INTERVISTA CON ANDREA CAMILLERI

La Nación, Domenica 9 aprile 2000.

UNA CARRIERA FATTA DI CRIMINI

di Alejandro Patat per La Nación, Roma, 2000.

Negli ultimi quattro anni, il romanziere de La voce del violino (Emecé) ha venduto più di tre milioni di copie dei suoi libri. Il protagonista dei suoi racconti gialli, il commissario Montalbano, è già diventato un eroe popolare alla maniera del Maigret di Simenon. La fonte di ispirazione dello scrittore siciliano è la sua isola natale, dove ha ricevuto gli insegnamenti di Leonardo Sciascia.

Andrea Camilleri, nato nel 1925 a Porto Empedocle (Agrigento), é il protagonista di un fenomeno inedito nella letteratura italiana: ha venduto quasi tre milioni di libri negli ultimi quattro anni e, nelle classifiche dei giornali, quattro o cinque dei suoi romanzi figurano simultaneamente tra i piú venduti da due anni. A Camilleri disturba che si parli in quei termini del suo successo fuori dal comune. "La storia del fenomeno Camilleri é molto discutibile, perché io direi piuttosto che il fenomeno é stato il pubblico. E' venticinque anni che scrivo romanzi, e fino a quattro anni fa, praticamente nessuno aveva notato i miei libri. D'altra parte, confermando la storia che nessuno é profeta nella sua terra, l'indifferenza maggiore é stata dei siciliani. Quelli che, paradossalmente, mi hanno scoperto sono stati i giornali del circuito alpino: Fiume, Trieste, Bolzano e Aosta. L'unica spiegazione possibile –non essendo io uno scrittore mitteleuropeo, ma tutto il contrario- é quella della lingua. Io non scrivo in italiano, ma in un misto d'italiano e dialetto siciliano; solo coloro che vivono in una realtá bilingue, come tutti gli italiani in zona di frontiera, erano capaci d'accettarmi con maggior elasticitá e predisposizione. Il fenomeno, in primo luogo, cominció con la raccomandazione di bocca in bocca da parte dei lettori; in secondo luogo, non negheró che, in realtá, é stato dopo le mie successive apparizioni televisive in diversi talk-shows, quando il numero dei libri venduti aumentó drasticamente: da 5000 copie nel 1996 a 180.000 nel 1997 e piú di 2 milioni nel 1999."

Lo scrittore siciliano non ha cambiato le sue abitudini quotidiane. Abita da cinquant'anni con sua moglie, nella sua modesta casa a nord di Roma, dove i mobili, vecchi e non antichi, conservano coerentemente i segni di una vita trascorsa in famiglia. Camilleri preferisce riassumere cosí la sua biografia: "Io sono nato in Sicilia, dove é trascorsa tutta la mia infanzia e gioventú. Ho studiato Lettere all'Universitá di Palermo e, a ventiquattro anni, sono venuto a Roma, mi sono laureato all'Accademia d'Arte Drammatica e ho cominciato a lavorare come regista di teatro, televisione e radio. Per ventisette anni sono stato insegnante di Regia nella stessa scuola. Il mio primo romanzo, Il corso delle cose, l'ho finito nel 1968 e, per dieci anni, tutte le case editrici mi respinsero. Non feci di questo una tragedia, ma é vero che per dieci anni non tornai a scrivere una sola linea che non fosse esclusivamente per il mio lavoro."

Il punto di svolta nella sua carriera fu l'apparizione dei suoi romanzi gialli, tradotti giá in sette lingue, che hanno per protagonista il commissario Salvo Montalbano, un uomo di mezza etá, corpulento, di tratti mediterranei, virile, solitario, schivo, scapolo ma compromesso e di principi etici all'antica, inviolabili. Montalbano lavora a Vigata, un paese imaginario della Sicilia, dove la giustizia, lo Stato e la morte acquisiscono nuovi significati. La formula del successo, che si é mantenuta fedele nelle finora cinque storie (Il cane di terracotta, La voce del violino e il volume di racconti Un mese con Molntalbano sono stati pubblicati in Argentina da Emecé), ha seguito le vie della televisione italiana e ottenne a maggio del 1999 il maggior ascolto dell'anno. Di fronte alla domanda di qual é precisamente la relazione del personaggio con lo scrittore spagnolo Vázquez Montalbán, Camilleri risponde: "E vero che ho chiamato il mio personaggio Montalbano in omaggio a Vázquez Montalbán, che allora non conoscevo, ma i cui romanzi (anche se appunto quelli che non erano gialli) io ammiravo. Per quello, il mio debito con lo scrittore non é per Pepe Carvalho, ma un tributo alla sua opera. Mentre scrivevo Il birraio di Preston, mi si presentó un problema con la struttura del romanzo. Mi chiesi, allora, perché non seguire la tecnica dello scrittore spagnolo nel suo libro El pianista, nel quale tutta la trama é narrata inversamente dal punto di vista cronologico. Questa formula é quella che ho adottato e, in cambio di questo, ho chiamato il mio personaggio Montalbano che, sia detto per inciso, é un cognome molto diffuso in Sicilia.

La relazione con Montalbán é cresciuta: entrambi si sono riuniti a ottobre dell'anno scorso per cominciare a scrivere assieme un libro, un dialogo fra due scrittori. "C'é un punto di partenza –segnala Camilleri- che é la questione centrale rispetto a come due persone, la cui gioventú é stata segnata dalla dittatura, naturalmente in grado diverso, arrivarono a vivere e ad agire in una realtá diversa: é un libro che intende definire una generazione."

La letteratura italiana ha avuto in questo secolo vari scrittori (Gadda, Pasolini, D'Arrigo e Consolo, tra altri) che, sperimentando con l'italiano, cercarono una lingua inedita che rappresentasse la realtá multiforme e policentrica della sua cultura. "Nei miei libri –afferma Camilleri- la scelta del dialetto é legata alla ricerca di un maggior colloquialismo. Il controllo che io stesso esercito su di loro é orale: mia moglie, che é una santa donna, é la prima a cui leggo le mie storie. Cosí, ascolto me stesso parlando e verifico se la prosa rispetta sempre il ritmo della lingua orale. Non c'entrano niente i miei libri con quelli di Vicenzo Consolo, per il quale l'uso del dialetto é una rivendicazione política."

Nonostante la sua evidente scelta linguistica, che lo mette chiaramente nell'ambito degli scrittori siciliani, Camilleri preferisce chiamarsi un autore italiano nato in Sicilia, e non il contrario. Peró, gli é inevitabile riflettere rispetto alla sicilianitá, la condizione dell'uomo dell'isola, rassegnato di fronte alla violenza e impostura della Storia, che Sciascia ha esteso, metaforicamente, all'uomo contemporaneo. "Appartengo all'universo della letteratura siciliana, dal momento che ho abbordato i temi che preoccupano i siciliani. E poi, io ho molti debiti con Leonardo Sciascia. Fu lui che mi spinse a scrivere il mio primo saggio storico, La strage dimenticata, e mi presentò Elvira Sellerio affinché lo pubblicasse. C'erano tre gruppi attorno a Sciascia: i suoi intimi, che lo chiamavano "Naná", quelli che lo chiamavamo "Leonardo" e quelli che gli dicevano "Sciascia". Io ammiravo di lui la sua scrittura, il suo italiano limpido, lucido e affilato come una spada, peró io andavo per la via contraria. Quando ogni tanto mi mancano le forze, ritorno a leggere Sciascia che, detto volgarmente, é per me come andare dal meccanico. L'ironia –che condivido coi siciliani- é un modo di vedere il mondo. A quella domanda fatta da Sciascia nel suo splendido romanzo Il consiglio d'Egitto, 'Come si puó essere siciliano', io risponderei che é possibile solo con ironia".

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