La stampa 17.09.199
Montalbano odia i telefonini e risolve i gialli anche per posta

UN po' di gloria anche per Catare'. Catare', l'agente Catarella: il bersaglio segnato delle ire (dei fermacarte) del suo capo, quello che parla parla, in uno stralunato gergo siculo-italiano, e non viene Mai al dunque, che ha il deserto nel "ciriveddro". Ebbene, anche in questo deserto puo' accadere che s'avventuri coraggiosamente un pensiero: e Catarella risolve un caso, come si intitola il racconto a cui subito correra' incuriosito il lettore che ha dimestichezza con i personaggi di Andrea Camilleri.
La raccolta a giorni in uscita da Mondadori - venti storie inedite, salvo quattro rielaborate - prende invece il titolo da un altro racconto, Gli arancini di Montalbano, pubblicato l'anno scorso dalla Stampa. Una (non piccola) dose, per i montalbano-dipendenti in crisi d'astinenza, che dal '97 ormai attendono un nuovo romanzo. Una sorta di "vita quotidiana" nel commissariato di Vigata (il paese immaginario facilmente identificabile con Porto Empedocle, dove Camilleri e' nato), fitta intrighi e di caratteri.
C'e', come sempre, l'ansioso angariato vicecommissario Mimi' Augello, ci sono i fidi agenti Fazio, Gallo e Galluzzo, l'infido Jacomuzzi della Scientifica, il vecchio preside Burgio e "mogliere", Adelina la "cammarera", Ingrid la svedesona. E naturalmente lui, il ruvido protagonista, apparentemente cinico, fedele a distanza alla sua Livia che sta a Boccadasse, Genova, con la quale intrattiene brevi telefonate e lunghe lettere; il commissario amico dei ladruncoli e nemico dei farabutti, che sa sempre con certezza quello che per gli altri e' ancora soltanto un sospetto, un'ipotesi, magari un'impressione imprecisata o neppure quello; insofferente, insonne, buongustaio, meteoropatico, dotato di una capacita' di osservazione implacabile, di uno spirito deduttivo che lo mette in grado, perfino, di risolvere un caso a giro di posta (in "Salvo amato..." "Livia mia...", una sfida investigativa-letteraria tutta giocata sullo scambio epistolare, sulla falsariga del felice romanzo di ambiente ottocentesco pubblicato l'anno scorso, La concessione del telefono).
Da un racconto all'altro Camilleri carica il protagonista di sfumature, ne mette a punto la psicologia, ribadisce gusti, abitudini e idiosincrasie (imprestandogli, probabilmente, i propri). Montalbano e' tranchant con i "giudici guerci" di qualche anno fa, che avevano un occhio solo, inflessibile, per i reati comuni, mentre tenevano ben chiuso quello con cui avrebbero dovuto inquadrare la mafia e la corruzione dei politici; non ama i telefonini ); odia firmare le carte, e tutte le altre incombenze burocratico-impiegatizie che attentano all'esercizio della sua intelligenza; non puo' sopportare i libri di certi storici revisionisti (ama invece Pessoa, Gogol, Lewis Carroll, oltre al quasi omofono spagnolo Montalban, che ha ispirato il suo autore); detesta i giornalisti che dicono giustiziato per ammazzato.
Lo sfondo e' quello abituale, la Sicilia, preferibilmente quella riarsa e pietrosa della canicola estiva, dura e insieme capace di imprevedibili squarci azzurri, ardua e ammaliante come l'impasto lessicale in cui e' trascritta. Camilleri sa graduare la lingua con maestria, con invenzioni a volte strepitose. Con un talento particolare nel ricreare i sapori, gli odori, i colori, la semplice bellezza di un mattino marino di sole. Tanto che alla fine viene la voglia di essere li' davvero, nella casa sulla spiaggia, quando Montalbano pensa a Livia e prende in mano la penna: "e' l'una di notte, ti scrivo seduto nella verandina, c'e' la luna e il mare e' una tavola. Quasi quasi mi faccio un bagno".

Maurizio Assalto