Corriere della sera 14.11.2000

Così Patò scomparve nella botola
PUZZLE L’autore siciliano ha costruito un romanzo in forma di dossier senza dialoghi e voce narrante. Una sfida Se la Concessione del telefono (1997), uno dei più acclamati romanzi di Andrea Camilleri, era una storia fatta di «cose dette» e «cose scritte», costruita cioè su dialoghi, lettere e senza voce narrante, il romanzo che esce oggi, La scomparsa di Patò , è costruito solo sulle «cose scritte»: articoli di giornale, «L’araldo di Montelusa» e «La Gazzetta dell’Isola», verbali, rapporti di polizia, lettere di politici, questori, prefetti, funzionari di banca, ecclesiastici, confidenti, delatori eccetera. Dialoghi ed episodi, insomma, arrivano al lettore tramite il filtro di un dossier che frena la partecipazione emotiva e crea nel lettore una sorta di straniamento, da oratorio teatrale. Nella seconda metà degli anni ’90, Camilleri ha letteralmente dominato le classifiche delle vendite (circa un milione e mezzo di copie) grazie a un genere poco frequentato in Italia, quello dell’«intrattenimento alto» dove il divertimento viene cercato tramite una scrittura di qualità, fatta di ricerca espressiva e contenuti di spessore psicologico e sociale, senza ricorrere a effetti speciali o ruffianerie. E i suoi polizieschi, sia quelli contemporanei con protagonista il commissario Montalbano sia quelli ambientati nella Sicilia postunitaria dell’Ottocento, incontrano favori presso un pubblico di affezionati sempre più largo e la stessa critica. Ecco perché il romanzo, costruito a incastro come un «puzzle» di informazioni, è una scommessa per lo scrittore siciliano, 75 anni, così amato ed apprezzato per la capacità di evocare il «genius loci», le atmosfere, i caratteri, le passioni e le ambiguità della sua terra, senza cadere nel bozzetto (talora, anzi, elevando la sicilianità a metafora della commedia umana); forza evocativa che offre le migliori suggestioni nei romanzi ottocenteschi dove i meccanismi dell’intrigo si coniugano con la memoria storica. Anche La scomparsa di Patò è ambientato nella Vigata di fine ’800. Camilleri - uomo di vaste curiosità intellettuali - avrà provato divertimento nell’assemblare le voci in una sorta di concerto polifonico dove il burocratese dei funzionari si alterna al barocco di politici ed ecclesiastici, e il dialetto (che affiora anche nel dossier, magari di riporto) dei popolani al gergo dei mafiosi. Ma viene anche da chiedersi se il virtuosismo, per quanto colto e brillante, non comprometta la fluidità del racconto, privato della vivacità di dialoghi spesso esilaranti per umorismo e di una voce narrante capace di evocare sfumature e chiaroscuri dell’ambiente. Camilleri ha rischiato qualcosa rinunciando - forse per amor di ricerca letteraria - a mezzi espressivi di cui è maestro, ma sfodera un’altra arma: il soggetto che, più di ogni altra sua storia, affonda le radici nell’immaginario siciliano, sui quali appunto s’innesta l’evento tragicomico perno della trama. Come Leonardo Sciascia menziona in A ciascuno il suo (Camilleri lo cita nel frontespizio), durante una recita del «Mortorio», cioè della Passione di Cristo secondo il cavalier D’Orioles, il ragionier Antonio Patò, che impersonava Giuda, scomparve nella solita botola che si apriva in palcoscenico. Come decine di altre volte: solo che, quel Venerdì santo, nessuno più lo rivide. Dalle cronache delle gazzette e dai rapporti ufficiali il contesto della rappresentazione sacra (col pubblico in lacrime per Gesù e infuriato contro Giuda), emerge con la forza intrinseca agli eventi radicati nella storia popolare: tutto quanto avviene dopo, beneficia di questo abbrivio straripante d’intensità, che conferisce un’aura sulfurea, tra mistero sacro e opera del diavolo, anche a fatti prosaici come beghe tra inquirenti, storie di corna, imbrogli finanziari o prepotenze di politici collusi con la mafia. Antonio Patò è un cittadino modello, dirige la filiale della Banca di Trinacria. Chi può averlo rapito o ucciso? Oppure è fuggito? O ha perso la memoria? Ma come avrebbe fatto a sgattaiolare di sotto il palco senza che nessuno lo notasse? Un predicatore tuona dal pulpito che il diavolo se lo portò via per punire il teatro, opera sacrilega; l’astronomo e l’archeologo della regina d’Inghilterra sostengono rispettivamente che sia stato inghiottito da un «interstizio» spazio-temporale o dalla «scala del matematico Penrose». Parallelo alle ipotesi preternaturali, corre l’intrigo terrestre dove il gioco dei potenti s’intreccia con le voglie della carne in una miscela shakespeariana al fondo della quale Camilleri tiene celata la soluzione. E al lettore non resta che gustarsi i diversivi ora comici, ora paradossali, ora tragici, pazientando di verbale in verbale fino alla verità. Il libro : «La scomparsa di Patò», Mondadori Editore, pagine 260, lire 28.000

Cesare Medail