La Sicilia 02.12.2000
Pirandello nel Dna dei siciliani

ROMA - A 15 giorni dall'uscita dell'ultimo romanzo di Andrea Camilleri, «La scomparsa di Patò», Mondadori manda in libreria mercoledì un suo curioso saggio su Luigi Pirandello, «Biografia del figlio cambiato» (pp. 270 L. 27.000), mentre Rizzoli annuncia per il 2001 «I colori della letteratura», indagine sul caso Camilleri di Simona Demontis. Nelle storie del commissario Montalbano, del resto, la presenza del rapporto difficile con la realtà e lo spirito 'poliziesco', tipico di Pirandello, che tutto costruisce come un'indagine, si avverte sempre, per non dire quanto palesemente il suo Patò debba a «Il fu Mattia Pascal». «Non saprei proprio dire cosa rappresenti per me Pirandello, - spiega Camilleri - E' talmente nel Dna di noi siciliani e in particolare del mio. Ho scoperto da poco che una mia nonna era sua cugina».

E poi, pian piano, racconta tutta una serie di coincidenze e legami col grande drammaturgo, a cominciare da quando lui aveva 10 anni e Pirandello arrivò all'improvviso a casa sua, provocando grande agitazione e spaventandolo con la sua divisa da ammiraglio, in realtà feluca e spadino da Accademico d'Italia, «così per 40 anni ebbi un vero rifiuto verso la sua figura e i suoi libri». Dopo fu invece, appunto, consonanza. Il libro odierno lo definisce «Tentativo di biografia di Pirandello da un punto di vista particolare, il rapporto col padre, che si riverbera poi in quello che avrà lui col figlio. Nulla di inedito, e devo molto alla biografia di Gaspare Giudice. Scritto quindi non per gli studiosi, ma per il lettore comune». E così la struttura è narrativa e la lingua è nella prima parte quella di Montalbano, l'italo-siciliano «mitico della mia infanzia con cui racconto quella di Pirandello e le sue confessioni a Nardelli, mentre la seconda parte, l'età e il mondo adulto, è scritta in italiano e costruita molto sulle lettere».

Quindi racconta di quando, senza saperlo, indossò per oltre un anno un capo di un personaggio di Pirandello, un gilet trovato in un baule in casa di un amico, appartenuto a Pepè Malato, «grande puttaniere, sindaco di Porto Empedocle, intimo di Pirandello, che seppi poi proprio ispirandosi a lui scrisse 'Cecè'». Quel Cecè di cui ho realizzato la regia agli inizi degli anni '80 anche per la tv». Fu allora che un recensore gli attribuì, criticandolo, la paternità del testo e lui replicò con un biglietto, ispirato da Natalia Ginzburg: «Spero che dopo la delusione per la mia opera giovanile apprezzi questa che ora le invio della mia maturità. Andrea Camilleri», con allegata una copia dei «Sei personaggi».

Il titolo del saggio biografico rimanda alla «Favola del figlio cambiato», il testo su cui Pirandello ha lavorato di più e che introduce il problema dell'identità. Quel testo nasce dal racconto fattogli in casa dalla cameriera Maria Stella, torna nei «Giganti della montagna» che lo stanno mettendo in scena, lo riduce a libretto per l'omonima opera di Malipiero. «Senza ricordare anche che mia madre - aggiunge Camilleri - da piccolo, siccome ero un vero delinquente, prima che mi addormentassi diceva a mio padre che dovevano avermi scambiato in culla i donni (le streghe) col figlio di un carrettiere». E il problema dell'identità serve a parlare del padre Stefano «che non vuole il figlio facesse lo scrittore e arriva a negarlo, a annullarlo da sè come persona, poi del rapporto di Luigi col figlio cui ha dato il nome del padre e che scriverà come lui, ma che non lascia libero, dirigendogli di persona i lavori o firmando testi scritti da questi, come il celebre 'Non parlo di me'. Serve anche a parlare del rapporto con la moglie e della pazzia di questa, che non ritiene alla sua altezza e relega al ruolo di madre e sposa, senza che esca più di casa, continuamente, silenziosamente umiliata, specie da quando il padre perde tutti i soldi della sua dote, privandola anche del potere del denaro, quel denaro che a Pirandello aveva permesso di lavorare in pace. Luigi insomma traduce in violenza intellettuale, quella che in suo padre era violenza naturale».

Interrogato infine sulle ragioni del suo incredibile successo, il padre del commissario Montalbano, cita un grande vecchio della nostra letteratura: «Carlo Bo ha scritto che il lettore avverte non la qualità letteraria, ma il modo di porsi, l'atteggiamento dello scrittore davanti alla scrittura, che è diverso, per esempio, tra Gide e Simenon. E il pubblico sceglie Simenon per questo e perchè rappresenta una narrativa di intrattenimento medio-alto». Lo stesso posto che nel panorama italiano è andato a occupare Andrea Camilleri con le sue storie gialle di Vigata e i romanzi storici, e ora con questo racconto-saggio.