La Repubblica 15.11.2000

"Sciascia mi ricarica come un elettrauto"
Andrea Camilleri parla del suo nuovo romanzo, da ieri in libreria. E annuncia un'incursione nel cinema

«E di quel povero professore Laurana — continuò il commendatore — che è scomparso come Patò nel Mortorio». E' stata questa frase, presente nell'ultima pagina di "A ciascuno il suo", a dare la stura alla fantasia di Andrea Camilleri per realizzare il suo ultimo romanzo, "La scomparsa di Patò", da ieri in libreria. Un romanzo nato direttamente dalla costola di Leonardo Sciascia, che ha fornito lo spunto su cui si basa la vicenda, narrata sotto forma di dossier e priva della tradizionale girandola di dialoghi e battute fulminanti. Ma il grande assente è il dialetto, visto che il libro è scritto in burocratese e in politichese. Insomma, stavolta Camilleri corre il rischio di cambiare registro. Tutto calcolato? «Certo che l'ho valutato questo rischio– spiega Camilleri – Ma mi è sembrato che qualche recensione non l'abbia colto. L'ho detto, l'ho dichiarato e non posso fare altro che continuare a ripeterlo. La mia, e faccio riferimento alla struttura del libro, è stata una scommessa, che posso vincere o perdere». Possiamo quindi parlare di un Camilleri sperimentatore? «Io sono sempre sperimentale nei romanzi storici. Come con "Il birraio di Preston", nel quale non ho fatto altro che alterare i tempi del racconto, o con "La concessione del telefono", dove sono presenti un autore extradiegetico, che introduce i dialoghi e le cose scritte, come pure l'alternanza di dilatazione e accelerazione del tempo narrativo. Qui ho cercato di dare un dossier, in cui il lettore interagisse con lo scrittore. Ma ho anche, con i miei libri, inventato una lingua. Eppure i critici rimangono tetragoni e sordi». La sua posizione nel nostro panorama letterario sembra ancora una questione non risolta... «Il problema è di una brutale semplicità: c'è tutto un gruppo di critici che non mi ritiene per niente uno scrittore degno di questo nome. Se, dunque non sono un vero scrittore e appartengo al genere "Liala", allora non rappresento alcuna minaccia per la sacralità della letteratura. Ma se io rappresento una minaccia, come ha scritto qualcuno, allora sono uno scrittore pericoloso. Ma almeno me lo riconoscano». Da queste pagine si evince anche che la sua idea sulla Sicilia non è cambiata. «Neanche lontanamente: io continuo a battere sullo stesso chiodo, anche se con forme espressive diverse. Ma è sempre quello il "rovello dell'arcolaio", come direbbe Pirandello». Quindi lei, siciliano della diaspora, ha un rapporto sempre sofferto con la sua isola? «Se si affievolisce questo rapporto, anche in riferimento all'ambito politico, verrebbe a mancare una delle ragioni fondamentali del mio scrivere, sicuramente. Questa passione in me è sempre forte». Nel nuovo libro il riferimento a Sciascia è palese. Lo continua a considerare un genio tutelare? «Si, malgrado le critiche, malgrado quelli che pensano: "Va bene Sciascia". Non me ne frega niente: continuo a considerarlo il mio elettrauto. Quando ho le batterie scariche, mi rivolgo a lui per ricaricarle». Ma andiamo a Montalbano: ha visto che il commissario è diventato anche un fumetto? «Sì, l'ho visto, e penso che vada benissimo. Io non ho una concezione di sacralità della letteratura. E mi ha fatto piacere anche il gioco multimediale realizzato da Antonio Sellerio: un bel cdrom. Tutto questo mi sta bene, perché poi si vanno a leggere i romanzi di Montalbano; e così ci abbiamo guadagnato tutti qualcosa». Ma i suoi affezionati lettori un giorno assisteranno pure alla «scomparsa di Montalbano»? «Una scomparsa come Patò no. Nel senso che se il commissario scomparirà, lo si saprà in termini chiari. Ma non penso che scompaia. E' solo che voglio un po' di spazio per poter scrivere anche altre cose». Ha in serbo nuovi progetti con la televisione? «L'unico progetto che rimane ancora in piedi, che non riguarda la televisione ma il cinema, è quello della trasposizione filmica de "La mossa del cavallo", da parte della produttrice Rita Rusic». E che fine ha fatto il suo laboriosissimo libro "Il re di Girgenti? «Per questo lavoro mi sono impegnato, perché certe volte è bene prendere degli impegni. E per evitare di dilungare troppo nel tempo la cosa, ho promesso a Elvira Sellerio di consegnarglielo entro il primo mese del prossimo anno, e ci sto lavorando in questi giorni». Ci saranno nuove fiabe, oltre a quella musicata da Marco Betta e che sarà proposta a febbraio a Ravenna? «Tra breve uscirà, presso la piccola casa editrice Altana di Roma, che è fatta da amici miei, un libro che raccoglie quindici favole, pubblicato come strenna e illustrato da Angelo Canevari». Mentre la biografia di Pirandello? «Uscirà pure a dicembre. Sarà quindi una sorta di fuoco d'artificio e speriamo che non sia quello definitivo»

SALVATORE FERLITA