Giornale di Brescia 13.10.2001
Il re arruffapopolo di Girgenti
Nel nuovo romanzo di Andrea Camilleri la rivoluzione del bracciante
Zosimo nel ’700.
In libreria anche una ricerca critica sul «caso» dello
scrittore siciliano
Arriva un nuovo libro di Camilleri. E ci coglie di sorpresa, perché
pensavamo che questa stagione avesse già dato i suoi frutti. Il
prolifico scrittore di Porto Empedocle ha appena rimesso in moto il suo
commissario Montalbano con un delizioso «L’odore della notte»,
subito prima aveva messo a segno un uno-due con «La scomparsa di
Patò» nel filone storico e con «Il figlio cambiato»,
sperimentando così anche l’inedito versante biografico-saggistico.
Un altro volume, così presto, non ce l’aspettavamo. E la definizione
«volume» non è fuori luogo, visto che trattasi di 450
pagine. Cinque parti, 25 capitoli e un intermezzo. Insomma, per dirla alla
sua maniera, Camilleri si è «scialato». La storia è
quella di Zosimo, bracciante della plaga agrigentina, che all’inizio del
Settecento si trova a guidare una sommossa popolare contro il potere. Come
tutte le rivoluzioni popolari si evolve rapidamente: giustizia sommaria
per i nobili, messi nel mucchio con funzionari e guardie. Patibolo per
tutti e giorni di grande euforia. Zosimo viene persino proclamato re. Poi
finisce come tutte le sommosse: l’arruffapopolo appeso in piazza (si fa
per dire) e il popolo che torna a ranghi compatti nell’alveo della vita
grama. Ma resta quel sogno di folle liberazione, da tramandare di padre
in figlio... fino a Camilleri. Che quando trova la documentazione del fatto
«resta strammato» e non si dà pace finché non
la racconta a tutti. Non l’ha mai nascosto: a lui l’idea per un libro o
un racconto nasce sempre da un dato oggettivo, da un fatto accaduto. Camilleri
è uno strano siciliano: ama parlare, il racconto gli fa sangue.
Ma è attentissimo, da buon siciliano, a non rivelare dove sta parando.
Di questo racconto aveva fatto un cenno, con sorriso sornione sotto le
folte candide ciglia, una serata dell’estate scorsa: al tavolo di una trattoria
di Borgo Trento, in un’indimenticabile cena con Manuel Vázquez
Montalban...
Poi più nulla: pensavamo fosse finita tra le buone intenzioni che
non si realizzano, come il tanto atteso libro-dialogo con lo scrittore
di Barcellona, appunto. E invece, eccolo Zosimo, in carta e inchiostro,
per un’altra avventura che non mancherà di trascinare lettori a
migliaia. Camilleri ormai ha un suo folto pubblico, di lettori semplici
e di lettori complici. I semplici sono tanti, si lasciano travolgere dalle
vicende del commissario Montalbano, si ritrovano bene tra Vigàta
e Montelusa. Si fanno una gita a Tindari e protestano perché Livia,
la fidanzata di Montalbano, è una slavata ragazza delle parti di
Genova, e non una bella mora sanguigna e mediterranea. Se a Salvo proprio
piacciono le bionde, perché non cogliere fino in fondo le affettuose
attenzioni dell’amica svedese? I complici amano invece il filone storico.
«Il procuratore capo di Caltanisetta, Tinebra, ha detto che un libro
di Camilleri si legge una prima volta per ridere, una seconda per iniziare
a riflettere, una terza, infine, per cogliere le implicazioni meno esplicite
e per comprenderne la valenza sociale». La citazione - per dare a
Cesare quel che è di Cesare - viene da un altro libro, che stavolta
ha Camilleri come protagonista e non come autore. Una chicca per i lettori
complici: si intitola «I colori della letteratura» ed è
«un’indagine sul caso Camilleri». L’autrice, Simona Demontis,
sviscera l’opera dello scrittore siciliano con affetto e con freddezza.
Ama Camilleri, ma non concede nulla sul piano dell’analisi critica. Sull’uso
della lingua, inimitabile impasto di siculo-italiano, che non viene usata
sperimentalmente, come fece Gadda, ma che connota tempi, ambienti, atmosfere,
sentimenti: l’italiano è la lingua fredda dell’ufficialità,
il dialetto quella della personale passione. Per la narrazione: l’autore
mischia l’oggettività del narratore esterno a quella del narratore
onnisciente, ma poi non sa resistere alle intrusioni dirette, cariche di
ironia. Persone e personaggi: le prime scavate con profondità psicologica
sottilissima, gli altri schizzati come macchiette da chi sa usare con estrema
abilità i meccanismi della macchinazione scenica. E la conclusione:
«In Camilleri non si è spenta la volontà della sperimentazione:
avrebbe potuto sfornare libri di Montalbano «a vita», godersi
una popolarità di massa e gongolare scorrendo le classifiche di
vendita. Invece ha preferito tentare soluzioni narrative e stilistiche
sempre diverse». Il saggio «era» aggiornato all’ultima
opera, già preso in contropiede da quest’ultimo libro, arrivato
proprio ieri sugli scaffali, annunciato come «l’opera» principe
dell’infaticabile Camilleri. E ora, scusate, ma vi lascio: sono a quando
Zosimo, che vaga con sua moglie e un gruppo di altri disperati nelle campagne
in cerca di una giornata di lavoro e di un tozzo di pane, si imbatte in
un riccone precipitato con il cavallo in un dirupo. Zosimo neppure per
un attimo si sogna di fare il buon samaritano: quell’uomo implorante soccorso,
con gioielli e vestiti, è «una minera»... E mi chiedo:
come andrà a finire con Zosimo? E con Camilleri?
Claudio Baroni