusta proprio. Magari sta pensando che è uno dei tanti premi in palio. Magari riflette che una così gli garberebbe. Magari s' arrabbia perché se è la posta in palio di un traguardo volante, è preda di quel vanesio d' un Cipollini. Manda comunque un gregario a far da spia: non si sa mai. Una "talìata", direbbe Camilleri, uno sguardo dentro l' abitacolo, il due più due, il cruscotto con la cornice sottile metallica e i quadranti dalla cifre neoretrò, un poco datato a dire il vero, i sedili in pelle Connolly (sniffata da godimento), il cruscotto - radica di olmo, carbonio, sobrietà - verrebbe voglia di spingere il sedile anteriore in avanti, vederlo scorrere automaticamente, fingere nonchalance. Ogni tappa del Giro d' Italia è come la vetrina di uno stand allungato. Quello da Cesenatico a Sassuolo (dodicesima frazione, mercoledì 26 maggio) misura 168 chilometri. Sfiora Modena, transita per Maranello. Una sfida incrociata, dunque. Il mito Pantani e il mito Ferrari. Poi ci siamo noi: che osiamo riproporre la terza via: il mito Maserati, il ciclismo è sport di strada. è passione popolare. La via Emilia, uno scampolo d' America e di Italietta. Ma qui il motore è un culto. E' una febbre senza rimedi. E senza razzismi. Perciò, chilometro dopo chilometro, la Maserati incassa il suo quorum d' apprezzamenti. E di scappamenti. Annunciamo i passaggi con rituali accelerazioni che sembrano rombi di jet Nato in decollo. O forse, sono i jet Nato della vicina base di Pisignano che s' abbassano per ammirarci? L' effetto è da sballo. La macchina, pure. A Ca' di Sola di Castelvetro, cartello: "Pantani Ferrari". Uno a zero per la rossa di Maranello. A Solignano Nuovo, davanti al Bar Centrale, un tizio sostiene tra le braccia una procace bambola gonfiata, in bikini nero su pelle rosa. E un cartello: "Forza Pirata, se vinci sarò tua". Stop. Il tizio: "Per uno che ha una Maserati così, non c' è bisogno di vincere un bel niente", dice. Uno pari. Ci avviciniamo a Sassuolo. Un uomo bardato da cicloturista con tanto di caschetto dal profilo aerodinamico approfitta di un semaforo rosso. Affianca la Maserati, batte sul vetro. Omar lo riconosce. E' un ex collega. Si chiama Mauro Grinzi. Appena Omar abbassa il vetro, Mauro lo saluta: "Bella, la bambina?". Certo che sì. Giugiaro maestro, commenta invece un agente del distaccamento di Polizia Stradale che bada alla viabilità del Giro. Onore al progetto: e alla bellezza dell' automobile (peccato consumi come un Tir). Lo striscione d' arrivo è come un archetto di trionfo, e scivolandoci lenta sotto, la coupé modenese ottiene persino qualche applauso, in attesa dello sprint vincente di Cipollini. Che appena finita la volata, domanda: "Ma è vero che c' era una Maserati come premio?". No, bel Mario, non esagerare.

 


LA STAMPA 27-05-1999

CAMILLERI, COME CORRE IL CAVALLO

Subito in vetta (la settimana scorsa), subito deposto. Alessandro Baricco con la sua City cede il passo alla coppia Camilleri-Marai, in attesa di tornare prima o poi capitale della classifica (è o non è un genio il suo Gould, non lo ha forse stabilito una commissione di paludati professori, caricature – chissà – di tanta polis critica?). E dunque, la coppia al comando. Lo scrittore siciliano conquista il podio auspice una mossa felice, improvvisa, ormai da consumato signor bestseller (La mossa del cavallo si intitola il fresco successo: l'ispettore capo ai mulini di Montelusa assiste all'uccisione di un prete, poche ore dopo viene arrestato, secondo gli investigatori è il responsabile dell'omicidio). Lo scrittore ungherese, sulla scia delle Braci, architetta un'ulteriore sfida segreta, non meno intensa.


 

La Repubblica - Martedì, 25 maggio 1999 - pagina 44
di STEFANO MALATESTA

GRANDE INTRIGO A SMIRNE SU UN TRENO CHE ATTRAVERSA LA TURCHIA SI INCONTRANO UNA DONNA AFFASCINANTE E UN CELEBRE ARCHEOLOGO INGLESE

MISTERI ARCHEOLOGICI Un giallo che inizia a Istanbul negli anni Cinquanta e si risolve solo oggi, per puro caso, in una cittadina siciliana Storia di tesori e falsari

Castelvetrano (Trapani) Qualche giorno fa a Castelvetrano, in Sicilia, per una di quelle stupefacenti coincidenze, tanto detestate dai logici e così amate dagli scrittori, un signore che produce uno dei migliori olii d' Italia mi ha rivelato la parte finale della più affascinante e misteriosa vicenda archeologica del dopoguerra, iniziata nel 1958 su un treno Istanbul-Smirne. Notate l' estrema improbabilità del luogo: a Castelvetrano venne ammazzato Salvatore Giuliano, da Gaspare Pisciotta o dai carabinieri fatti entrare in casa da Pisciotta. Circondato da una campagna bellissima, coltivata ad uliveto, potrebbe essere l' ambiente ideale per un racconto finemente paesano di Andrea Camilleri, non per risolvere un intrigo esotico e internazionale. Ma il caso è notoriamente capriccioso, divertendosi con le inverosimiglianze. La rivelazione ha un antefatto. Due anni fa un avvocato di Sciacca, Primo Veneroso, persona competente e squisita, mi aveva mostrato la sua magnifica collezione di vasi e reperti siculi, una delle più importanti dell' isola. Durante la visita ero passato davanti a due o tre pezzi completamente differenti dagli altri. Quando chiesi da dove provenissero, Veneroso mi spiegò che erano ceramiche anatoliche, appartenenti alla cultura Yortan, una nazione marittima confinante con Troia. Si sapeva poco di questa cultura: solo che era guidata da un' aristocrazia di guerrieri e che risaliva, a giudicare da un oggetto egizio trovato in una tomba, alla metà del terzo millennio avanti Cristo. Quei reperti gli erano stati regalati da un amico e non appartenevano veramente alla collezione. Stavano lì come un tocco di eccentricità. Non credo che esistano al mondo più di quattro o cinque persone capaci di emozionarsi al nome della cultura Yortan. Io sono una di queste (l' autoreferenza nei giornalisti è una pratica detestabile, ma in questo caso indispensabile). Più di trent' anni fa nel supplemento a colori del Sunday Times vennero pubblicati due lunghi articoli, corredati da meravigliosi e evocativi disegni, che ricostruivano la vicenda della sparizione del (presunto) tesoro di Dorak. All' epoca il settimanale inglese si serviva di un gruppo di agguerriti giornalisti d' assalto, chiamato inside team, per le inchieste investigative. Erano articoli di gran classe, come mai avevamo letto in Italia, scritti con brio e nello stesso tempo molto precisi e circostanziati e quelli sul tesoro di Dorak, un paese a sud del Mar di Marmara, che più di cinquemila anni fa si trovava nell' area Yortan, fecero sensazione. Rimasi talmente preso dalla storia che da allora ho sempre seguito la carriera del suo involontario protagonista, l' archeologo inglese James Mellaart, famoso per avere scoperto il più antico sito neolitico che si conosca, a Catal Huyuk, in Turchia (almeno fino a quando i recenti scavi nell' Egitto non hanno rivoluzionato tutto quello che sapevamo sulla cultura neolitica). E negli anni ho aggiornato il dossier con qualche magra notizia carpita qua e là dai bollettini archeologici. Naturalmente nessuna chiariva il mistero. La fonte principale dell' intrigo - il termine può sembrare eccessivamente hitchcockiano, ma non ce n' è un altro più adatto - rimanevano i verbali degli interrogatori condotti nei riguardi di Mellaart dalla polizia turca, anche con una certa brutalità. In un giorno dell' estate del 1958, il giovane archeologo Mellaart, vicesovrintendente di una campagna di scavi in Turchia finanziata dal British Museum, aveva preso il treno che da Istanbul andava a Smirne. Ad un certo momento, nel suo scompartimento, proprio davanti a lui, si era materializzata una giovane donna, forse salita durante una fermata secondaria. Nel primo dei due articoli sul Sunday Times la donna veniva descritta come avvenente: una bruna alta, snella, con i capelli legati a treccia, che parlava perfettamente inglese, anche se con una sfumatura straniera. Mellaart dirà di essere stato attratto, per prima cosa, non dalla sua avvenenza, ma da un braccialetto che portava al polso. D' oro, a forma di nastro, disegnato con piccoli anelli e spirali doppie. Il giovane, ma esperto archeologo aveva riconosciuto nel gioiello un reperto archeologico simile a quelli che nel secolo scorso Schliemann aveva trovato sulla collina di Hissarlik, dove sorgeva Troia. Un pezzo raro, di eccezionale fattura. I giornalisti del settimanale inglese non ricamavano: seguivano sempre i verbali (forse qualche concessione alla bellezza della donna, come si fa in questi casi. Ma, visto il ruolo per cui era stata scelta, brutta non poteva essere). Tra l' eccitato archeologo, eccitato in nome della scienza, e la gentile e reticente signorina, dovette svolgersi un dialogo che i poliziotti turchi hanno rozzamente semplificato, nella loro fretta di trovare un colpevole e che certamente è durato a lungo, intrecciato di ambiguità, di bugie o di mezze verità. Mellaart voleva sapere che cosa era questo braccialetto, da dove veniva, chi l' aveva trovato e soprattutto se esistevano altri reperti simili. La donna aveva il compito più difficile: mostrarsi lusingata dall' interesse di Mellaart, ma timorosa. Invitante, ma riservata. Gentile, ma vaga. Raccontò la sua storia. Si chiamava Anna Papastrati ed era greca, figlia di un collezionista che aveva abitato a Smirne, in una casa dove aveva raccolto molti pezzi mai denunciati all' autorità turca. Questo era avvenuto parecchi anni prima che lei nascesse. Quando Mellaart esaminerà le note scritte a mano e allegate al tesoro, si renderà conto che i reperti erano il frutto di una campagna di scavi iniziata dal padre di Anna durante l' occupazione greca di una parte della Turchia, subito dopo la Prima Guerra Mondiale. O almeno così si voleva far credere. Il territorio venne successivamente e sanguinosamente ripreso dalle truppe turche guidate da Kemal pashà, il futuro Kemal Ataturk. Ma i Papastrati si salvarono, facendosi passare per inglesi e nascondendo il tesoro, che contava centinaia di oggetti. Prima di arrivare a Smirne, l' archeologo inglese implorò la greca, che era stata abilissima nelle noncuranti descrizioni dei reperti - ci sono statuette di ragazze seminude, ricoperte solo da un corto gonnellino, che si sorreggono i seni con le mani in un gesto propiziatorio, forse delle dee - a mostrargli, anche per pochi attimi, "tutta quella roba". A partire da questo momento la deposizione di Mellaart diventa molto meno precisa, come se un comprensibile nervosismo - si trovava di fronte ad una grande scoperta - avesse annullato la capacità di ricordare con esattezza, e di ricostruire senza sbagli il percorso successivo. Sembra che solo dopo le più insistenti richieste, la Papastrati abbia accettato di condurlo in casa sua. Alle condizioni tassative di non parlare con nessuno di quello che avrebbe visto: una promessa difficile da mantenere per chiunque, e in particolare per un archeologo. Scesi alla stazione di Smirne quando era già buio, i due s' imbarcarono su un ferry-boat che li portò attraverso la baia fino al distretto di Karsyaka. E poi con un taxi raggiunsero un stradina non illuminata, persa in un dedalo di altre stradine, dove abitava la ragazza. Nella casa della Papastrati Mellaart rimase qualche giorno. La donna non voleva che i pezzi venissero fotografati, anche per uso personale, ma lasciò incomprensibilmente che venissero disegnati. Il suo atteggiamento non era cambiato, perchè la divulgazione dell' esistenza del tesoro avrebbe avuto conseguenze disastrose per la sua famiglia. C' erano figurine di maiolica, d' argento e d' oro, coppe in oro cesellato, spade, braccialetti, vasellame di ogni tipo dipinto con segni geometrici e colorati: una collezione straordinaria, che comprendeva anche reperti della cultura neolitica e calcolitica di Hacilar, corredata dalle note manoscritte e da foto ingiallite di scheletri ancora distesi in due tombe. Prima di ripartire, Mellaart riuscì ad ottenere dalla Papastrati una promessa. Se per qualche ragione avesse cambiato idea, lui sarebbe stato l' unico studioso autorizzato a rendere noto il tesoro e a scriverne. Qualche mese più tardi Mellaart ricevette una lettera della greca. I genitori Papastrati, oramai vecchi, avevano deciso di trasferirsi all' estero e di lasciare il tesoro allo stato turco. L' archeologo era così liberato dall' impegno e poteva scrivere senza preoccupazione del ritrovamento. I verbali non ci dicono cosa ne pensasse Mellaart della troppo straordinaria scelta di tempo di Papastrati padre per dileguarsi. Probabilmente l' archeologo era così preso dalla stesura della relazione che non aveva avuto il tempo né la voglia di farsi molte domande. Il 25 novembre del 1959 The Illustrated London News esce con un magnifico, lungo articolo, firmato da Mellaart e intitolato: Il Tesoro Reale di Dorak-Il primo e esclusivo reportage sugli scavi clandestini che hanno portato alla più grande scoperta archeologica dalle tombe di Ur. Il mondo archeologico è elettrizzato, ma la polizia turca, come era facile prevedere, è infuriata per essersi lasciata sfuggire un simile ritrovamento. Mellaart viene convocato dagli agenti speciali addetti al settore archeologico e interrogato. Come abbiamo già detto, il suo racconto, chiaro e dettagliato fino all' arrivo a Smirne, diventa nebuloso dal momento in cui lui e la greca hanno preso il ferry boat. Servendosi delle sue indicazioni gli agenti non solo non riescono a rintracciare la ragazza- - che a questo punto scompare definitivamente dalla vicenda - ma nemmeno a ritrovare la casa nella strada male illuminata. L' archeologo è fortemente sospettato, ma di che cosa? Di essersi inventato tutto per diventare celebre come Woolley, Evans o Carter? Di avere veramente trovato il tesoro e di averlo fatto sparire lui stesso (ma perché, allora, parlarne sui giornali)? L' incertezza si prolunga cinque anni, anche perché non esiste ancora il corpo del reato, ma solo qualche disegno. Poi, nel giugno del 1964, il giudice incaricato delle indagini archivia il caso contro l' archeologo per mancanza di elementi certi. Ma la carriera di Mellaart in Turchia è rovinata. Quel giorno della visita alla sua collezione, avevo accennato a Veneroso la storia del tesoro, senza dilungarmi troppo. Due settimane fa, sempre in compagnia di Veneroso, andai a trovare un grande, grandissimo commerciante di arte antica di cui avevo sentito parlare, Giancarlo Becchina. Possedeva un palazzo a Castelvetrano pieno di fantastiche collezioni e viveva in campagna, in un antico pavillon de chasse riadattato, circondato da un laghetto dove sguazzavano innumerevoli paperotte. Becchina si era ritirato dal commercio di opere d' arte, ora importava cemento dalla Grecia e produceva un olio verde profumato e pregiato. Era un bell' uomo di un certo portamento, affabile e gentile, che aveva mantenuta intatta una genuinità paesana, attraverso una vita eccitante e assai movimentata. Ci fece entrare in cucina, dove tirò fuori dal congelatore dei sorbetti di limone e di fragola. Aveva scoperto il modo di mantenerli morbidi anche sottozero, evitando che si trasformassero in pezzi di ghiaccio e in effetti i sorbetti si squagliavano in bocca, lasciando un sapore pastoso e delicato. Per un po' la conversazione andò avanti tra olii, gelati e un liquore che l' irrefrenabile Becchina stava producendo, quando Veneroso disse, quasi di sfuggita, che era stato l' ex commerciante d' arte a regalargli i reperti Yortan. Questa volta, intuendo di trovarmi davanti un interlocutore unico e prezioso, raccontai la vicenda per esteso, entrando nei dettagli. I giornalisti del Sunday Times, alla fine del reportage, avevano avanzato alcune ipotesi per spiegare il mistero. Una di queste ipotesi - non sostenuta da nessuna prova concreta, come le altre - inquadrava l' affair in un colossale imbroglio, organizzato da una gang di trafficanti. Partendo da un nucleo originale di reperti, trovati effettivamente in uno scavo clandestino, i falsari avevano deciso di moltiplicarlo con falsi di qualità. All' epoca la cultura Yortan era pochissimo conosciuta e bisognava trovare qualche autorevole, ma anche ingenuo studioso, che facesse conoscere al mondo la gloria delle antiche civiltà anatoliche. Era necessario che sul ritrovamento si organizzasse il più grande clamore, possibilmente con un articolo pieno di illustrazioni, in modo da poter riconoscere gli oggetti. Poi ci avrebbero pensato i falsari. La scelta era caduta su Mellaart. La Papastrati era stata un' esca e faceva parte della banda. Mentre parlavo, vedevo Becchina che ascoltava con attenzione, senza interrompermi. Ogni tanto sorrideva, facendomi segno di proseguire il racconto che sembrava dargli un certo piacere o ricordargli qualcosa di gradito. Quando la storia ebbe fine, emise un sospiro, come sollecitato da una memoria nostalgica. Poi disse, semplicemente: "Non è un' ipotesi. E' quello che è accaduto realmente, per quanto ne sappia. C' erano moltissimi falsi in giro, all' epoca, acquistati dai musei e dai collezionisti privati". Si fermò per un attimo, sorridendo un' altra volta. Infine aggiunse: "Io ho comprato il nucleo autentico, il vero tesoro". Intorno al 1970, mentre si trovava a Basilea, il suo centro di affari internazionali, Becchina venne avvicinato da un amico, un commerciante turco. Da quando i reperti Yortan erano stati messi in circolazione erano passati molti anni e qualcuno aveva cominciato ad accorgersi dei falsi. L' informa- zione aveva fatto presto a diffondersi e ora tutti rifiutavano di comprare qualsiasi manufatto anche lontanamente legato alla cultura anatolica. Il turco era in possesso solo di numerosi pezzi buoni, trovati nello scavo clandestino. Ma per un paradosso comune nel commercio dell' arte, la paura del falso annullava l' autenticità e due o tre esperti avevano dichiarato che si trattava di opere contraffatte. "Il turco era molto depresso. E' gente che si agita se non vende immediatamente", continuò Becchina. "Andai a dare un' occhiata al lotto quasi per fargli piacere. Non sono mai stato uno studioso, ma una certa pratica, un certo fiuto, non me li negano nessuno, in particolare per le ceramiche. Dal primo istante non ebbi nessun dubbio che fossero veri. Certi pezzi ti parlano. Acquistai tutti i reperti Yortan e anche altri provenienti da Hacilar, ad un prezzo francamente ridicolo e rivendendo solo una minima parte, costituita da testine di terracotta, ho guadagnato cinque volte tanto. Gli acquirenti, che si fidavano di me, erano musei, come quello del Missouri e privati". Era tardi e dovevamo ripartire. Dopo qualche lustro il mistero del tesoro di Dorak si era chiarito con l' aiuto di un signore che ora produceva olio e fabbricava sorbetti. Per Becchina era stato un buon affare - ora capivo quel senso di nostalgia per i vecchi, bei tempi - come lo era stato in precedenza per i falsari. Quanto a Mellaart, tornato in Inghilterra, continuò ad essere un' autorità sull' archeologia anatolica. L' ultima volta che ho sentito parlare di lui, si stava interessando ai motivi iconografici dei kilim, i popolari tappeti turchi. Sosteneva, con ragione, che non erano il prodotto dell' immaginazione di una cultura recente, ma che ripetevano in forme stilizzate antichissime figurazioni religiose del neolitico, che lui aveva così ben studiato.

 

La Repubblica - Sabato, 22 maggio 1999 - pagina 44
di SILVIA FUMAROLA

Da giovedì su RaiDue la serie dai libri di Vazquez Montalban. Due episodi diretti da Giraldi Valeria Marini, morbida e solare, è la prostituta Charo, compagna di Pepe. Nei libri è stanca, piccola e nervosa
PEPE CARVALHO DOVE SEI FINITO? I FILM TV TRADISCONO LA PAGINA SCRITTA: IL PROTAGONISTA, IL CATALANO JUANJUO PUIGCORBÈ, NON RICORDA L' INVESTIGATORE

ROMA - Per soffrire un po' meno, bisogna non aver letto i libri di Manuel Vazquez Montalban. Perché se avete amato l' ironia, l' intelligenza, il fisico imponente di Pepe Carvalho, detective, intellettuale di sinistra, gourmet, le ombre e i colori di Barcellona, guardando la tv, bisogna dimenticarlo. In tv l' investigatore, interpretato dall' attore catalano Juanjuo Puigcorbè, è un signore asciutto che fuma il sigaro, taciturno, vestito tono su tono. Sarà anche vero che i libri si tradiscono, ma nella serie in sei episodi coprodotta da italiani, spagnoli e francesi - da giovedì su RaiDue - i tradimenti non si contano. La prostituta Charo, piccola, sciupata e nervosa, complice di Pepe, sullo schermo è una solare Valeria Marini con le labbra bordeaux, che sfoggia cappotti ornati di pelliccia e lo aiuta come può. "Lo so" dice la Marini "il personaggio è molto diverso da quello raccontato da Montalban, resiste l' idea che è complice e compagna del protagonista. Nei gialli è una prostituta un po' in là con gli anni, qui sono una tenutaria di cabaret. Quando ho avuto le sceneggiature, Charo era già stata modificata, ma a me è andata bene lo stesso". I film sono stati girati da diversi registi in rappresentanza dei tre paesi produttori, inutile cercare una cifra stilistica comune; i due episodi italiani, Alla ricerca di Sherazade (che apre la serie) e Il centravanti è stato assassinato verso sera, sono diretti da Franco Giraldi; poi andranno in onda Il Fratellino, Come eravamo, La solitudine del manager, Storia di famiglia. C' era grande attesa per un altro detective mediterraneo, dopo il successo del Commissario Montalbano, che si chiama così in omaggio all' autore spagnolo. Ma se lo spirito dei romanzi di Camilleri è stato colto in pieno, qui manca l' atmosfera, eppure tutti si dicono grandi estimatori dei libri di Montalban, (pubblicati in Italia da Feltrinelli). "Sono un grande appassionato dei suoi romanzi e del suo Pepe Carvalho dagli anni ' 80" spiega Giraldi "Il personaggio mi ha colpito per il suo disincanto, il suo essere di sinistra con un passato da agente della Cia e un arresto alle spalle per essersi opposto alla dittatura franchista. Il problema dei due episodi prodotti in Italia era quello di trasportare un personaggio così spagnolo e così letterario senza perdere il "sapore" delle storie". E il "sapore" purtroppo si perde: nel Centravanti verrà ucciso verso sera, girato a Perugia, tra stadi e spogliatoi, Carvalho sembra un signore capitato lì per caso. L' aspetto del buongustaio poi, sparisce: si limita a portare una gavetta con i rigatoni all' amatriciana al suo aiutante Biscuter. "Ma le differenze" spiega Puigcorbè, che adora Carvalho "sono state approvate dallo stesso Montalban". Il direttore di RaiDue Carlo Freccero fa l' apologia di Pepe ("adoro il suo disprezzo per la cultura manageriale e liberista, il suo essere di sinistra e laico, un Che Guevara convinto che dietro ai ricchi ci sia sempre il male"), e preferisce parlare dell' esperimento produttivo "importante per il futuro della fiction europea. Vale come tentativo, bisogna accettare le scommesse. Carvalho è meglio delle fiction domestiche buoniste. Ma in futuro, visto che pensano alla seconda serie, vorrei dire la mia, perché una rete non può limitarsi a fare il taxi per la fiction".

 

La Repubblica - Lunedì, 17 maggio 1999 - pagina 34
di FRANCESCO ERBANI

Un convegno organizzato da "MicroMega" sulle passioni civili, vi hanno preso parte, fra gli altri, Zagrebelsky, Tahar Ben Jelloun e Camilleri
E ALLA FINE È SPUNTATA ANCHE LA GUERRA

Torino "Questa guerra è ormai in contraddizione con gli obiettivi che si era prefigurata". E' così, con le parole di Gustavo Zagrebelsky, che il tema dei bombardamenti a Belgrado e in Kosovo irrompe nel dibattito organizzato da MicroMega e intitolato "Le passioni civili". L' opinione di Zagrebelsky è netta, appena attenuata dalle cautele che spettano a un giudice costituzionale. Zagrebelsky cita la lettera che ieri ha scritto Norberto Bobbio e si domanda: "Siamo proprio sicuri che questa guerra fosse l' ultima scelta possibile?". Una risposta il costituzionalista torinese la porge: "In questa guerra troppe cose ci sono nascoste". Un profilo drammatico del conflitto nella ex Jugoslavia è la distruzione fisica del territorio. L' allarme lo lancia l' architetto Mario Botta, svizzero di lingua italiana. Non suoni blasfemo per le atroci sofferenze che patiscono gli esseri umani, "ma in Kosovo si sta sconvolgendo anche il patrimonio delle città e del paesaggio, si sta violentando il territorio della memoria, che sarà impossibile ripristinare". Purtroppo, è la conclusione dell' architetto, "per annientare un male se ne produce un altro". Il drammatico bilanciamento fra i costi che produce l' intervento della Nato e i vantaggi che si vogliono conseguire è ormai squilibrato. Tahar Ben Jelloun parte dal presupposto che in Kosovo è stata messa in pratica "una guerra razzista", iniziata nove anni fa. Eppure, è la tesi dello scrittore magrebino, la Nato non ha capito "che Milosevic non si fa alcun problema se il suo paese viene distrutto", esattamente come Saddam Hussein. Si può annientare ogni cosa in Serbia, ma non è detto che produca risultati. "Avevo molta fiducia nell' efficacia dell' azione della Nato. Ora quella fiducia mi ha abbandonato". Angelo Bolaffi resiste più degli altri a rivedere le sue posizioni sull' intervento della Nato. Anche in lui, politologo e germanista schieratosi fin dall' inizio a favore dei bombardamenti, crescono le perplessità. Ma ha un timore: le colpe della Nato non corrono il rischio di rilegittimare la posizione di Milosevic? Ecco, conclude Bolaffi, questo rischio va evitato "perché in ogni caso il problema resta il dittatore di Belgrado". Al dibattito organizzato da Paolo Flores d' Arcais ha partecipato per telefono anche Andrea Camilleri. Lo scrittore siciliano ha riservato ai bombardamenti dell' Alleanza tutti i suoi dubbi, anche se - ha aggiunto - la coscienza gli impone di non lasciare che prosegua la tragedia dei kosovari

 

La Repubblica - Lunedì, 17 maggio 1999 - pagina 34
di MASSIMO NOVELLI

BEST-SELLER E NUTELLA

Cala il sipario sulla Fiera in una domenica affollata e chiassosa, in cui più che libri si consumano pizzette e hot dog (tempo medio per averne uno ieri: mezz' ora), con eventi di svariato genere a far da fondale. C' è tuttavia un fatto positivo: dopo la lettera di Norberto Bobbio, tutti o quasi tutti esternano sulla guerra. Ne parlano anche Dario Fo a Predrag Matveijevic' , tra i pochi che non avevano nascosto la loro opposizione al conflitto. Per il premio Nobel "c' è un vuoto da parte degli intellettuali nel fronte contro la guerra". Lo scrittore croato si dice d' accordo con Bobbio, ma si mostra anche stupito per le posizioni inizialmente interventiste del filosofo torinese. Orde di signore, signori, militari, borghesi e ragazze, tallonano Antonio Di Pietro, che distribuisce biglietti da visita con la scritta "Viva l' asinello", e persino Paolo Brosio, inviato per Quelli del calcio. Poi i medesimi Di Pietro e Brosio si abbracciano davanti alle telecamere, ricordando Mani Pulite. Intanto, Andrea Camilleri si fa sentire via telefono. E le donne padane, intese come Lega, manifestano a loro volta contro la guerra. Soltanto i libri stanno zitti. l La passione per i libri è tanta che alcuni giovani si sono recati allo spazio delle vetrine tematiche, che ha avuto un buon successo, e hanno chiesto notizie di un famoso libro sui gulag: Arcipelago Gulash. Proprio così, testuale: il titolo lo avevano segnato in tal guisa su un foglietto. l Qualche intelligentone ha avuto la bella idea di mettere l' uno di fronte all' altro lo stand dell' Aned, l' associazione degli ex deportati nei lager nazisti, e quello delle Edizioni di Ar, che esponevano le opere complete di un certo Adolf Hitler. Prove di allestimento in chiave di revisionismo storico? l La miglior battuta di tutta la Fiera, raccolta a uno stand. Un tizio dice: "Vorrei pubblicare un libro". Lo standista domanda: "Lo ha già scritto?". Risposta: "No, ma ho molte idee". Bei tempi quando le idee erano poche ma confuse.


La Repubblica - Lunedì, 17 maggio 1999 - pagina 34
di SIMONETTA FIORI

E' STATA LA KERMESSE DEI RAGAZZI CHE LEGGONO

Torino Il libro come malato terminale: benvenga qualsiasi cura, pur di protrarne il decesso. La funerea metafora circola tra gli editori nell' ultimo giorno della fiera. Al diavolo dunque malumori e musi lunghi se gli incassi (e le presenze) sono in lieve calo. Basta con i mugugni per l' assenza delle star. Questa è stata la Buchmesse dei ragazzi, lettori del futuro. "La festa della semina", dice l' anfitrione Ernesto Ferrero. Ogni bilancio dovrà tener conto del paradosso tutto italiano: vendere libri nel paese dei non leggenti è come spacciare refrigeratori al Polo Nord. Meglio puntare sulle generazioni prossime venture. "Il nostro è un mercato sempre più difficile", commenta Renata Colorni, apprezzata editor dei Meridiani. "Questa edizione ha avuto il merito di avvicinare i ragazzi alla lettura attraverso una coreografia colorata. Perchè lamentarsene? Tutti questi giovani che affollano gli stand invitano alla speranza". La scommessa era proprio quella: togliere al libro l' aria polverosa e arcigna. La formula sembra aver funzionato. "Il logo delle precedente edizioni", dice Ferrero, "era fatto per scoraggiare i lettori: una porta che si apre sulla cittadella del libro. Ma la lettura è anche emozione, divertimento, scoperta. Noi abbiamo puntato su questo approccio più lieve: il bilancio è più che positivo". Anche i bestseller del Lingotto confermano l' affluenza dei lettori in erba. A cominciare dall' edizione, generalmente economica. Tra i più gettonati Alessandro Barricco, Luciano De Crescenzo, Dacia Maraini, Pennac, Jovanotti, Luther Blissett, ma anche Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli e Niccolò Ammaniti. E vanno a ruba i libri più cd, promossi dall' einaudiana "Stile libero". "Una megalibreria per i più giovani: è questo il salone di quest' anno e a me va bene così", dice Inge Feltrinelli, musa delle kermesse internazionali. Qualcuno però alza il sopracciglio: pochi personaggi di richiamo, dibattiti un po' grigi, nessun tema forte. "Una fiera piatta", commenta Rosellina Archinto, editrice di antica esperienza. Fatale è la nostalgia per l' effervescenza inventiva del passato. "Ma chi dice che la mediocrità sia un disvalore?", interviene con una battuta paradossale Alberto Asor Rosa. "Sicuramente le edizioni precedenti spiccavano per fervida bizzarria. Ma l' impressione che si ha quest' anno è di maggior ordine. Il pubblico non viene distratto dalla merce principale promossa dalla fiera, ossia il libro". Neanche Inge Feltrinelli rimpiange i grandi convegni d' un tempo. "Gli editori vengono qui per mostrare al lettore il complesso della propria produzione editoriale: meglio se non intervengono le star a disturbare il loro lavoro". Roberto Cerati, neopresidente della Einaudi, va curiosando tra gli editori anche minimi. Per mezzo secolo ha "predicato" il libro e non intende fermarsi proprio ora che occupa la poltrona di Giulio Einaudi. "Perché rifiutarsi di vivere una manifestazione di speranza e di consorzio comune con chi vive di libri?", dice con quella sua voce misteriosa. "E' una domanda che mi accompagna percorrendo gli stand. Leggendo sigle di editori anche minuscoli e notando assenze - ancorchè motivate - di altri...". Tra i "disertori" si contano i pentiti: Ferrero assicura che per il prossimo anno è già arrivata la prenotazione di Giuseppe Laterza. La fiera rimane pur sempre una ribalta preziosa. "Fermarsi agli incassi sarebbe sbagliato", dice l' einaudiano Lorenzo Fazio, responsabile dei tascabili e degli Struzzi. "La mostra continua ad avere un effetto moltiplicatore sul piano della immagine. Qui ci vedono lettori di specie particolare, volubili, incostanti, curiosi, facili alla distrazione, così distanti dai tradizionali frequentatori delle librerie". Tra le novità del prossimo anno due giornate dedicate esclusivamente ai professionisti del settore (editori, librai, professori), una joint-venture con il Salone multimediale di Cannes e l' apertura al mercato italiano all' estero, sotto la regia di Giuliano Soria. "S' annuncia una nuova primavera del libro", dice Ferrero, forse eccedendo in ottimismo. Certo è che questa Fiera rovescia il luogo comune che affida ai giovani il primato della non lettura. Secondo statistiche più recenti, la fascia dei non leggenti si estende dai ventenni ai quarantenni. "La colpa è anche degli editori", fa autocritica la Colorni. "Inondiamo il mercato con troppe novità. Con l' effetto di disorientare il lettore". Non sarà il caso di rallentare? Se ne riparlerà alla Fiera del XXI secolo.

 

la Repubblica - Domenica, 16 maggio 1999 - pagina 34
di MASSIMO NOVELLI

LA FIERA DELLE VANITA'
IL THRILLER CAMILLERI

Torino - Alla Fiera si parla finalmente della guerra in Serbia e nel Kosovo. Ci pensano anche i giovani del comitato torinese contro la guerra che nel pomeriggio, in corteo, raggiungono i cancelli del Lingotto. Qualche editore si era già attrezzato in mattinata, esponendo agli stand il volantino della manifestazione: da Gamberetti alle edizioni del Manifesto. *** Fantasmi in Fiera. Ieri si è sparsa la voce che fossero arrivati Marcello Dell' Utri e il presidente del Consiglio Massimo D' Alema. Ma nessuno li ha visti. C' è suspense, intanto, per Andrea Camilleri: verrà o non verrà per il convegno odierno di MicroMega? Paolo Flores d' Arcais promette comunque almeno un collegamento telefonico, già sperimentato l' altro giorno con Gianni Vattimo. Di certo, per ora, c' è solo l' annuncio della visita odierna di Antonio Di Pietro. *** Prosegue la guerra delle cifre, sulla falsariga di quella che invariabilmente caratterizza gli scioperi operai, quando i sindacati danno una percentuale alta e la Fiat, per contro, ne diffonde una piuttosto bassa. Stando alle cifre nude e crude, i visitatori della Fiera sarebbero in calo. Però gli organizzatori affermano che, essendo cambiate le date della kermesse del libro, i raffronti con l' anno scorso sono falsati. La matematica è davvero un' opinione. *** Nuova indiscrezione su Giuliano Soria, patron del premio Grinzane Cavour. Potrebbe essere lui, il prossimo anno, a curare la sezione internazionale della Fiera. *** Antonio Ricci, l' inventore di Striscia la notizia, sarà processato per avere "rubato" alla Rai delle immagini di un' intervista di Enzo Biagi a Pippo Baudo. "Se mi condanneranno - ha detto ieri in un convegno - diventerò una sorta di Padre Pio". Non c' è proprio pace per il beato di Pietralcina.

 

la Repubblica - Sabato, 15 maggio 1999 - pagina 50
dal nostro inviato LEONARDO COEN

Campione dei sospetti dal Tour ' 98, interrogato, sottoposto a test: lui cerca riscatto, gli altri vogliono incastrarlo Ho passato 7 giorni tremendi Cerco di ritrovare me stesso e un po' di serenità, sono qui per dare una mano a Gotti
VIRENQUE, ATTENTI AL DIAVOLO IL ROMAGNOLO: "TEMO TRAPPOLE E SORPRESE". SUBITO BAGARRE PRIMA DELLE GRANDI MONTAGNE IL PERSONAGGIO

AGRIGENTO - Richard Virenque arriva a piedi, insieme ai compagni di squadra della Polti, che peraltro fabbrica apparecchi per la pulizia domestica. Sono le cinque e mezza di un pomeriggio quasi estivo, ad Agrigento oggi parte il Giro, l' ultimo del Novecento, il più critico di una storia lunga novant' anni, perché comincia sotto l' ipoteca dei controlli antidoping e il campione francese ne è un po' il simbolo in nero: è un anno che gli fanno la posta, che cercano di incastrarlo, che tentano di farlo confessare, ma tiene duro, resiste, insiste nel recitare la parte della vittima di una congiura più grande di lui, non accetta di pagare per tutti gli altri, non vuol diventare il capro espiatorio di uno sport avvelenato. Per un curioso intreccio del destino, ieri è partito pure il processo per gli abusi edilizi nella Valle dei Templi, proprio dove le pietre hanno il colore del sole. "Giro pulito", si legge sul muro di una strada, prima della salumeria Pirandello. I ciclisti della Polti indossano un elegante completo grigio e sotto la giacca anche la camicia è grigia. Ma Richard è grigio pure in faccia, teso, quasi impaurito. Siamo in piazza Giuseppe Sinagra, c' è una piccola folla di curiosi, sfilano le autorità locali e sfilano i campioni: Virenque deve infatti recarsi, come tutti i 180 corridori del Giro, per la presentazione ufficiale delle squadre al delizioso Teatro Pirandello - non se ne abbia lo scrittore Andrea Camilleri, che è di Agrigento, ma qui per ora è tutto Pirandello -. Il campione francese solleva lo sguardo: sulla facciata della chiesa Regina Santissima del Rosario c' è scritto: "Ora pro nobis". Il Diavolo e il Buon Dio, avrebbe detto Sartre. Il Diavolo del ciclismo e il Buon Dio del perdono antidoping. Quarantotto ore fa era ancora a tu per tu con magistrati e polizia. Aveva detto, uscito dal commissariato: "Non mi sono dopato. Ho solo raccontato i fatti. Sono cosciente che nello sport esiste il problema del doping. Ma quando avrò smesso di correre, sparirà questo problema?". Richard è la coscienza sporca del ciclismo, l' ombra di uno sport in bilico. Si fa varco tra i ragazzini di Agrigento e i fotoreporter in agguato. Alors, Richard, comment vas-tu? Come va, Riccardo? "Sono venuto al Giro d' Italia per ritrovare me stesso e la serenità. E per dare una mano a Ivan Gotti". Lo dice con un filo di voce. Con la stessa angoscia dello scalatore che deve affrontare le terribili rampe del Mortirolo. Aggiunge: "Certo, non è che stia tanto bene. Mi sento come handicappato. Non ho potuto prepararmi. Ho passato una settimana tremenda. Sono come svuotato dentro. Ho voluto fare in bicicletta gli ultimi 50 chilometri del trasferimento da Palermo ad Agrigento, anche per scaricare la tensione. Ringrazio la Polti per la fiducia". E dopo il Giro, basta con il ciclismo? "Dopo non lo so". Dopo è troppo lontano. Per Virenque il dopo è nell' ordine delle ore. Lo aspetta, ormai, un' altra lunga, lunghissima notte profonda. Perché stamani gli tocca, come a tutti gli altri - ma a lui più di tutti gli altri - il controllo "per la salvaguardia della salute". Una sorta di check up dal quale dovrebbe uscir fuori la mappa dei buoni e dei cattivi: coloro cioè che stanno entro i limiti della norma e chi li ha bellamente scavalcati. Un' iniziativa tampone, in attesa di sistemi investigativi più efficienti ed efficaci, di cui si favoleggia da almeno 10 anni. Il che la dice lunga... Ufficialmente serve "per limitare l' uso delle sostanze che sfuggono ai controlli antidoping", come, non senza ipocrisia, l' ha definita ieri lo stesso Hein Veerbruggen, il presidente dell' Uci, la Federazione ciclistica internazionale. L' alibi per tirare avanti, vista la dichiarata impotenza a fare una lotta seria: "Dovrebbero essere gli stati ad investire per queste ricerche e non noi che abbiamo potuto spendere appena 600 milioni di lire". Peccato che per il futuro museo di Losanna dedicato al ciclismo si stiano progettando investimenti miliardari... Virenque tutte queste cose le sa benissimo e in fondo sono la sua Maginot, la linea di difesa. Però la battaglia lo ha consunto. Le Diable è smagrito e l' orgoglio, senza più forze, non basta a spingere sui pedali. Proprio questo preoccupa il suo manager Gianluigi Stanga: "E' un fascio di nervi, ora. Gli ho detto: Richard, non parlare dei tuoi problemi. Stai zitto. Troverai in corsa la concentrazione che hai perso in gendarmeria". Richard adorava il sapore del successo. Adesso ne conosce il prezzo. Ripete: "Cerco tranquillità". Lo ripete a se stesso? "Oui, peut-etre...". No, non esiste la tranquillità per uno che in Francia, dopo l' affaire Festina, chiamano con disprezzo "Monsieur le Dopé". Signor Dopato. Merde! Lui che sino a ieri era stato invece il duro del plotone, l' angelo della montagna, tre volte a sfiorare il trionfo nel Tour de France, uno di cui si diceva: "Ha due virtù essenziali: la spontaneità e il coraggio". Il pied-noir del gruppo: nato a Casablanca nel 1967, buone scuole a La Londe-des-Maurés, nella grande piana rossa che si estende dietro il Massiccio dei Mauri, in Costa Azzurra. La sua doppia natura - una pronta al sorriso, l' altra pronta ad azzannare - lo aveva issato in cima ai valori del ciclismo. Gli è rimasto il fondo solitario e feroce di chi si deve difendere da tutto e da tutti. Di chi si è trasformato nel cattivo del plotone. Nell' uomo che nega. Disperatamente. Cocciutamente. Nonostante le accuse dei giudici. Nonostante le ammissioni degli allenatori. Dei massaggiatori: come Willi Voet, che ha appena pubblicato un libro di memorie dal titolo eloquente: "Massacre à la chaine", la catena s' intende delle bici. Virenque, pettorale 148, ben lo sa.



Giorno 13 maggio alle ore 20.40
l'Associazione Culturale "The Camilleri's fans club"
si riunira' presso la sede sociale (Palermo) per prendere visione dell'adattamento televisivo de
"La voce del violino".
L'invito e' esteso a tutti i familiari, soci e simpatizzanti.
Chi fosse interessato a partecipare puo' rivolgersi al direttore esecutivo
Beppe




 

Corriere della sera13-05-1999

Da due anni è il re delle classifiche


«La mossa del cavallo» (Rizzoli), è il primo romanzo di Camilleri che non esce da Sellerio, suo editore «storico» a cui resta comunque fedele, pur avendo pubblicato anche da Mondadori i racconti brevi «Un mese con Montalbano».

* Finora lo scrittore, dal 1984 ad oggi, ha pubblicato 12 titoli fra saggi, romanzi storici e polizieschi, vendendo un milione e 200 mila copie, per lo più negli ultimi due anni, che lo hanno visto spesso ai primi posti delle classifiche.

* Romanzi come «Il birraio di Preston» o «Il ladro di merendine» sono arrivati alle 160 mila copie. Saggi come «Il gioco della mosca» ne hanno vendute circa 60 mila.

* Stasera alle 21 va in onda su Rai 2 uno sceneggiato tratto dal romanzo di Camilleri «La voce del violino».

 

la Repubblica - Mercoledì, 12 maggio 1999 - pagina 49
di MASSIMO NOVELLI

Si apre oggi al Lingotto la grande rassegna libraria Rinnovata nel gruppo dirigente, questa edizione è stata idealmente dedicata a Einaudi scomparso un mese fa
LA FIERA PUNTA AL CUORE LA MOSTRA DEL LIBRO DI TORINO

Sono 1350 gli editori che partecipano alla kermesse Massiccia presenza di scrittori, intellettuali e scienziati Poca ritualità molta festa e una domanda: la lettura provoca ancora emozioni?

Torino Comincia oggi al Lingotto la nuova avventura della Fiera del libro di Torino, rinnovata nel gruppo dirigente, nel marchio e nella formula dopo l' uscita di scena del fondatore Guido Accornero. Spiega il direttore editoriale Ernesto Ferrero che la manifestazione, che sarà inaugurata questa mattina dal ministro Giovanna Melandri e si concluderà domenica sera, è idealmente dedicata a Giulio Einaudi. Proprio all' editore morto un mese fa, spiega, "avremmo voluto chiedere di tenere la prolusione inaugurale della fiera. Quest' anno il tema che ci siamo dati è la lettura come piacere, come emozione, e per estensione le passioni intellettuali, l' intelligenza del cuore". E nessuno meglio di Einaudi, aggiunge Ferrero, "incarnava le ragioni di una passione "fredda" che era anzitutto quella dello stile, dell' etica civile, del rigore, dell' intransigente ricerca della qualità". Orfana senza troppe nostalgie della presenza dei politici (e quei pochi previsti diserteranno per l' elezione del capo dello Stato), la Fiera si propone di essere innanzitutto uno strumento al servizio della lettura. Ecco allora le vetrine tematiche (ovvero la produzione editorale ' 98-' 99 ordinata in otto grandi temi), i menu di lettura (bibliografie essenziali, dalla letteratura alla storia, dalla spiritualità alla scienza, firmate da specialisti), lo spazio ragazzi e quello Internet. Ma la kermesse del Lingotto, che non a caso s' intitola quest' anno Passioni: l' intelligenza del cuore, vuole essere soprattutto una festa del libro: lo scopo è di desacralizzarlo, renderlo oggetto di una passione che, come in una lunga educazione sentimentale, accompagni per tutta la vita. Si tratta certamente di una scommessa coraggiosa, visto che l' anno scorso quasi il 70 per cento degli italiani non ha comprato neppure un libro. Le sigle editoriali annunciate sono 1350, delle quali 250 non avevano partecipato all' edizione del ' 98. Sul coté dei personaggi, va detto che non ci sono grandissimi nomi, almeno quelli "spettacolari", da richiamo di massa, e ieri ha dato forfait Andrea Camilleri, che avrebbe dovuto partecipare al convegno della rivista MicroMega. Ci sarà in compenso una massiccia presenza della televisione, compresi Fabio Fazio e la sua banda di Quelli del calcio. Scrittori, intellettuali, scienziati di nome, del resto, non mancano: tra i tanti, Luis Sepùlveda, Dario Fo e Franca Rame, Predrag Matveijevic, il matematico John Nash, Francesco Biamonti, Tahar Ben Jelloun, Vincenzo Cerami, Vincenzo Consolo, Dacia Maraini, i giovani o ex giovani italiani più o meno "cannibali", Hugo Claus, Bjorn Larsson, Daniel Picouly (questi ultimi tre invitati dal Premio Grinzane Cavour), Andrea Zanzotto. Il programma prevede, tra l' altro, lezioni di giallo con Carlo Lucarelli, la pubblica presentazione dei candidati al Premio Strega ed un incontro con alcuni signore e signori piuttosto noti (da Salvatore Accardo a Pier Luigi Celli, Mario Monicelli, Gianola Nonino, Andrea Pininfarina), che racconteranno i migliori libri della loro vita. Cantautori come Alice, Carmen Consoli, Niccolò Fabi, Max Gazzè, Enzo Jannacci, Roberto Vecchioni, in compagnia della poetessa Alda Merini e coordinati da Fabio Fazio, chiuderanno domenica sera la Fiera in quello che si annuncia come uno degli eventi di successo. Con l' obiettivo di coinvolgere il maggiore numero di persone "nei piaceri delle passioni intellettuali", come ricorda Ferrero, è stata predisposta una serie di sconti e di agevolazioni. Si va dalla riduzione del biglietto d' ingresso - costa 12 mila lire, con un bonus di 6 mila lire da spendere nelle librerie cittadine - a pacchetti di sconti ferroviari per chi viene da fuori Torino. Come dire: che cosa non si fa per cercare di far leggere qualche italiano in più.