Il Manifesto 09.05.2000
Il commissario Montalbano nella caverna sufi

Stasera su Raidue, alle 20.50, va in onda il secondo episodio del telefilm "Il commissario Montalbano", basato sul romanzo "Il cane di terracotta" di Andrea Camilleri. L'antropologo Silvio Marconi, esperto di sincretismi culturali e di etnostoria, ne dà una lettura inedita, ritrovando le lontane radici islamiche - filosofiche e mistiche - presenti nella tradizione siciliana (una ricerca che ha approfondito nel libro "Il giardino-paradiso", recentemente edito da "I Versanti"). Pubblichiamo ampi stralci del suo saggio intitolato "Cavernosità sufiche ne 'Il cane di terracotta' di Andrea Camilleri".  

 Loreena McKennit, nella presentazione della sua collezione di canzoni celtico-sufiche Mask and mirror (1984) cita un passo di Robert Graves, a sua volta contenuto nella prefazione del testo Sufis. In tale passo, Graves sottolinea due elementi importanti riguardanti il sufismo; il primo, è che questa corrente di pensiero, nata in ambito islamico medievale, risulta in effetti del tutto trasversale alle più disparate filosofie e religioni e lascia le sue tracce in forme di misticismo medievale e post-medievale apparentemente lontane dall'ambito musulmano ed invece, cripticamente, carsicamente collegate ad esso, inclusa larga parte del monachesimo e dell'esoretismo euro-cristiani. Il secondo consiste nella contastazione della possibilità che l'"essere sufi" si manifesti sotto le più diverse maschere, dal mercante alla donna di casa, dal cavaliere al sacerdote poiché rappresenta qualcosa di metodologico che trascende la specificità dell'attore sociale. Infatti, una delle caratteristiche essenziali del Sufismo è la concezione della realtà come una cipolla a vari strati, il nocciolo essenziale della quale è riservato solo a pochi eletti che riescono a penetrare i significati nascosti celati dietro "maschere e specchi" che la deformano. Questa visione sufica si interconnette non casualmente con elementi propri dell'Islam sciita di matrice iranica, che è profondamente influenzato dalle radici del dualismo mazdeista persiano pre-islamico, ed in particolare con una forte caratterizzazione esoterica dell'approccio alla testualità religiosa, inclusa quella stessa di un Corano che, invece, gli orientamenti maggioritari sunniti, considerano testo "chiaro e di cui non c'è possibilità/necessità di interpretazione". Inoltre, sia nel caso del Sufismo, sia in quello dello Sciismo e tanto più nei numerosi momenti di sovrapposizione ed intreccio fra queste due correnti, si pratica e si teorizza la taqyia, ossia la possibilità/necessità di celare la verità (in primo luogo quella relativa alle proprie concezioni) dinanzi al pericolo concreto di essere colpiti dalla repressione, dal potere. Uno degli elementi simbolici, di derivazione gnostica e neoplatonica (si ricordi, proprio di Platone, il mito della caverna), maggiormente usati nell'approccio esoterico sufico (e sciita, specie della famiglia dell'Ismailismo) per rappresentare l'esistenza di realtà criptiche, celate alla vista dei più, è la grotta, la caverna, lo spazio ipogeo, in una logica che si ricollega a tradizioni ben anteriori a quelle islamiche, centrate sulla concezione della ctonicità come elemento-chiave del rapporto con sfere quali la sessualità (la caverna-utero della Terra), la rinascita iniziatica, la resurrezione, il mondo magico dei jinn, gli esseri né angeli né demoni della tradizione oasiana ripresa dall'Islam. La eventuale pluralità di caverne, inoltre, simboleggia il "viaggio" verso tutte le profondità: quelle dell'animo (potremmo dire dell'inconscio individuale), quelle dell'ethnos (si potrebbe dire, con Jung, dell'"inconscio collettivo"), quelle delle radici storiche dei fenomeni presenti e futuri. Tutto questo può diventare tema e modulo espressivo esplicito, in taluni testi filosofici e mistici, ovvero, più sistematicamente, farsi nocciolo criptico-simbolico di forme espressive apparentemente fruibili senza troppo sforzo, in fiabe leggende, poesie, canzoni, racconti di vario genere, di cui il ciclo collegato alla storia di Aladino e del "genio" (jinn) della lampada costituisce un interessante esempio. Il cane di terracotta di Andrea Camilleri (Sellerio) rientra pienamente in questo secondo tipo di produzione espressiva e questo non "a prescindere" e "nonostante" il fatto che esso si presenti e venga ancor più presentato come un giallo, ma proprio sulla base della profonda dicotomia fra ciò che il testo appare (vuole apparire) e ciò che il testo è, nella più piena tradizione di una taqyia che si entrata profondamente e si è radicata nell'ethnos siciliano. La nota editoriale di presentazione del libro, contenuta nel risvolto di copertina, riassume le caratteristiche di questo che è stato il secondo romanzo giallo di Camilleri nel modo seguente: "stavolta, in coda al delitto di mafia, se ne trova un altro, più conturbante e rituale: due cadaveri di giovani amanti abbracciati, nel doppio fondo di una grotta, sorvegliati da un enorme cane di terracotta. Un omicidio di 50 anni prima". In realtà, la seconda grotta (unita alla prima da un breve condotto, quasi come l'utero alla vagina), non rappresenta un elemento "in coda" alla parte più strettamente poliziesco-mafiosa della vicenda, ma il fulcro effettivo, funzionale e simbolico del romanzo, che si riflette anche nel titolo; delle 273 pagine del testo, ben 109 sono dedicate alle indagini che il commissario Montalbano svolge su questo specifico tema pur mentre attorno a lui avvengono delitti e crimini di incisività concreta ben maggiore. (...) Perfino la collocazione della tragica vicenda dei due amanti della grotta nella fase dello sbarco alleato in Sicilia non rappresenta solo uno sfondo all'evento, ma un riferimento conscio o inconscio ad un situazione che vide operare congiuntamente i comandi statunitensi e la mafia italo-americana e che ebbe fra le sue conseguenze un rilancio in grande stile dei meccanismi mafiosi nell'isola, cosicché le realtà che l'indagine sulla seconda grotta induce a scoprire, pur prive di valore giudiziario, rimandano a radici storico-sociologiche del fenomeno mafioso su cui non si vuole in genere andare a fondo. Sul piano strettamente poliziesco, d'altronde, il romanzo di Camilleri è più che altro una storia di fallimenti e sconfitte, in un quadro in cui l'inquinamento mafioso delle stesse istituzioni investigative è forte e plurilivello. (...) Tutto ciò, dunque, anche se collegato sul piano culturale al senso etnostorico della realtà della seconda grotta, risulta del tutto marginale, fallimentare e secondario sul piano giudiziario-poliziesco rispetto alle indagini che Montalbano compie su tale realtà e che lo scrittore stesso esplicitamente riconosce come nucleo centrale del romanzo quando afferma: "L'idea mi è venuta in mente mentre, per cortesia verso due allievi registi egiziani, studiavamo in classe La gente della caverna di Taufik-al-Hakim". In effetti, anche nel testo, Camilleri cita direttamente il dramma dell'autore egiziano moderno, ma vale per il libro del romanziere siciliano quello che un suo personaggio disvelatore, il professor Lovecchio, dice a proposito dell'apparente incongruità della con-presenza nella grotta dove i due amanti giacciono ricomposti, di elementi aventi a che fare con la leggenda cristiana dei Sette dormienti di Efeso (l'acqua), ed altri aventi invece a che fare con la versione coranica (il cane). E' proprio questa "visione globale" e trasversale, sufica, che dà senso alla con-presenza di elementi fra loro assai diversi ed apparentemente slegati, ma in effetti riconducibili ad un substrato simbolico unico, nel romanzo di Camilleri. E' innanzi tutto evidente che il riferimento centrale, non celato, anzi esaltato e spiegato, è da un lato alla leggenda cristiana sunnominata e dall'altro alla Sura XVIII del Corano, detta Sura della caverna; proprio la scoperta, casuale, in una via della città vecchia di Mazara del Vallo ri-abitata da Tunisini (dato che fu la casbah della città della fase del dominio islamico medievale) di alcuni versetti di quella Sura rappresenta la chiave che consente a Montalbano di iniziare il disvelamento del senso della realtà della seconda grotta. Ma già in questo riferimento e specialmente in quello relativo alla Sura coranica, la spiegazione del/nel romanzo contiene a sua volta nuovi elementi di cripticità che per essere penetrati necessitano la conoscenza piena di quella Sura (e non solo della sua parte relativa alla storia dei dormienti nella caverna) e poi una ricca serie di altri elementi di diversa origine, nella più classica tradizione del percorso iniziatico-sapenziale sufico. La Sura XVIII, dunque, viene individuata esplicitamente come uno dei riferimenti della pratica rituale avvenuta nella seconda grotta, ma con volute "contaminazioni", apparenti imprecisioni, rimandi oscuri, che si intrecciano ad elementi, invece, chiarissimi e perfino didascalici.

SILVIO MARCONI