La Repubblica - Sabato, 13 maggio 2000 - pagina 48
Lo scrittore tra privato e politico
CAMILLERI: SONO STATO FASCISTA NON MI VERGOGNO
Torino - Copione rispettato: il mattatore della Fiera è Andrea Camilleri. Dibattiti (ieri sera con Gian Carlo Caselli), incontri, autografi da firmare a ripetizione allo stand della Sellerio. Un Camilleri a tutto campo, insomma. Confessa di essere stato fascista da ragazzo: "Non me ne vergogno. E sono orgoglioso di essere un uomo di sinistra". Racconta che, quando gli alleati sbarcarono in Sicilia, chiese subito di poter aprire una sede del partito comunista. Sulle prime, gli dissero di no. Poi, però, grazie all' intercessione del vescovo, potè aprire quella benedetta sede. Il vescovo aveva garantito per lui: "Se tutti i comunisti sono come Camilleri, va bene". Era lo stesso prelato che, ai tempi in cui il giovane Andrea si proclamava fascista, dopo averlo sentito parlare gli disse: "Ma tu sei comunista!". è ormai tanto popolare che Gianni Riotta, moderatore dell' incontro di giovedì sera, ha buttato lì: "Camilleri può essere il leader di questa sinistra?". Quella sinistra che il papà del commissario Montalbano vede così: "Oggi deve sforzarsi di capire la realtà, le istanze di una società che cambia". Chi vivrà, vedrà. Sicuramente il suo pubblico potrà leggere tra qualche tempo i due nuovi libri ai quali sta lavorando: Il re di Girgenti, storia di un personaggio realmente esistito che fu re per un giorno, e una biografia di Luigi Pirandello.
M.Nov.
Il Messaggero 13.05.2000
Fiera del Libro/Lo storico
Hobsbawm e lo scrittore protagonisti a Torino
Camilleri: ero fascista e non mi vergogno
dal nostro inviato RENATO MINORE
Torino. PRIMA o poi potrebbe uscire
fuori da qualche archivio, di quelli setacciati dai nuovi
storici e ricercatori a caccia di piccole o grandi
rivelazioni. Perché quella lettera fu davvero
scritta. A Benito Mussolini, firmata da Andrea Camilleri.
La guerra non era ancora scoppiata, il consenso al regime
nel Paese toccava le punte più alte. Come tanti suoi
coetanei il quattordicenne Camilleri viveva l'euforia, la
confusione, i miti di quei giorni. Frequentava una scuola
fascista creata per indirizzare elementi, per indottrinare.
Così prese carta e penna, indirizzò la
missiva al capo del governo che la propaganda mostrava
nelle mille pose della sua laboriosa quotidianità,
trebbiatore, suonatore di violino sciatore.
In quelle
poche righe esprimeva un desiderio ingenuo e impellente,
partecipare al conflitto d'Etiopia. «Fu una giovanissima
infatuazione, volevo partire volontario», il conflitto
africano sembrava un'occasione riservata al destino da non
poter saltare. «Non mi vergogno di essere stato fascista»
dice oggi Camilleri. L'occasione per questo piccolo
(privato) segreto ora non più tale, «svelato senza
alcuna reticenza» è l'incontro con il pubblico della
Fiera del Libro, tanti suoi lettori — soprattutto giovani —
che hanno riempito l'intera Sala Gialla. Al Lingotto che
parla di melting pot culturale, Camilleri è
perfettamente ambientato. La sua lingua naturalmente
"meticcia" — continua contaminazione tra italiano
e dialetto, un ibrido assai colorito, un idiometto che ha
fatto la sua fortuna con incredibile velocità — si
adatta assai bene ai temi che sono nell'aria e portano al
confronto tra narratori di diverse culture. «Il mio modo di
scrivere non è frutto di premeditazione, ma il modo
migliore per esprimere le cose che voglio raccontare», dice
lo scrittore incalzato da Gianni Riotta. E' questo il suo
linguaggio che arriva dal cuore, dalla memoria. E nella
memoria accanto all'amore per la letteratura, accanto alla
passione per il mondo dei contadini c'è
l'infatuazione politica, imbarazzante. «Finì presto
— aggiunge Camilleri — perché con la guerra si
svelò la vera natura di quella ideologia così
funesta». Fu una vera crisi politica che investì
un'intera generazione e che portò lui e tanti suoi
compagni di strada al comunismo. «Sono orgoglioso di essere
stato e di continuare a essere un uomo di sinistra». Anche
oggi che la sinistra deve sforzarsi di capire la
realtà, le istanze di una società che cambia,
libera da nevrosi nei confronti dell'avversario e «capace
di riscoprire la grandezza della politica», nel millennio
appena iniziato.
Ma come affrontare quest'epoca, come
cercare di intuirne il profilo, come liberarsi dalle
pesanti ipoteche ideologiche, religiose che l'hanno
condizionata? Dopo Camilleri, con la storia molto personale
e molto emblematica del suo giovanile entusiasmo per il
fascismo, ecco un altro protagonista, Erik Hobsbawm sulla
scena del Lingotto, storico dei maggiori, ottantatreenne
lucido che ha lavorato e studiato a lungo nel nostro Paese
e ne parla con proprietà la lingua, filo-italiano al
punto da battezzare "piazza Verdi" una ceramica
italiana esposta nel giardino della sua casa
londinese.
Hobsbawm si è trasformato in profeta
del nuovo secolo presentando la lunga intervista condotta
da Antonio Polito che è uscita qualche mese fa da Laterza. Si è dichiarato non proprio ottimista, ma
abbastanza scettico nei confronti di una scena mondiale
dove scompare il grande pericolo della guerra nucleare, ma
esistono tante guerre locali «soprattutto dove non
sopravvive più la struttura statale o dove essa
è pericolosamente indebolita». Scettico anche nei
confronti del nuovo capitalismo che aggrava le
disuguaglianze, con lo sviluppo economico che è
diventato molto più instabile di prima. Ma ci sono
problemi che le forze cieche del mercato non possono
risolvere. Uno di questi è l'immigrazione, fenomeno
inevitabile nella società occidentale «da governare
garantendo a tutti la piena cittadinanza». Una vecchia
battaglia caratterizza dunque il nuovo secolo: la battaglia
dei diritti.
Giornale di Sicilia 13.05.2000
Camilleri confessa: "Da giovane ero un fascista"
TORINO. Andrea Camilleri, poco più che ragazzino,
scrisse a Benito Mussolini per chiedere di partire volontario ín
Africa. Alla fine degli anni Trenta, alla vigilia dei 14 anni, prese carta
e penna e dalla natìa Porto Empedocle (Agrigento), mandò
una lettera al Duce facendogli presente il suo desiderio di partecipare
alla guerra in Abissinia.
E' stato lo stesso scrittore, oggi settantacinquenne
con una lunga militanza nel Pci alle spalle, a rivelare questo suo peccato
di gioventù durante un affollato incontro alla Fiera del libro di
Torino, dove è stato uno dei primi ospiti d'onore.
Lo scrittore siciliano, autore della saga del commissario Montalbano, tra i libri più amati dagli italiani negli ultimi anni,
ha lasciato libero corso ai ricordi, agli inizi della sua passione politica,
nata proprio con il fascismo. Ben presto, però, l'infatuazione svanì.
Camilleri ne scoprì "gli inganni" e comprese come "la realtà
fosse lontana dagli ideali di trasformazione sociale che l'ideologia fascista
sembrava portare con sè". Fu quella, ha detto il popolare scrittore
intervistato dal giornalista Gianni Riotta, "una crisi politica" che investì
un'intera generazione: il risultato per Camilleri, come per molti altri,
fu il passaggio al comunismo.
"Non mi vergogno di essere stato fascista - ha detto
lo scrittore. Sono orgoglioso di essere stato e di essere un uomo di sinistra".
Cosa pensa allora Camilleri della sinistra di oggi? "La
sinistra deve sforzarsi di capire la realtà, le istanze di una società
che cambia", ha risposto. Una sinistra, dunque, "senza timidezze", libera
da nevrosi nei confronti dell'"avversario" e capace di "riscoprire la grandezza
della politica". Camilleri può essere il leader di questa nuova
sinistra, dall'alto del suo successo letterario? "Non ci penso proprio",
ha risposto l'interessato.
Andrea Camilleri ha parlato anche del suo linguaggio,
considerato dai critici uno degli esempi più riusciti di "meticciato"
stilistico, di contaminazione tra lingua e dialetto.
"Il mio modo di scrivere - ha affermato - non è
frutto di premeditazione, ma il modo migliore per esprimere le cose che
voglio raccontare". Un linguaggio che "arriva dal cuore, dalla memoria",
in particolare dall'infanzia in Sicilia, dove il ragazzo Camilleri ha scoperto
l'amore per la letteratura, ma anche la passione per il mondo dei contadini
e dei pescatori. "Sono stati loro - ha detto l'autore - a insegnarmi a
vivere".
Corriere della Sera 13.05.2000
Il giovane Camilleri scrisse a Mussolini :
"Voglio andare volontario in Abissinia"
Andrea Camilleri, appena quattordicenne, scrisse a Benito Mussolini
per chiedere di partire volontario in Africa. Accadde alla fine degli anni
Trenta e dalla natia Porto Empedocle (Agrigento) l'adolescente Camilleri
per lettera faceva presente al Duce il suo ardente desiderio di partecipare
alla guerra in Abissinia.
E' stato lo stesso scrittore, oggi settantacinquenne, a rivelarlo durante un
affollato incontro alla Fiera del Libro di Torino, dove l'altro ieri sera è stato
uno dei primi ospiti d'onore.L'autore della saga del commissario Montalbano
ha detto che ben presto, però, l'infatuazione per il regime mussoliniano svanì.
Camilleri ne scoprì "gli inganni" e comprese come "la realtà fosse lontana
dagli ideali di trasformazione sociale che l'ideologia fascista sembrava portare
con se". Fu quella, ha proseguito, "una crisi politica" che investì un'intera
generazione il risultato per lui, come per altri, fu il passaggio al comunismo.
E com'e' la sinistra di oggi?
"Deve sforzarsi di capire la realtà che cambia", ha detto.