Il corriere della sera 17.09.199

ANTICIPAZIONE Sta per uscire un nuovo libro dello scrittore siciliano: una raccolta di racconti brevi ambientati tra Vigata e New York. Con una parentesi «cannibal»

CAMILLERI I venti casi di Montalbano


«Gli occhi sono fritti al punto giusto. Ne vuoi uno?», «Sì, se tu assaggi un pezzo di polpaccio». Non sono battute di Hannibal the Cannibal, ma di due òmini che il commissario Salvo Montalbano sta spiando per conto del suo creatore Andrea Camilleri: finché il poliziotto di Vigata non prende il telefono e chiama il sittantino (cioè il suo autore di 74 anni), per dirgli che rifiuta questo racconto. Camilleri replica che lo accusano di buonismo («uno che conta storie mielate e rassicuranti») e che cerca di aggiornarsi («Tanticchia di sangue sulla carta non fa male a nessuno»): ma il commissario butta giù la cornetta.

Così, negli altri 19 racconti che compongono la seconda raccolta di storie brevi di Camilleri (la prima, Un mese con Montalbano, uscì da Mondadori nel '98), la trama si dipana in quella fetta di Sicilia che si estende tra le immaginarie (ma realissime) Vigata e Montelusa, con digressioni a Roma, Genova, New York: fra commissariato e trattoria, fìmmine più o meno virtuose, gente di rispetto poco rispettabile, borghesi piccoli e medi con loro bagaglio di vergogne e ossessioni private. Insomma, quel caleidoscopio d'umanità che Camilleri ha reso un classico non solo del poliziesco alla siciliana (malgrado i pastiche linguistici ricamati sul dialetto), ma di una letteratura di genere che è sempre meno tale quanto più l'intrigo diviene lente d'ingrandimento per osservare la commedia umana.

Così, Camilleri non cede a tentazioni splatter e va per la sua strada senza assilli di buonismo (in realtà, quando prevale la vena ironica, il sittantino sa distillare veleni), confortato dalle classifiche dei bestseller. Resta da chiedersi se il romanzo gli sia più congeniale del racconto breve o viceversa. Personalmente, siamo convinti che una trama distesa premi di più le sue virtù evocative, la sua capacità di coinvolgere il lettore in un'atmosfera.

Nel racconto, invece, l'affresco rischia di rimanere bozzetto. Lo stesso Camilleri ci disse di essersi cimentato nel giallo «come esercizio di disciplina» per «verificare se era capace di organizzare un intrigo secondo linee logiche». L'esercizio è più che riuscito, ma nelle storie brevi l'organizzazione dell'intrigo rimane contratta e spesso tutto si risolve in un colpo d'astuzia.

Il racconto non consente, è ovvio, vaste architetture: ha bisogno di quello scarto dell'inventiva capace di creare una crepa nella normalità, miracolo non facile da rinnovare ad ogni prova ma che, in alcune storie, Camilleri riesce a compiere mirabilmente. Da quella crepa, per esempio, escono i due vecchi attori che ogni sera mettono in scena le proprie morti; il vedovo allucinato che riconosce la propria moglie defunta in una puttana sittantina; la fìmmina oggetto del referendum popolare («La signora Briguccio è una P...?») e che nasconde le proprie mutandine fra i tomi di un letterato; l'ex giudice che accumula in casa quintali di faldoni per vedere se mai ha tradito la verità.

Tutte storie, cioè, dove l'inatteso conferma un pensiero di Montalbano, per quale «nell'anormalità del delitto due più due può fare cinque».

di CESARE MEDAIL