Io Donna (supplemento del Corriere della Sera), 28/10/2000

Il dritto...
Camilleri e la difficile eredità di Sciascia

Andrea Camilleri è lo scrittore, anzi l'intrattenitore siciliano, più letto d'Italia. Questo settantenne ha lavorato per anni come regista teatrale e televisivo. Ma è diventato famoso in tarda età coi suoi romanzi in siculo-italiano e con i gialli senza intoppo che raccontano fatti e misfatti della provincia profonda. Riesce a irretire i molti suoi lettori facendoli sentire all'altezza della situazione per l'uso complice di espressioni dialettali - accussì, ti babbìai, che va pinsando - e le continue strizzatine d'occhio alla sintassi stentata che sentiamo nei discorsi al bar, sull'autobus, al mercato, insomma nella vita vera, genuina e sempre autentica, con quel tanto di lascivia che fa vendere: "Provare piaciri non è cosa di fìmmina onesta!" dice il confessore di Vigàta, don Pirrotta, a Taniné Genuardi. "Tu devi praticare con tuo marito solo con l'intenzione di fare figli. Ne avete picciliddri?". Il guaio è che, nonostante la fama, Camilieri è un frustrato. Certo, dello scrittore non ha quella sapienza superiore che traspira dai libri necessari, che si leggono sapendo perché sono stati scritti e si ricordano come un'esperienza tale da avere cambiato la nostra percezione del mondo. Lui però lamenta l'indifferenza del pubblico verso il suo impegno: "Personalmente preferirei che i miei lettori ridessero di meno e riflettessero di più". Non pago della dilagante gloria che ha indotto i professori del liceo classico di Ispica a sostituire come libro di testo il suo Birraio di Preston ai Promessi sposi dì Alessandro Manzoni, aspira a un ruolo politico che l'avvicini di più al modello di Leonardo Sciascia. Per questo ha appena pubblicato, su un'impegnata rivista di sinistra, cinque componimenti in forma di favola o di apologo morale in cui, mettendo al bando l'ironia e la leggerezza, racconta in plumbea prosa corriva: "C'era una volta un Cavaliere che s'imbatté nella Morte, e murmuriò: 'Schifosa comunista!"". Ma tutto preso dalla boria vatesca rimane sordo al conterraneo che commenta: "Passatempo e semenza".

Marina Valensise

...e il rovescio
Il siciliano che "vede" il corso delle cose

Camilleri? Minimalista e critico, ma grande scrittore. La sua virtù sta in un "parlato semplice", eroicomico, che fa della "sicilianità" un paradigma della condizione umana. Perciò ha ragione il critico Massimo Onofri, studioso di Pirandello, quando afferma: "Camilleri è quello scrittore con il quale o senza il quale la Sicilia rimane tale e quale...". Ma il critico, che pur vorrebbe essere sarcastico, non s'avvede di tributare un elogio in piena regola allo scrittore. Infatti Camilleri, nel suo Birraio di Preston oppure nella sua Gita a Tindari, non pretende affatto di emendare il mondo, denunciandone i mali. Né, come Sciascia, vuol stendere affreschi tragici su contesti mafiosi maledetti o indecifrabili. Al modo di un narratore impegnato civilmente, vuol solo raccontare, come suona il titolo di un suo vecchio libro, Il corso delle cose. Cioè la storia terragna e quotidiana di umili e potenti. Pescata in polverosi documenti, all'amo di una fantasia trasgressiva e rutilante. Di qui il "pastiche" linguistico delle sue storie. Palinsesti di odori, sapori, gestualità, dialetti e lingue "alte". Dove la storia dei prepotenti vien travolta dal ridicolo. Mentre la saggezza coatta dei sottoposti annuncia le sue vendette sui tempi lunghi del destino. Come quando, proprio nel Birraio di Preston, le manie da impresario lirico di un prefetto toscano in Sicilia provocano catastrofi, incendi e parapiglia di rivolta. Insomma, Camilleri "nazional-popolare" e avanguardista. Sorta di Gadda siciliano e picaresco. Da far leggere a scuola con Manzoni, di cui a modo suo è erede, come archivio sonoro delle lingue e "istorie" italiche. Dulcis in fundo, c'è pure il Camilleri "favolistico", pubblicato tempo fa da Micromega. Figlio di Esopo e di Luciano di Samosata, vero greco-siculo. Imbattibile, quando narra dei "Cavaliere nivuro" che messo dinanzi al Padre Eterno, comparso in forma di piccolo vecchietto, urla: "Mi consenta!". E poi, appreso che il vecchietto è Dio in persona, proclama: "Ricuso il giudice!". Morale: il "male" nel cosmo è l'arroganza dell'onnipotenza. E solo la Nemesi del Fato può punirla.

Bruno Gravagnuolo