Il Centro

Cultura & Società Martedì 9 maggio 2000

"La gioia di interpretare Montalbano"

Intervista a Luca Zingaretti

Oggi in tv "Il cane di terracotta"

di Paolo Di Vincenzo

Luca Zingaretti nei panni del commissario Salvo Montalbano sta conoscendo una grandissima popolarità grazie ai film per la televisione (e proprio stasera va in onda su Raidue, alle 20,50, "Il cane di terracotta") tratti dai gialli di Andrea Camilleri. Volumi che resistono imperterriti nei primi posti delle classifiche dei più venduti da diversi mesi. Zingaretti, attore di teatro e di cinema, è stato premiato lo scorso anno al Flaiano (insieme al regista Alberto Sironi) proprio per l’interpretazione di Montalbano. Ieri ha gentilmente risposto alle domande del Centro nell’intervista che segue.

La difficoltà, la gioia, l’emozione di interpretare Salvo Montalbano.

"Innanzitutto c’è la gioia. Quando ho saputo che facevano dei film dai romanzi di Camilleri ho chiesto di essere selezionato. Anche perché io sono un grande lettore dei romanzi di Andrea. Quando poi ho fatto i provini e li ho vinti l’ho chiamato (Zingaretti conosce Camilleri dai tempi degli studi all’Accademia di arte drammatica di Roma, ndr). Poi è arrivata la paura di dare volto al personaggio. Ognuno di noi si immagina Montalbano in un certo modo e il rischio è di deludere. Invece, con molto piacere, ho avuto anche riscontri diretti che i lettori sono rimasti soddisfatti".

Lei è romano, come si è calato nella parte di un siciliano?

"Mah, io ormai vivo spesso in Sicilia, perché faccio quasi un film all’anno in Sicilia, a cominciare dalla "Piovra". La Sicilia è una terra che ha conservato, molto più di altre, degli aspetti profondamente italiani. Questo è stato spesso detto in senso negativo, ma ci sono moltissimi aspetti positivi. Quindi amo molto la Sicilia e la sento anche un po’ mia".

I suoi rapporti con Andrea Camilleri.

"E’ stato mio insegnante all’Accademia: incantava tutti noi studenti per il suo modo di raccontare, assolutamente affascinante. Faceva diventare una storia interessantissima anche il semplice gesto di prendere il caffè la mattina. Poi ci siamo un po’ persi di vista e ci siamo ritrovati dopo anni. Con Andrea, essendo tutti e due timidi, il rapporto è fatto di occhiate, comunichiamo a monosillabi. Ma è sempre intensissimo. Devo dire che proprio all’inizio delle riprese (lo scorso anno sono andati in onda i primi due film tratti da "Il ladro di merendine" e "La voce del violino", ndr) io l’ho chiamato per dirgli che non ce la facevo. Lui, invece, mi ha detto di buttarmi e di non preoccuparmi. E forse è stata la cosa migliore perché poi è nato il Montalbano che tutti conoscono".

Esiste il rischio che il personaggio si sovrapponga all’interprete?

"Non lo so se è un rischio, anche perché penso che c’è sempre un personaggio che entra più nella carriera di un attore. Senza voler fare confronti, Anthony Hopkins ha fatto decine di film di cui è stato strepitoso ma verrà ricordato dai più come Hannibal nel "Silenzio degli innocenti". Ma se mi dovesse rimanere "attaccato" Montalbano a me fa piacere. Poi, sono un attore e credo di poter dare molte diverse interpretazioni".

Lei è un attore apprezzato di teatro e di cinema, come fa i conti con l’enorme popolarità televisiva?

"Ho avuto la fortuna, adesso la chiamo fortuna, di arrivare al successo tardi, quindi non è che mi faccio impressionare. In particolare apprezzo l’affetto del pubblico. Quello che mi commuove è questo: che la gente mi fermi e si complimenti per come ho dato vita a Montalbano".

Immagino lo saprà: le signore sono tutte pazze per lei. Cosa pensa di questo suo fascino molto mediterraneo? Ha un futuro da latin lover?

"No", si schernisce e glissa, "La cosa che mi fa piacere è che il pubblico femminile è più attento, più fedele e più esigente. Riuscire ad accontentare il pubblico femminile, conquistarlo, vuol dire che hai fatto un buon lavoro".

Si parla tanto di fiction ma ora sta dilagando facendo abbassare, e di molto, il livello (a parte, ovviamente, il "Commissario Montalbano"). E’ d’accordo?

"Penso che un certo tipo di serialità debba per forza portare a compromettere la qualità., anche perché il tempo e i soldi sono sempre gli stessi. Infatti, per Montalbano, ho chiesto di non fare più di due film l’anno, in modo di non dover girare troppo, in fretta. E poi ci vuole anche un po’ di coraggio. Non si può sempre girare fiction con poliziotti, commissari… Ci vuole un po’ di coraggio".

L’anno scorso è stato premiato al Flaiano proprio per l’interpretazione di Salvo Montalbano. Cosa ricorda di quell’esperienza? E poi, conosce l’Abruzzo e, infine, conosce Flaiano?

"Conosco sia l’Abruzzo che Flaiano. L’Abruzzo lo trovo una terra da scoprire. Io giro molto, soprattutto per il teatro e penso che sia una terra di cui non si parla abbastanza ma mi sembra per tanti aspetti ancora vergine. Flaiano lo conosco perché per uno che il mio lavoro è facile venirne a contatto e una volta conosciuto Flaiano vuoi sempre saperne di più, era una persona talmente intelligente… Del premio ho un ricordo bellissimo, anche perché credo sia uno dei pochi ancora puliti e poi, guardando l’albo d’oro, è un onore esserci".