Corriere della Sera 20.06.2000 

Camilleri e Montalbán: le nostre letture proibite 
In un libro i due scrittori raccontano l’iniziazione alla letteratura durante fascismo e franchismo 

Oggi alle 18 Andrea Camilleri e Manuel Vázquez Montalbán si incontrano nell’auditorium di San Barnaba a Brescia (corso Magenta 44/A), nell’ambito dei «Martedì culturali». In autunno uscirà da Frassinelli un libro che raccoglie una loro lunga conversazione e che si intitolerà «Montalbano & Montalbán». Ne anticipiamo qui un brano. 

Montalbán : Vorrei conoscere il perché della tua passione per il teatro, per la televisione. E poi anche: l’impegno. Dovremmo chiarire il senso che ha l’impegno nella nostra vita, i suoi modi certo diversi. Quando tu eri adolescente c’era il fascismo, io sono cresciuto sotto il franchismo. Sono entrambi in noi una memoria antica e la democrazia significherà la nuova vita, la realizzazione personale. Per me tutto questo significa anche la memoria, la memoria del fallimento della Guerra Civile. 


Camilleri : Io ho cominciato a scrivere, istintivamente, che avevo dieci, dodici anni. Naturalmente, che cosa scrivevo, scrivevo poesie, quelle che tutti scrivono, alla mamma, a Mussolini (allora), io sono del ’25, immagina no?, tutta l’aura fascista, l’Impero... Ero figlio unico e soffrivo frequentemente di malattie infantili, il morbillo, la scarlattina. Allora non c’era l’infelicità dei vaccini, e dico così perché i vaccini fanno l’infelicità dei ragazzi, li privano di leggere per i fatti loro a letto per quindici giorni. Allora, passati i primi dieci minuti di esplorazione del proprio corpo, che facevi? leggevi i fumetti, Gordon Flash e via dicendo. I libri di mio padre erano Conrad, Melville, con questi ho cominciato... Ebbi più tardi, al liceo, la fortuna di incontrare (una vera fortuna, come accade al lotto) una professoressa intelligente, Lia Giudice, che mi disse (intanto io avevo già scoperto D’Annunzio) ci sono delle letture da fare. E comiciò a farmi leggere Montale, Ungaretti, Saba, una vera scoperta. 


M ontalbán : Ma nel momento in cui tu hai accesso a questa letteratura, come consideri quell’altra, quella ufficiale? Hai la sensazione che una sia vera e l’altra no? 

Camilleri: Si, assolutamente. Persino Manzoni non mi parve più vero. Poi, ormai trentenne, lo rilessi: e Manzoni era vero. 

M ontalbán : Il mio incontro con «la letteratura vera» non avviene sino alla fine delle superiori, a quindici anni. Ho studiato come «fuori corso», eravamo troppo poveri e dovevo anche lavorare. P er entrare nell’università devo frequentare una scuola serale. Incontro un giovane laureato che in un anno mi fa leggere Sartre, Baroja, l’intera tradizione eterodossa e vietatissima in Spagna. La mia prima lettura di Moravia, La romana , fu del tutto clandestina. Il libro lo comprai nel retrobottega di una libreria, di simili librerie ci si passava in segreto la voce. È allora che comincio a cercare in modo ossessivo una letteratura ideologica, e mi ostino a trovare i filoni di una letteratura in grado di trasmettermi informazioni antifranchiste. È così che con la lettura non raggiungo allora un piacere strettamente letterario. E questi sono i miei inizi: un’avidità di lettura senza limiti, un piccolo successo raggiunto con un mio scritto che mi fece ottenere un premio provinciale. È allora che tutta la scuola, una scuola di quartiere in un quartiere vinto e miserabile, comincia a parlare di me come «dello scrittore». Sembra quindi che intorno a me si crei un’aspettativa di scrittura che a mio parere mi è servita un po’ da impulso originario. Ma gli autori di cui tu parlavi, Montale, Ungaretti, che circolazione avevano allora? Era consentita? 


Camilleri: Circolazione? Scarsa. Montale, Ungaretti, sono più che inconsentiti. Verso gli anni Quaranta, dopo l’esperienza con Elia Giudice, mi arriva un’altra mazzata, perché come tutte le dittature, anche il fascismo era stupido e lasciava passare libri che sinceramente non avrebbe dovuto lasciar passare, come per esempio La condizione umana di André Malraux.

M ontalbán : Mi stupisci. È stato pubblicato sotto il fascismo?

Camilleri:  Sì, da Bompiani. Pochi anni dopo sarebbero cominciati a uscire Vittorini con Conversazioni in Sicilia , Pavese con Paesi tuoi , insomma, qualcosa si muoveva. Intanto io continuavo sempre a scrivere; un pomeriggio presi in mano questa Condizione umana , cominciai a leggere e mi ritrovai il mattino dopo alle otto con il libro appena finito tra le mani. Mi girava la testa. Mi misi il termometro e avevo la febbre alta. Avevo scoperto innanzi tutto una cosa, che i comunisti erano esseri umani. 

M ontalbán : Ma quanto pesavano su di te il fascino del proibito e il fascino della verità? 

Camilleri:  Ah, il fascino del proibito non l’ho mai avuto nella mia vita personale. Cioè, non me ne frega niente del proibito. Già allora non mi andava di fare le cose di nascosto. Io ho fatto cose proibite, ma non per il loro particolare fascino, ma perché mi piaceva quella cosa proibita al di fuori di qualsiasi divieto. Tuttavia, sono cresciuto abituato, nonostante il padre fascista, a una grossa libertà, che certo mi ha aiutato. Quando io decisi per esempio di andare a Roma, di venire a Roma per frequentare una scuola di attori, di regia, ricordo mio zio fuori dalla grazia di Dio dire a mia madre, che mi appoggiava «Tu permetti che tuo figlio laureato vada a fare il saltimbanco». 
M. Questo ha fatto che in te il proibito non fosse morboso. Io ho dovuto crescere prima di capire di non saper distinguere tra il proibito e il morboso, e che era possibile non accettare una doppia condotta: quella dell’occultamento e della dissimulazione. La cultura del proibito è durata in Spagna troppo a lungo. Fa parte del suo patrimonio più profondo. Ricordo che da noi la nuova cultura italiana era quasi tutta proibita. Gli unici scrittori italiani approvati dal franchismo erano de Cespedes, Papini e Malaparte. E Malaparte solo fino al momento del suo impegno con il comunismo. Questo aveva portato a credere che Alba de Cespedes fosse gradita al fascismo.

Camilleri:  No. Alba de Cespedes era gradita a Mondadori perché era bellissima. 

(a cura di Hado Lyria)