Sempre caro 

di 

Marcello Fois 

PREFAZIONE di Andrea Camilleri

Davanti alla prefazione di un libro mi comporto in tre modi: la salto; la prendo in considerazione dopo aver letto il libro; la leggo prima solo se penso di trovarvi notizie e dati utili alla comprensione del testo. Quindi, venendomi a trovare nella posizione di prefatore, consiglio il lettore di far ricorso al secondo dei miei sistemi. Dia un'occhiata alla prefazione dopo aver letto questo romanzo di Marcello Fois, così io non avrò avuto la pretesa di guidare in qualche modo colui che legge, guadagnandoci invece la libertà d'esprimere la mia opinione che consiste in una sorta di commento personale alla lettura. Una prefazione che vorrebbe essere una postazione.

Premetto due cose. Ho incontrato Fois solo due volte, abbiamo scambiato poche parole. Non avevo mai letto nulla di suo prima di questo Sempre caro.

Dirò subito che la mia sorpresa è francamente notevole. E non lo dico per ragioni di circostanza. Dunque: in Sempre caro Fois racconta la storia di un'indagine, quella compiuta da un avvocato che deve difendere un giovane accusato di abigeato. Il giovane, inspiegabilmente, non solo si è dato alla latitanza, ma pare voglia distruggere le possibili prove a suo favore. Si tratterebbe perciò di un "giallo" sui generis, la cui particolarità è accentuata dal fatto che la vicenda ha luogo alla fine del secolo scorso ed è ambientata tra le aspre campagne sarde. Come si sa, un "giallo" non urbano è veramente perla rara. Ma da questo momento non parlerò più di "giallo", dire che questo di Fois sia un romanzo "giallo" suona riduttivo. Romanzo, semplicemente. E con tutte le carte in regola. Considerate, ad esempio, la struttura. Essa si avvale di almeno tre voci narranti: quella dell'autore, quella del padre dell'autore (che è colui che narra la storia) e quella dell'avvocato-investigatore. Questo comporta una singolare giustapposizione di angolature prospetticbe (spia ne è il passaggio continuo dalla prima alla terza persona) e un'affascinante scomposizione del tempo narrativo.

Poi c'è il fascino della scrittura di Fois, che consiste in una sapiente, calcolatissima commistione tra lingua e dialetto. "Quando cerco una parola che abbia un suono diverso, che porti anche una specificazione più precisa, uso il sardo. Credo che questo sia il contributo che ogni etnia regionale dovrebbe portare." Queste sono parole di Sergio Atzeni. L'abilità di Fois consiste nell'usare la lingua come una sorta d'incastonatura atta a ricevere la parola dialettale per renderla appunto di "specificazione più precisa" senza però che quella parola brilli come un diamante solitario e sia invece perfettamente innestata nel continuum del racconto.

Infine, rileggetevi, che so, la sequenza che inizia con "Me ne andavo così, apparentemente senza una meta precisa", oppure l'ultima, che inizia con "Ed ecco un'altra estate". Bene, qui, sornionamente, Fois lascia travedere l'altro suo volto, quello di un poeta autentico. Non mi era capitato, negli ultimi tempi, d'imbattermi in un narratore che avesse un così profondo, lucreziano direi, senso della natura e insieme la capacità di trasmettercelo.