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CAMILLERI&MONTALBÁ
Conversazione tenuta il 20 giugno 2000 nell'auditorium San Barnaba. Prolusione del sindaco Paolo Corsini. Su pressing di domande di Antonio Sabatucci e Claudio Baroni, Andrea Camilleri e Manuel Vázquez Montalbán hanno detto... 

L'INCONTRO, LE AFFINITA'

CAMILLERI. Io non avevo alcuna esigenza di conoscere Montalbán. So benissimo che nel 99 per cento dei casi, quando si conosce uno scrittore amato, si hanno delle delusioni terribili. Quindi, non dovendolo sposare, ed essendo già sposato, perchè dovevo conoscere personalmente Vázquez Montalbán? Bastavano i suoi libri che aspettavo con ansia. Senonchè mi è capitato che dovevamo incontrarci a Mantova al festival della letteratura, dove io lo avrei intervistato: tutti e due avevamo detto di sì, all'insaputa l'uno dell'altro. Senonchè c'è stato un invito gentilissimo di D'Alema, che avrebbe fatto da moderatore. Credo che sia stata da parte mia la curiosità di vederlo in quelle vesti a spingermi ad accettare l'invito. Ecco, quella è stata la prima conoscenza.

MONTALBÁN. La prima notizia dell'esistenza di Camilleri è stata una notizia giornalistica. La mia traduttrice l'aveva letto, ed anch'io ho cominciato a leggerlo. Poi, l'incontro è stato sotto gli occhi del "padrino" D'Alema, la parola padrino è innocentemente pronunciata, non c'è un secondo fine. E avevo una grande curiosità di conoscere D'Alema come critico letterario. E lui ha fatto una critica letteraria di un mio romanzo "O Cesare o niente", e ha dato una curiosa interpretazione, molto gramsciana, del partito come "Il Principe": questo è stato un motivo di conversazione con Camilleri, questa lettura molto particolare di D'Alema. Camilleri, che è un uomo molto generoso - una generosità che non è normale in uno scrittore, e che, da narciso, lui dissimula molto bene - ha dimostrato una grande conoscenza della mia opera. E' vero che la nostra è stata un'amicizia vera, condizionata dalle letture, dagli incontri, e per questo per me è un piacere essere qui e rinnovare la possibilità di parlare in pubblico con Camilleri.

CAMILLERI. Con Montalbán è avvenuto un fatto che è stato abbastanza straordinario per me. Stavo scrivendo il "Birraio di Preston", e non riuscivo a trovare una struttura al romanzo. Questo libro, scritto in un ordine cronologico, risultava di una noia mortale. Leggendo "Il pianista" di Montalbán, dove si fa un certo uso del tempo narrativo, mi si è aperto nella mente come avrei potuto strutturare il "Birraio di Preston": questo è il primo grosso debito che ho nei suoi riguardi. Giuro che non ci sarei riuscito da solo senza quell'"aiutino", sapete come quelli che si danno durante quei detestabili, orrendi quiz delle interrogazioni a scuola. Perchè, mi sono chiesto, devo scrivere un romanzo dalla a alla z? Io inizio da un episodio, e poi attorno ci costruisco il romanzo. E l'unico genere possibile in questo senso è il romanzo giallo. E così ho scritto il primo giallo dando al commissario, per un debito di riconoscenza, il nome di Montalbano, che, tra l'altro, è uno dei cognomi più diffusi in Sicilia, ed ho preso due piccioni con una fava. In Beppe Carvalho e Montalbano c'è un gusto comune per la cucina, però non credo che andrebbero nella stessa trattoria. Credo che, se dovessero fare assieme un'inchiesta, in cucina il loro rapporto finirebbe per rompersi. Una volta dissi che Montalbán doveva essere trascinato davanti al tribunale dell'Aia accusato di genocidio perchè, se voi provate a mangiare quello che mangia Beppe Carvalho, è una cosa terribile. Montalbano preferisce invece piatti più tranquilli, più genuini. E allora che cosa c'è nei due personaggi di affinità? C'è una disincantata ricerca della verità. Proprio disincantata. Sanno che possono sbagliare comunque, ad ogni passo che fanno. Sanno benissimo tutti e due che la verità nel 99 per cento dei casi non combacerà mai con la giustizia. Sono però onesti con se stessi. Ecco, credo che questa sia la cosa che li lega.

MONTALBÁN. Io credo che tra i due personaggi non ci sia solo un' attitudine, un legame etico, ma anche tecnico. Nel senso del problema del "punto di vista", che è il primo problema narrativo e letterario. Il romanziere deve delegare il punto di vista. Curioso. Montalbano è un poliziotto pubblico, un funzionario, Carvalho no, è un privato. Ma l'attitudine malinconica verso il mestiere e la società è molto simile, coincidente nei due. Perchè Carvalho è un "privato"? Per la scarsa fiducia che c'era in Spagna in quell'epoca per la polizia pubblica franchista, fascista. Invece, la normalizzazione della vita democratica italiana dopo il '45 ha permesso questa considerazione diversa del ruolo del poliziotto pubblico. Ancor oggi io provo una certa inquietudine quando vedo un poliziotto. Pesano gli anni di coesistenza con il franchismo.

LA POLITICA

CAMILLERI. Il futuro della sinistra? Domanda da un milione di dollari. Sciascia termina un suo splendido libro con un personaggio che esce dalla sede del partito comunista per andare nella parrocchia di fronte. In questi casi credo che l'esperienza personale da raccontare sia l'unica possibile. Di me posso dire le cose nelle quali ho creduto e continuo a credere. Fare il processo al comunismo solo ed esclusivamte attraverso quanto di negativo in esso ci fosse è, a mio avviso, un punto di vista non storico e non oggettivo, che ci porta a commettere degli errori di giudizio. Ecco, io continuo ad essere tuttora un marxista. Questo non significa avere dei rimpianti, nessun rimpianto, ma questo significa avere una certa visione e valutazione della società e dell'uomo, che non è semplicemente una visione marxista. E' una visione comune alla sinistra. Direi che la fine del comunismo organizzato era una splendida occasione per la sinistra, ma anche questa occasione è andata persa. Per avere seppellito i propri morti, non si deve pensare che tutto il mondo è morto. No, si continuano ad amare le persone vive, e, per quanto riguarda il compito dello scrittore, non credo che sia quello di cambiare l'uomo, ma quello di aiutare l'uomo a capirsi, a cominciare dallo scrittore stesso in quanto uomo. Credo che lo scrittore abbia dei compiti molto precisi e, nello stesso tempo, limitati. C'è stato un bellissimo incipit di un articolo di Giovanni Tinebra, procuratore capo a Caltanisetta, che dice: i romanzi di Camilleri bisognerebbe leggerli tre volte, la prima per ridere, la seconda per esaminarli e mettere a fuoco i dettagli e la terza per cominciare a ragionarci sopra. Ecco, io aggiungerei anche, anche se so che è un compito arduo, leggiamoli una sola volta tenendo però presenti tutti e tre i piani.

MONTALBÁN. Anch'io credo che la caduta del socialismo reale sia stata una magnifica occasione per ricostruire il discorso della sinistra. In tutta la mia opera si vede come il mio scetticismo per la destra è totale, mentre quello per la sinistra è relativo. Credo che il grande problema della sinistra in questo momento sia un pochino "robinsoniano". Si è prodotto un naufragio, l'occasione era la possibilità di costruire qualcosa di nuovo, si è recuperato parte del battello per erigere una piccola costruzione e guadagnare tempo. Il fatto importante è il chi è, chi è il soggetto attuale, storico, della trasformazione. Fino a trent'anni fa era il proletariato industriale, ma oggi chi è? Certamente esiste, sono tutti i perdenti in un senso plurale. E si può vedere che esiste anche oggi una contestazione generale contro la globalizzazione, ma si tratta di un nuovo soggetto in una fase di formazione: un soggetto critico che, a diversi livelli, e con un linguaggio diverso, e con ideologie diverse, conforma questa opposizione critica alla attuale situazione di sviluppo capitalistico. Io sono in un certo senso non ottimista (un aggettivo che mi dispiace profondamente), ma lucido, diciamo "speranzioso", la speranza questa virtù in senso laico, lo stesso senso che utilizzava Bloch quando parlava del futuro come una religione, la religione del futuro, il futuro sotto la luce della ragione.

GLI INCROCI CULTURALI

CAMILLERI. Il mio lavoro precedente, cioè il regista di teatri e di televisione e sceneggiatore, è solo una parentesi. Perchè io ho cominciato giovanissimo a scrivere, neanche a diciott'anni, poesie e racconti sulle terze pagine dei giornali. Poi ho cominciato a tentare di scappare dalla Sicilia, di fare il concorso all'accademia nazionale dell'arte drammatica, di essere ammesso e di trovarmi di fronte a questo "dirottatore" nato, che è stato il mio maestro Orazio Costa, che mi ha fatto veramente capire cosa fosse il teatro (Pirandello diceva "la vita la si scrive o la si vive"), e il teatro o lo si fa sul serio o non lo si fa. Ora io non so se questo fare teatro sia stato perchè sono stato "travolto" dal teatro oppure perchè già in me era nata una certa crisi, che era il non sapere più scrivere. Quando ho poi chiuso la parentesi teatrale, che cosa mi ero portato appresso? Anzitutto il senso del dialogo perchè tu sai che non puoi lasciare un attimo di incertezza nell'ascoltatore. Dalla televisione ho imparato a scrivere per certe sequenze e soprattutto, producendo la serie del commissario Maigret, che è stata tutta prodotta da me, durante l'operazione di sceneggiatura, smonta e rimonta il meccanismo poliziesco di Simenon, ho imparato parecchie cose su quella che è la struttura e il montaggio del romanzo giallo.

MONTALBÁN. Io vedo in Camilleri una certa influenza molto positiva del teatro in due aspetti, un dominio della situazione narrativa e di dialoghi, che deriva da una cultura teatrale e audiovisuale. Il mio rapporto con il giornalismo in Spagna? Cominciai a fare il giornalista per diventare scrittore perchè era l'unica possibilità di sopravvivere dal punto di vista economico. Sotto censura la stampa, mi sono dedicato soprattutto a scrivere saggi, poesie, ho cominciato racconti. E ancor oggi il giornalismo per me è una attività necessaria per mantenere questo rapporto quotidiano con il pubblico, per questa possibilità di agire e di reagire in rapporto alla realtà e offrire un quadro diagnostico immediato. Quando uno scrive un libro significa aspettare un anno, un anno e mezzo, per vedere il risultato ed arrivare al lettore, che diventa l'altro soggetto creativo della tua proposta. Il mio comunque è un giornalismo letterario e di opinione, non di strada perchè questo è molto più difficile combinarlo dal punto di vista letterario.

L'IDENTITA' LOCALE

MONTALBÁN. L'identità , l'unità spagnola? Quasi sempre è stato il risultato di un conflitto. E l'ultimo conflitto è stata la stessa guerra civile, che non soltanto ha significato una guerra di classe, ma anche la guerra di un centralismo per reprimere la formazione di movimenti nazionalisti alla periferia. E questo è stato un fattore molto negativo per un nuovo stato democratico e vale come memoria storica di quanto ha significato il franchismo come strumento di repressione della periferia, che ancora dura in un certo senso politicamente. La situazione è ancora più complicata per la globalizzazione, questo magma indeterminato, astratto, che implica una tendenza a rifugiarsi in una soluzione nazionalista, in una fede per questa paura di fronte al vuoto. In questo momento in Spagna il discorso nazionalista è in fase di cambiamento perchè bisogna trovare un rapporto con ciò che significa e comporta la globalizzazione. Che senso positivo può avere ancora la difesa della differenza? Questo è un discorso che almeno in Spagna non è ancora aperto. Nell'ultimo mio romanzo, che sarà pubblicato in Italia, "L'uomo della mia vita", c'è una certa riflessione sulla questiona nazionale spagnola e questo per me curioso nazionalismo nuovo formato, che significa Bossi con il suo immaginario della Padania: un importante fatto di riflessione su come il nazionalismo può provenire non solo dalla memoria storica del passato, ma anche dalla volontà di creare qualche cosa nuova, qualche proposta alternativa.

CAMILLERI. Io ho scritto sui tremendi errori che sono stati fatti dai governi centrali negli anni immediatamente successivi all'unità d'Italia, quando la realtà meridionale era un po' diversa da quella che è stata successivamente presentata: l'unità d'Italia ha indebolito molto, moltissimo, l'economia del Sud. Vorrei che fissaste la vostra mente su un solo fatto, il famoso brigantaggio meridionale degli anni post-unitari. Andate a leggere il rapporto del comando militare a Capua, e la tabellina riassuntiva, che dice "Briganti, dispersi 32.000". E allora cominciate a chiedervi in che senso è adoperata la parola brigante. O forse si trattava di contadini in rivolta? Ecco, allora su questo equivoco si è molto giocato. Per quanto riguarda la mia esperienza personale, devo dire che nei mesi che seguirono lo sbarco americano in Sicilia sorse poderoso, fortissimo, questo movimento separatista, che non era uno scherzo, non era solo occupare il campanile di San Marco. E c'era il bandito Giuliano alla testa, e i carabinieri si ammazzavano un giorno sì e un giorno no. Erano tutti armati con bombe e mitragliatori americani, e stampavano i loro manifesti su carta filigranata delle forze armate americane, e il colonnello Charles Poletti, assistito dal noto mafioso, suo segretario, che si chiamava Vito Genovese, nome ben noto alle cronache, stipendiavano il separatismo siciliano. Mai, e non è retorica, mi sono sentito così italiano come in quei giorni senza neanche sapere perchè. Che poi dentro di noi più si radicano, più vengono evidenziate le caratteristiche regionali, la cultura regionale, tutto questo non può essere altro che un bene. E mi è stato - come dicevo prima - a un certo punto molto difficile dire quello che sentivo profondamente attraverso questo italiano che non riuscivo ad adoperare come volevo. Sapete, l'italiano per noi siciliani "si impara a forza di botte sul sedere". Poi, conquistato faticosamente questo italiano, ho dovuto dirmi "Cerchiamo un compromesso". Se io voglio esprimermi pienamente devo andare a trovare certe parole che più e meglio esprimevano nel mio dialetto quello che volevo dire: tutta qua, l'operazione. Semplicissima. Luigi Pirandello scrisse tout court, semplicemente, e indiscutibilmente, che di una data cosa il dialetto esprime il sentimento, e della medesima, stessa cosa, la lingua esprime il concetto. Ecco, nella mia scrittura ho cercato di dosare questo. Però, quando sento sento che i dati Istat dicono che il dialetto viene parlato appena dal 34% delle persone, mi si stringe un po' il cuore. E leggo del presidente Violante e di altri che dicono "Difendiamo la lingua italiana": ma la lingua italiana non è che si difende con i proclami. La lingua, quella di qualsiasi paese del mondo, è un movimento continuo che dalla periferia raggiunge il centro, il corpo, di questo albero: e la linfa vitale di una lingua sono i dialetti, altrimenti l'albero si impoverisce, e le foglie vengono sostituite con foglie artificiali provenienti da altre lingue, e non dall'interno della nostra linfa vitale. Il fascismo aveva dato l'ostracismo ai dialetti. Leviamolo almeno questo ostracismo, che è un primo passo. Io poi credo di appartenere, mi onoro di appartenere alla categoria alla quale apparteneva Leonardo Sciascia, quella dei finti siciliani di mare aperto, che sognano per tutta la vita lo scoglio.

I LIBRI AL ROGO

CAMILLERI. Non credo che Montalbano troverà mai l'ardire di bruciare un libro. Caso mai lo seppellisce, lo fa sparire. E poi il rogo si paga duramente. Posso chiedere una cosa a Montalbán, che non gliel'ho mai chiesta e gliela chiedo qui in pubblico? Gli autori che il suo Beppe Carvalho brucia, esistono, sono viventi? E tu, come sei sopravvissuto?

MONTALBÁN. La spiegazione che dà Carvalho è una spiegazione troppo intellettuale. Lui dice che è una vendetta perchè la cultura non l'ha aiutato a vivere. Che ha letto molto, che la cultura è come un filtro cattivo, che impedisce una reazione immediata alla vita. Per me è una spiegazione troppo intellettuale, che lascio alla responsabilità del personaggio. Non è la mia spiegazione. Quando i libri bruciano nei miei racconti è per provocare. Brucia Engels per provocare i marxisti. Brucia Cervantes per provocare i cervantisti, una setta, una piccola industria culturale, come la setta di Joyce e degli altri scrittori, le piccole industrie culturali, dove mi piace molto creare un piccolo disturbo, uno scherzo. Una volta è stata una vendetta, quando Carvalho brucia un'antologia della poesia erotica spagnola perchè gli autori non vi hanno incluso i miei poemi. Era un fatto di giustizia. Nel caso di Camilleri un libro può diventare un fattore determinante per scoprire l'enigma del romanzo. Anch'io ho utilizzato questa possibilità. E credo che questa utilizzazione della cultura così arbitraria sia una coincidenza di più, che dimostra il substrato culturale di Montalbano e di Carvalho. Ed è molto strano perchè quasi tutti i poliziotti dei romanzi non hanno alcun livello culturale. L'unica preoccupazione culturale di Marlowe è di sapere il risultato di una partita di baseball o di saper chi è Joe Di Maggio.

LE DONNE

CAMILLERI. Io sono sposato da 43 anni sempre con la stessa moglie. Una volta mi sono vergognato. Stavo con registi ed attori, che ne avevano quattro o cinque, e io una sola. Ma non è che io possa dire Montalbano c'est moi. E' una caratteristica sua di essere praticamente un single nato. Lui adopera cinicamente Livia come vuole, però è anche vero che Livia si lascia adoperare. Ricevo centinaia di lettere. Un giorno mi arrivò una busta, la aprii, dentro c'era una splendida cartolina postale che rappresentava Boccadasse vista dal mare: l'indirizzo era "Al commissario Salvo Montalbano. Vigata. Mi sto cominciando a stufare delle tue bugie, delle tue tergiversazioni, dei tuoi rimandi. Certe volte non ne posso più. Ti amo ancora, ma fino a quando? Livia". Era una grafia femminile.

MONTALBÁN. Dopo un'analisi post-testuale, dopo tre romanzi di Carvalho, mi sono fatto questa domanda "Perchè ho scelto questo personaggio che va con una prostituta?". Ed ho capito che attorno a Carvalho si è formata una famiglia, ma non una famiglia in senso biologico. Quando ho cominciato a lavorare a questo personaggio, credo che fosse una novità: aveva una certa influenza tutta la ideologia della Comune, della nuova famiglia, verso la quale io ero molto ironico, ma, anche se ero ironico, quella ideologia, questa nuova teoria aveva una certa influenza, e io lo riconoscevo. E l'unica spiegazione che posso dare è questa, post testuale, perchè prima avviene il fatto concreto di scrivere.

I PAPI

MONTALBÁN. Il reportage fatto a Cuba sul Papa, diventato un libro, è un reportage molto speciale perchè significa un bilancio molto lungo, e abbastanza profondo, del mio rapporto con la rivoluzione cubana. La mia rivoluzione è stata la rivoluzione cubana, la mia guerra è stata la guerra del Vietnam. Ma c'è stata una perplessità per questa visita del Papa: come è possibile che l'ultima rivoluzione di questo secolo con il suo ateismo scientifico finisca in questo surrealismo puro? Allora ho cominciato una riflessione insieme al mio bilancio, alla mia memoria del mio rapporto con la rivoluzione, l'inventario delle diverse rivoluzioni che si sono succedute in Cuba, dalla prima rivoluzione nazional-popolare fino alla inevitabile influenza sovietica. Un inventario non solo dal punto di vista politico, ma anche culturale. E infine il giudizio finale che il modello della rivoluzione cubana è esaurito. Ma ancora, anche se in forma culturale, cominciamo a vedere una nuova tensione dialettica tra i "globalizzatori" e i globalizzati. Ed è per questo che il libro finisce con la nuova proposta della rivoluzione futura.

CAMILLERI. Avrete visto alla televisione e al cinema questi registi che perdono facilmente le staffe, che fanno i piccoli dittatori, insopportabile esseri. Per un certo periodo della mia vita lo sono stato anch'io, lo confesso. Poi ho modificato, come si usa dire, il mio approccio con gli attori. Ma in quei tempi... Un giorno avvenne la mia conversione. Stavo provando una commedia e avevo, tra gli altri, un vecchio attore bravissimo, Aristide Bachetti. Siccome non mi tornavano i conti con quello che gli attori facevano, partii in quarta e li insultai. Mia moglie, che non è donna di teatro, ma persona civile, si vergognò per me e poi mi chiese "Perchè non ti spaccano la faccia?". Bachetti, allora di 80 anni, ritornando a casa, mi disse "Lei ci deve perdonare, dottor Camilleri, però, vede, non è sempre detto che siamo noi che non comprendiamo sempre: non le è mai passato per la testa che è lei che non riesce a spiegarsi bene?". Mi stese. Da questo momento ci fu questa evoluzione in un altro regista, che cercava di spiegare con la domanda diventata rituale "Mi spiego?". Che c'entra? Ah già, il Papa. Durante questo periodo mi trovai a fare uno spettacolo ad Assisi, dove avevano costruito un teatro bellissimo, un palcoscenico enorme sul quale avevo montato tre girevoli per questo spettacolo, che era complessissimo, difficilissimo. E decidono di farne la trasmissione diretta in televisione perchè allora non si registrava. Ma il giorno prima il regista televisivo dichiara forfait, si ammala, ed io sono costretto ad assumermi anche la responsabilità della ripresa televisiva. C'era una scena in cui veniva rappresentata la prima notte di nozze di una coppia giovanissima. Quella notte viene concepito un figlio. Allora c'era questo "Paradiso" (l'autore aveva scritto "paradiso"), e c'era una sfilza di bambini piccolissimi, un angelo con le ali, che dice a un bambino "tu!", e quello è il momento del concepimento: un'idea poetica molto bella, solo che lo scenografo, pazzo da legare realmente in senso tecnico tanto che non riuscì mai in vita a sua a finire una scenografia, mi dice che non mi fa il paradiso perchè "non aveva mai visto un paradiso". Arrivati a questo punto, il primo cameraman mi disse "Dottore, lo spettatore se decide di vedere il paradiso, ce lo vede" "Ma lo spettatore televisivo?". Mi rassicura "Le faccio io le nuvolette". Il giorno della prova generale questo teatro si riempie di alti prelati, di cardinali a bizzeffe, vescovi non ne parliamo, monsignori, badesse, madre superiori. In questo preciso momento arriva lo scenografo dal fondo sala, che mi fa "Cos'è questa schifezza?". "E' il paradiso". "Non l'ho fatto io". "E va be'. L'ha fatto un altro". Non mi dice niente. Va in palcoscenico, si munisce di un martellone, e mi rompe la prima nuvoletta. Io, dal fondo sala, urlando, bestemmiando, attraverso, salto sul palcoscenico, gli do un cazzotto in faccia, dico ai carabinieri "Arrestatelo" e lo arrestano (mi dimenticai di lui, mi precipitai a liberarlo alle una di notte). Mi voltai, e la platea era completamente deserta perchè erano scappati tutti al suono delle mie orrende imprecazioni e bestemmie. C'era solo mia moglie incinta, che piangeva per la cattiva figura che avevo fatto. Non era stata una cosa civile. Allora, l'indomani, andai per chiedere scusa al Patriarca di Venezia. "Vorrei chiedere scusa per quello che ho detto ieri pomeriggio, sono veramente dispiaciuto". "Non chieda a me scusa. Lo chieda a se stesso". E già così mi sistemò per benino. Ma dopo un poco aggiunse "Al suo posto un cazzotto glielo avrei dato anch'io". Questo è stato il mio incontro con il futuro Papa Giovanni XXIII.

IL CIBO

CAMILLERI. A Barcellona siamo andati a cena insieme, e con squisita gentilezza e generosità Vázquez Montalbán mi ha consigliato dei piatti perchè aveva capito che cosa mi piace mangiare. Vorrei precisare che al commissario Montalbano mangiare è una cosa che dà piacere. Non riesce a cavarne la filosofia esistenziale del mangiare come avviene per esempio in "Robinson", l'ultimo libro tradotto in Italia di Montalbán, che è uno splendido saggio su cos'è la cucina, il mangiare. E' una cosa più ridotta, una sorta di risarcimento quello che si prende Montalbano su ciò che lo intristisce nella vita. Tanto è vero che mangia da solo e in silenzio: cosa che io non riuscirei mai a fare, questo vizio solitario orrendo. Con l'età io divento sempre più patriarca: con la moglie, la zia, i nipoti, questo mi diverte, questo mi piace, questo è mangiare, commentare. E ricordatevi di non fare mai l'elogio di colui che cucina, un errore che sconterete. Mia nonna faceva degli arancini, la cui memoria ho cercato di tramandare un poco negli arancini di Montalbano, che cadevano dentro appieno al sublime. Una volta superò se stessa. Eravamo una quarantina. Io stavo per dirglielo "Nonna...", ma suo figlio mi diede un calcio sotto il tavolo e disse "Zitto, perchè non bisogna mai dare soddisfazione. Così migliorano sempre". La verità è che Montalbano lavora di memoria, su quelli che erano i cibi genuini di una volta. Beppe Carvalho lavora benissimo sul presente.

MONTALBÁN. Ho pensato a Beppe Carvalho come a un personaggio fisso per una serie di romanzi con tutte le sue connotazioni. E una connotazione era fare la cucina. Io sono uno scrittore, ma la mia seconda attività è fare il cuoco. Sono un cuoco praticamente tutti i giorni. Non si deve abusare con le connotazioni per potere rendere un personaggio vero, credibile. L'altra è quella di bruciare i libri. La cucina di Carvalho è la cucina della memoria, appartiene al palato della memoria, la cucina della nonna, della famiglia. Con qualche apporto di carattere colto. Ma quasi sempre la sua cucina è popolare, delle radici popolari della Spagna. Perchè la cucina? Perchè è un elemento ludico, un contributo a descrivere un personaggio.

(Adattamento di R.R. con la collaborazione di Anna Zanini)