"Stilos" (supplemento letterario de "La Sicilia") del 15/08/2000 

Stefano Malatesta - I siciliani con il mal di testa

"Un terzo della letteratura italiana è fatto di siciliani, che hanno la particolarità di aver scritto quasi esclusivamente sulla Sicilia, essendone ossessionati. Quando scendo giù immediatamente mi ritrovo a parlare con i siciliani sempre della Sicilia. Nel Veneto non è che ti metti a parlare del Veneto. In Sicilia sì. E’ questa ossessione che rende i siciliani eccentrici"

Malatesta, più che un dispetto ai siciliani, come ha chiamato la sua decisione di scrivere Il cane che andava per mare il suo Cane sembra avere tutti imotivi per potere offendere i siciliani. Presi per eccentrici.

"Direi proprio il contrario. Credo anzi di aver fatto un ritratto molto amorevole della Sicilia. Secondo me, quando uno si interessa tanto a personaggi del genere, personaggi eccentrici, dà una prova di affetto; e il trattamento loro usato è una dimostrazione d'amore: certo, un tipo d'amore fatto di understentement, di ironia, di scherzo, a volte di sarcasmo, ma con la consapevolezza di avere personaggi che ho amato moltissimo e che mi hanno lasciato del rammarico. Per esempio, mi sarebbe piaciuto conoscere Denti di Pirajno, un personaggio che ritengo assolutamente fuori dalla norma. Ma non di meno sono tutti gli altri, anche i viventi. C'è Ulli che non è siciliano ma è assimilato ai siciliani: tutti sono certo che hanno capito il mio atteggiamento, perché mi hanno telefonato dicendomi di aver apprezzato molto quello che ho scritto. Presti è stato il primo a telefonarmi e, sebbene abbia calcato la mano nei suoi confronti, mi ha invitato di nuovo. E' la prova che gli amori sono corrisposti".

Due figure sembrano averla colpito. Il cane di Lipari e Di Stefano del Delle Palme.

"II cane ha una storia molto sentimentale: un cane straordinario, sicché mi è sembrato giusto che la mia ricerca non si limitasse agli uomini ma si rivolgesse anche agli animali. E' il racconto che più ho amato perché mi ci sono identificato. Ho trovato lastoria affascinante. Anche per questo cane ho avuto del rammarico, perché lo avevo intravisto appena, sapevo che era un cane che viaggiava per mare, ma non ne capito l'importanza che quando è morto. Molti mi chiedono se è una storia vera. E' verissima. Sono dipeso, certamente, da chi me l'ha raccontata e sono stati tanti: tutti mi dicevano che non solo questo cane andava in giro per i traghetti da un'isola all'altra delle Eolie, ma che conduceva una vita molto 'umana', quasi fosse una persona. C'è nel racconto, è vero, una influenza romanzesca, ma la storia e verissima".

Quelle pubblicate non sono tutte le storie che costituiscono il suo campionario, è vero?

"Il repertorio è vastissimo e ho dovuto tagliare molto laddove mi accorgevo che molte storie erano incomplete. Avevo piccole storie eccentriche dalle quali però non usciva fuori il personaggio e ho avuto raccontate storie che non erano eccentriche. Ho ricevuto più segnalazioni dopo l'uscita del libro. Decine di persone mi hanno detto: "Se lo sapevo le avrei segnalato mio nonno'; 'Se lo sapevo le avrei parlato dei mio cameriere'. Tutti insomma hanno in famiglia un personaggio eccentrico. A un certo punto, dovendomi assegnare un termine per la ricerca se volevo scrivere il libro, ho smesso di raccogliere storie, perché in Sicilia non si finirebbe mai di trovarne".

Lei ha conosciuto tanfi tipi eccentrici nel mondo. Perché è rimasto colpito da quelli siciliani?

"I più famosi eccentrici sono inglesi. C'è un famoso libro di Edith Sitwell, Eccentrici inglesi che è un campionario inverosimile. Ma c'è una differenza con i siciliani: gli inglesi sono eccentrici comportamentali, sono istintivi, mentre quelli siciliani sono più intelligenti, molto più cerebrali, sono eccentrici di testa, la corda pazza sta nella testa. E' stato particolarmente interessante raccontare i siciliani perché hanno una caratteristica comune che deriva dall’insularità. Un terzo della letteratura italiana è fatto di siciliani, che hanno la particolarità di aver scritto quasi esclusivamente sulla Sicilia, essendone ossessionati. Quando scendo giù immediatamente mi ritrovo a parlare con i siciliani sempre della Sicilia. Nel Veneto non è che ti metti a parlare del Veneto. In Sicilia sì. E' questa ossessione che rende i siciliani eccentrici".

Forse per questa diversità ha sentito diavvicinarsi all'argomento con una forma di timore riverenziale ponendo molte avvertenze e giustificandosi quasi di scrivere deisiciliani da non siciliano.

"Non ho avuto alcun timore riverenziale. Ci sono due tipi di approccio secondo due scuole di pensiero: per la prima, se una cosa complicato ti pare semp1ice vuoi dire che non hai capito; la seconda insegna questo: se vai nell'Oriente complicato vacci con idee semplici. Io vado in Sicilia non con la presunzione di capire ma con l'umiltà di capire. Per i siciliani le cose in genere sono troppo complicate per essere capite; in particolare le cose siciliane sono complicatissime per cui solo un siciliano sarebbe addetto alla spiegazione. Gli altri non possono capire e quando ci provano capiscono male".

Una storia molto siciliano mi è sembrata quella del reperto antico falso, dove i mafiosi risultano uomini astutissimi. Ma è una storia vera?

"Me l'ha raccontata un avvocato di Sciacca molto amico mio e quindi degno di fede. Ne aveva altre di storie, ma questa mi è sembrato la più significativa".

Molte delle storie risultano appartenere alla Sicilia occidentale, se si escludono quelle eoliane,

Uccello e poi Presti. Questo è avvenuto perché la Sicilia occidentale è il territorio che ha battuto di più avendo casa a Sciacca?

"E' stato casuale. Il baglio ce l'ho vicino Sciacca e conosco perciò meglio Palermo che Catania. Ma Alliata abita a Catania e Presti nel Messinese. Sono andato appresso alle storie muovendomi come si fa con i bicchieri di cristallo, che quando sono buoni emettono un suono particolare. Una storia per essere buona mi doveva suonare. E quando questo avveniva la prendevo e la mettevo con le altre, non pensando al posto dove l'avevo raccolta".

Non l'ha spaventato il rischio di cadere nel luogo comune, di raccontare la Sicilia per stereotipi?

"Sono stato attentissimo, ma a scanso di equivoci, proprio perché avevo paura di dire cose sapute mentre volevo scrivere un libro en finesse, evitando il luogo comune che lo avrebbe appesantito e dequalificato, ho fatto leggere il testo a tre miei amici, tutti e tre siciliani di diversa estrazione e molto qualificati: uno è uno scrittore famoso, l'altro un celebre pittore e il terzo un illustre storico e letterato. Non le faccio i nomi perché ... "

Camilleri, Caruso e Giarrizzo.

"Beh, non era molto difficile indovinarlo loro mi hanno fatto solo delle piccole osservazioni e alla fine sembra insomma che non abbia commesso l'errore di cadere nei luoghi comuni, almeno secondo loro. Quella di rivolgermi a dei siciliani che controllassero il testo era un proposito che mi ero imposto sin dall'inizio proprio perché temevo di finire nel folclore".

Perché molte storie sono criptate, nel senso che luoghi e protagonista non sono riportati per nome? Timore di ritorsioni o di querele forse?

"Ma no! Quasi tutti i personaggi sono citati con nome e cognome. Ci sono tre o quattro storie del genere. Una è per esempio quella del signore che sposa la prostituta: una storia verissima dove ho dovuto mescolare le carte: il paese è un altro perché i parenti si sarebbero potuti risentire.

Chiunque scrive sulla Sicilia venendo da fuori va incontro a ricadute negative, commenti non positivi. Il suo libro che reazioni ha suscitato in Sicilia?

"Per quanto mi consta, i riscontri sono stati ecceziona1mente positivi. Ho semmai sentito osservazioni del genere: "Queste storie avrei potuto scriverle anch'io'. Si tratta evidentemente di scrittori che si sono visti sottrarre la materia. Immagino che sia solo invidia, perché in Sicilia il libro mi risulta tra i più venduti".

Dopo averlo prima concepito e poi scritto, è cambiata la sua idea di Sicilia?

"E' sempre uguale. Sto in Sicilia un mese l'anno eci torno continuamente. Forse non ci potrei vivere stabilmente perché non sono siciliano. In realtà non potrei vivere mai in un posto, né in Sicilia né a Parigi. Diciamo che sono un po' sazio di Sicilia dopo averne scritto e parlato tanto. Ho bisogno di distaccarmene per apprezzarla di più. Ogni volta che sto in Sicilia, negli ultimi giorni mi appare sempre un po’ eccessiva, troppo complicata, quella complicazione che quando arrivo mi piace però moltissimo. L'amore ha le sue stanche, ma torno sempre più innamorato".

Giorgio Aricò