Giornale di Sicilia 17.06.2000

Libri. Marcello Sorgi intervista lo scrittore
Camilleri: donne come i gatti, intelligenti ma imprevedibili

Botta e risposta, e quel che… "La testa ci fa dire" (Sellerio, 176 pagine, 15.000 lire) si predispone a ritmi squisitamente barrativi affidando alla carta l’intervista che Marcello sorgi, giornalista e direttore de "La Stampa", rivolge ad Andrea Camilleri. Metti un’afosa serata di luglio, l’ameno piacere delle quattro chiacchiere tra amici e, soprattutto, la verace logorrea di due siciliani d.o.c. ed ecco, fresco fresco di stampa, un libretto di confessioni che, del "fenomeno" letterario più discusso del momento, ci conferma un sospetto: Camilleri è personaggio di grande calibro umano, osservatore sagace della giostra di tipi che animano il mondo, paroliere ferrato alla "messa in scena" di storie.

Anche quando sceglie di raccontare se’ stesso; piccole restituzioni della memoria e del sentimento "impaginate" con il suo solito gusto del colore: il ricordo della nonna Elvira che gli recitava i brani di "Alice nel paese delle meraviglie" e che sognava di andare a Roma per vedere il Papa e la Villa di Adriano, li vide, e morì di tanta bellezza, troppo per lei che non era mai uscita dalla Sicilia; o di quei luoghi magici, come la Cappella dell’infanzia, dove si rifugiava e dove la passione per i paramenti sacri lo spingeva ad indossarli, di nascosto, e a sognarsi vescovo; o ancora di quell’esordio in teatro nel ’56 ad Assisi, quando lo scenografo rifiutò di fargli il "paradiso" perché non l’aveva mai visto e lui, Andrea, dovette scusarsi con Dio.

La "chiacchiera" tra Sorgi e Camilleri si spinge oltre: sfiora la retorica della "sicilitudine" (il vero limite di noi siciliani è di non riuscire, o riuscire raramente, a superare il nostro orizzonte), s’impantana in una diatriba sull’universo femminile (è come tentare di capire un gatto, sapendo che è molto intelligente, ma imprevedibile), satireggia su politica e politici (la rottura fascismo-antifascismo non può essere certo sanata con il "volemose bene" di Violante; oppure su Andreotti: si rischia di farne un santo o martire, senza poter discutere le sfumature di una storia politica piena di ombre e durata mezzo secolo; su Martinazzoli: liquidatore di una tradizione politica che era degenerata; su Bertinotti: perché non parla di politica con la stessa concretezza con cui parla di letteratura). Ed infine sul valore della scrittura (uno scrittore s’impegna all’atto della scrittura), per rispondere a Vincenzo Consolo per il quale il successo di Camilleri è dovuto alla leggerezza e al disimpegno della proposta narrativa, e per rispondere a tutti coloro, che senza aver mai letto i suoi libri, di tanto successo si stupiscono e scandalizzano. Solidali i fans, i lettori, che a lui indirizzano carteggi virtuali con Montalbano, Livia e Augello e che gli confermano come la lettura della vicende del picaresco commissario sappia strappare più che un sorriso: "Terribile, da una lato sei contento, dall’altro sei terrorizzato della responsabilità che in qualche modo ti viene data". Perché Andrea Camilleri, diciamolo pure, è come quegli altri grandi siciliani che "in un dato momento della storia corrono in soccorso di uno che sta perdendo o si rifiutano di salire sul carro del vincitore".

Micaela Sposito