La Repubblica 08.10.2000 - MicroMega 4/2000 
Quei preti in cattedra
L’ora di religione nei ricordi dello scrittore siciliano


Ripercorrendo le passate espeienze liceali, il creatore del commissario Montalbano risponde - con un "no" -
all'appello del cardinal Martini ad aumentare le ore di quello che "andrebbe più propriamente definito come
insegnamento della religione cattolica nelle scuole". 

Il cardinale Martini ha recentemente affermato che l’insegnamento della religione nelle scuole pubbliche con una sola ora settimanale in orario è assolutamente insufficiente, data la vastità e la complessità dei problemi che in quell’esigua ora andrebbero affrontati. Il cardinale ha perfettamente ragione: destinare un’ora (che poi tra ritardi e adempimenti vari si riduce a tre quarti d’ora) all’insegnamento della religione, più che ridicolo è offensivo per la religione stessa. Il cardinale propone che il tempo destinato allo studio della religione sia elevato a due ore settimanali. E qui il cardinale ha torto. Perché, sia che si tratti di un’ora o di due, il problema non cambia. E poi, questa ora in più, a scapito di quale altra materia andrebbe? Poiché la giornata scolastica ha una sua precisa durata e non si può allungarla a piacimento è chiaro che l’ampliamento del tempo destinato a una particolare materia sottrarrebbe parte del tempo a disposizione delle altre. Io, anni settantacinque compiuti, ho precisa memoria delle ore di religione patite in qualità di scolaro e di studente. Siccome però il periodo dei miei studi ginnasiali e liceali risale all’E.F. (Era Fascista, per chi è troppo giovane e per chi se ne è dimenticato), ho cominciato a domandare in giro ad amici e parenti, che in comune avevano l’avere studiato in tempi di democrazia e di libertà, quale memoria, quale ricordo avessero, o quale fosse la loro esperienza attuale, dell’ora di religione. Il campione, come direbbe un’agenzia di sondaggi, era tutt’altro che omogeneo per età (dai diciotto ai sessanta anni), per cultura, per idee politiche (da Alleanza nazionale a Rifondazione), per fede (cattolici praticanti e atei) e tuttavia ottenni due soli tipi di risposte: «Mai mi sono annoiato tanto» e «Mai mi sono divertito tanto». Le due risposte sono ugualmente spiazzanti, perché è chiara la loro non pertinenza rispetto a una materia tanto, almeno sulla carta, impegnativa. Ma rispecchiano la verità, la quale verità, se non è più sempre rivoluzionaria, assai spesso continua a essere perlomeno spiazzante. Un ulteriore approfondimento sulle ragioni per le quali alcuni si divertivano e altri invece piombavano nella noia, ha dato un risultato previsto: si annoiavano coloro che seguivano l’ora di religione perché timorosi non di Dio, ma del signor preside e se la scialavano invece quelli che, pur presenti col corpo, in realtà occupavano quell’ora in tutt’altre faccende affaccendati: stesura di bigliettini amorosi, battaglie navali, letture di romanzi e fumetti spinti eccetera. Ho provato un leggero senso di vertigine. Il tempo, per me, si era fermato. Ero tornato ai tempi del ginnasio e del liceo, a quasi sessantacinque anni addietro e niente era cambiato. Io mi sono ora annoiato e ora divertito. Mi sono annoiato con padre Lamatina il quale pretendeva che stessimo in perfetto silenzio e assolutamente immobili mentre lui, per tutta l’ora, leggeva il giornale. Se qualcuno si muoveva o parlava, ripiegava il giornale, scendeva dalla cattedra e cominciava a dare botte da orbi al malcapitato. Dava macari dei calci da cavallo con le sue scarpe chiodate da contadino. Le sue lezioni invariabilmente terminavano con due secchi ordini: «Saluto al Duce!» e «Segno di Croce!». Mi sono divertito con padre Bondi. Trentacinquenne, tonaca impeccabilmente tagliata, sempre pulitissima e stirata, occhiali d’oro, orologio idem, capelli pettinati accuratamente, insomma una specie di Clark Kent, quel giornalista che poi si trasforma in Superman. La sua ora la passavamo così: «Camilleri, alla cattedra». Ci andavo, mi taliava per un cinque minuti senza aprire bocca, dalla testa ai piedi. «Girati!». Mi voltavo. Sentivo il suo sguardo percorrere il mio corpo. «Puoi tornare al posto». Appena seduto, comunicava alla classe il risultato del suo controllo. «Come tutti avete visto, Camilleri si ostina a portare scarpe gialle con pantaloni grigio scuro. Questo è intollerabile. Per quanto riguarda il taglio dei capelli, vedo invece con piacere che ha seguito i miei consigli». Qualche anno appresso seppi che si era spretato. Per un semestre ho avuto monsignor Trapani che è rimasto nella mia memoria pur avendolo visto poco. Con lui non mi sono né annoiato né divertito, ero totalmente pigliato dalla curiosità nei riguardi di questo parrino dai capelli grigi tagliati a spazzola, occhi azzurri, alto, distinto. Il primo giorno che fece lezione, ci disse questa frase: «Ogni tanto, quando potete, pensate a Gesù». Poi cominciò a informarsi su chi eravamo, qual era il mestiere o la professione del padre, quanti eravamo in famiglia, se ce la facevamo a campare coi soldi che entravano in casa. Un giorno arrivò il preside che non perdeva occasione per presentarsi in divisa (era squadrista e Marcia su Roma) e padre Trapani lo ignorò, manco si alzò. Poi, sei mesi appresso, il preside ci venne ad annunziare che avremmo avuto un «più degno insegnante». E arrivò il già citato padre Lamatina. In famiglia appresi che la sostituzione di monsignor Trapani era dovuta al fatto che era stato un fervente sturziano e che continuava ad esserlo. Sturziano? Non ci capii niente e lasciai perdere. Un giorno padre Lamatina diede un ordine secco e inatteso: «Sabato prossimo venite tutti a confessarvi. Vi aspetto in chiesa. E la domenica mattina, in divisa, tutti a fare la Comunione!». Questo succedeva un martedì. Io cominciai a parlarne coi compagni (eravamo al ginnasio), dicendo che personalmente avrei disubbidito, non mi pareva giusto che ci si dovesse confessare e comunicare per ordine superiore. Qualcuno cominciò ad essere d’accordo. Il venerdì venni chiamato nell’ufficio del preside. Lui non c’era, c’era padre Lamatina che m’assalì subito (non a botte): «Cos’è questa storia che non ti vuoi confessare?». Qualcuno aveva fatto la spia. Gli dissi come la pensavo. Sorrise e io veramente mi spaventai a vederlo sorridere in quel modo: «Ti confessi lo stesso, anche se non credi in Dio. Ho ordinato così e così deve essere. Se disobbedisci, ti faccio perdere l’anno. E tu sai che sono in grado di farlo». Il sabato andai a confessarmi, la domenica feci la Comunione. Con qualche dubbio sul modo d’insegnare la religione e il modo di praticarla. L’ultimo che ricordo è padre Angelo. Eravamo al terzo liceo, tutti avevamo la convinzione che la guerra era persa. Padre Angelo commentava il bollettino di guerra. La sera ci ritrovavamo in sacrestia: spiegava a pochi di noi, con molto anticipo sulla par condicio, tanto Il Capitale quanto la Rerum novarum. E qui finisce la mia esperienza con l’ora di religione. A conti fatti, di religione nell’ora di religione non si parlò mai. È fuor di dubbio che adesso è cambiata la qualità dei docenti. Non si tratta solamente di preti, ma anche di suore e di laici. Fino a qualche anno fa, non sapevo che i laici potessero insegnare religione, lo appresi in modo, come dire, traumatico. Un mio amico mi telefonò per domandarmi se una ragazza, figlia di un suo cugino, poteva assistere a qualche prova di una commedia che stavo in quei giorni mettendo in scena. Il giorno appresso arrivò, alta, nigra et formosa, capelli corvini lunghissimi, grandi cerchietti d’oro alle orecchie, minigonna ascellare. Mi feci subito persuaso che si trattava di un’attricetta in cerca di scrittura. In un intervallo delle prove, mi spiegò che non intendeva recitare, che era solo mossa dalla curiosità e che il suo lavoro era quello di insegnante di religione. Per poco non ebbi un mancamento. Di fronte al mio evidente stupore, si sentì in dovere di aggiungere che i ragazzi facevano a cazzotti per assistere alle sue lezioni. Quando raccontai a casa di questo incontro, mia moglie commentò: «Quella appartiene alla quinta colonna del Vaticano». Mi dicono che esiste un libro sulla materia che o non viene comprato o se comprato non viene usato. D’altra parte, molti sono gli esonerati, sia perché non cattolici sia perché hanno fatto richiesta di esenzione. Quindi, in altri termini, è una materia facoltativa. Ma è facoltativa senza alternativa. L’insegnamento della religione nelle scuole andrebbe più propriamente definito come insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Sicché i ragazzi cattolici, teoricamente, hanno la possibilità di approfondire la loro fede, mentre agli altri questa possibilità non è data. Ed è stata salutata come una conquista il fatto che i ragazzi di altre fedi non fossero costretti a seguire l’ora di religione (cattolica). Pare che tutto ciò sia il risultato di trattati, accordi, concordati et similia, tra il nostro Stato e la Santa Sede, di cui io non ho (felicemente) competenza. Allora, di che cosa si parla durante l’ora di religione? Si continua, come ai miei bei tempi, a non parlare di religione. Gli insegnanti più avvertiti parlano ai ragazzi dei loro problemi, dalla droga al sesso, dalle stragi del sabato sera alla violenza sportiva. Molto lodevole, ma non è un insegnamento di religione. E poi, come ne parlano? Può un insegnante cattolico illustrare ai giovani l’importanza del preservativo nei rapporti sessuali? E gli insegnanti più ossequienti, come si comportano? Spiegano che, come dice Ratzinger, non c’è salvezza al di fuori del cattolicesimo? Spiegano che, come dicono Biffi e pari suoi, gli extracomunitari islamici non devono essere ammessi in Italia perché rappresentano un pericolo per i nostri valori? Cioè a dire: nella scuola italiana esiste un’ora nella quale qualcuno potrebbe ex cathedra diffondere idee di razzismo. Ne avrebbe, come si usa dire, facoltà. No, con tutto il rispetto per il cardinale Martini (e non adopero una frase fatta: per lui ho veramente rispetto), sarebbe forse il caso di cominciare a prendere in considerazione l’abolizione dell’ora di religione così com’è concepita ora. Se invece qualcuno riuscisse a inventarsi un’ora di religione alla quale potessero insieme partecipare cattolici, ebrei, ortodossi, protestanti, valdesi, buddisti, maomettani eccetera (e ovviamente i miscredenti) allora sarei d’accordo a trasformare quell’ora settimanale in un’ora quotidiana.

Andrea Camilleri