Corriere della sera 07.12.2000
La favola del drammaturgo scambiato
L’ULTIMO CAMILLERI Il padre del commissario Montalbano ha scritto una biografia letteraria di Luigi Pirandello

A chi sfoglia le prime pagine del nuovo libro di Andrea Camilleri, Biografia del figlio cambiato , pare di leggere uno dei suoi romanzi (tipo La scomparsa di Patò o La mossa del cavallo , per citare i più recenti) ambientati nella Sicilia postunitaria dell’Ottocento, dove i piemontesi si fanno largo a fatica in una cultura antica e diversa. Pare, insomma, di ritrovare il più felice, forse, tra i due filoni narrativi dello scrittore di Porto Empedocle (l’altro filone sono i polizieschi del commissario Montalbano). La scena, infatti, si apre con l’assalto a Palermo di «tre o quattromila viddrani», rivolta contro la quale il governo spedisce nuove truppe sbarcate nell’isola assieme al colera, manzonianamente percepito come una «camurrìa» sabauda contro i siciliani. Ma anche quando il lettore apprende che protagonista straordinaria della storia è la famiglia Pirandello di Porto Empedocle, la sensazione non è quella di leggere una biografia; si gusta sapore di romanzo, con le giuste atmosfere di cui Camilleri è sapiente evocatore e con le incursioni dell’ironia tra le pieghe del dramma di cui è specialista. L’incontro di don Stefano scampato al colera, «asciucato nel corpo e stracangiato nella faccia», con la moglie incinta che partorisce per lo spavento a sette mesi lo «picciliddro» Luigi, è un quadro neorealista; oppure, lo scontro a fuoco nella zolfara tra lo stesso Stefano con l’«ex carzarato» e mafioso Colazza è degno di Sergio Leone; oppure ancora, l’incontro del piccolo Luigi con un cadavere nella torraccia dove, a pochi metri, «un mascolo e una fimmina» erano allacciati in uno «strano ballo», è un grottesco alla Buñuel; infine lo sputo del piccolo Luigi all’amante del padre nel mezzo di un amplesso clandestino in convento, mentre la badessa ruffiana «atterrita, inserra lo sportello della grata», sarebbe la scena madre di qualsiasi romanzo. E Camilleri usa le armi di cui dispone, culturali e linguistiche, per dare corpo alla storia. Il piccolo Luigi è, dunque, Pirandello e la storia è quella del più grande drammaturgo italiano (1867-1936), conterraneo di Camilleri. Le armi della narrativa, quindi, si mettono a disposizione della cronaca, dando vita, corpo e sangue alle notizie e ai dati per altro ben noti della biografia pirandelliana. Lo scrittore, tuttavia, guarda a Pirandello da un angolo speciale, quello del «figlio cambiato», come recitano il titolo del romanzo e quello di una novella pirandelliana. Nei risvolti della biografia, Camilleri raccoglie tutti gli elementi che testimoniano come e perché il drammaturgo si fosse sentito un «figlio cambiato», fosse stato cioè angustiato dai dubbi sulla propria appartenenza familiare. Due volte suo padre spaventa mamma Caterina e due volte capita una disgrazia: partorisce Luigi settimino quando Stefano si presenta divorato dal colera, e perde il latte vedendolo sanguinare dopo la sparatoria col mafioso. Che cosa aveva, poi, a che fare con quell’omaccione urlante e iracondo che faceva piangere la mamma ed era anche capace di «tradire», come quella volta in convento? Che cosa c’entrava quel sangue caldo col suo sangue freddo? Non poteva essere lo stesso. E quando la fantesca Maria Stella gli raccontò la favola del «figlio cambiato» (dove la mamma di un bimbo deforme si convince che il suo vero figlio, bello e biondo, è stato rapito in culla dalle donne, come chiamavano le stre ghe) fu per lui una rivelazione. Per il giovane Luigi cominciò una vita da «figlio scambiato», come quando frequentò di nascosto una «scuola scambiata», il ginnasio, mentre il padre lo credeva alle tecniche; o come quando si convinse di vivere in una «casa cambiata», quasi priva di libri. Persino quando la moglie Antonietta si rivelerà non essere la «compagna d’arte» che aveva vagheggiato e si perderà nei labirinti della follia, sospinta da parossistica gelosia al punto di accusarlo d’incesto, Luigi continuò a sentirsi perseguitato dal marchio del «figlio cambiato». «Non possiede che quella vita, che ha voluto ostinatamente crearsi e deve patirne l’imprevisto, spaventoso, disagio», scriva Cammilleri. Come sarebbe stata senza quel «cambio»? Così, nelle notti trascorse a scrivere Il fu Mattia Pascal , scoprì che, non potendo più cambiare vita, poteva «se non altro rifrangersi in una miriade di deformanti proiezioni di sé», in una sorta di caleidoscopio di identità quali si ritrovano, ad esempio, nei Sei personaggi in cerca d’autore . Nella seconda parte del libro è l’opera di Pirandello a diventare protagonista, e Camilleri cambia registro. La narrazione quasi scompare per cedere il passo alle citazioni di brani e di critici. Il saggio ruba spazio al racconto, e l’autore cerca il «figlio cambiato» tra pagine e sipari, più che nei fatti della vita. È un Camilleri meno riconoscibile, meno godibile per i cultori di Vigata, i quali forse dimenticano che il padre di Montalbano ha speso, prima, una vita per il teatro.

Cesare Medail