Diretto, esplicito come il protagonista dei suoi romanzi, Andrea Camilleri,
grande assente al convegno "La mafia fra tradizione e innovazione", organizzato
da Magistratura Democratica, ci tiene a fare conoscere il suo pensiero.
E, in una lettera, a cui affida i suoi saluti ai partecipanti al seminario,
disertato per motivi di salute, parla di "attacchi delegittimatori alla
magistratura da parte di rappresentanti del governo".
Il padre del commissario Montalbano non è incline alle mezze
misure. "Mi si potrà obiettare - dice – che le parole non sono pallottole.
Io credo che lo siano. E credo che la mafia abbia sensibilissime antenne
pronte a captare ogni calo di interesse nei suoi confronti". Camilleri
parla di "semafori verdi aperti davanti alla mafia" e fa riferimento alla
nuova legge sulle rogatorie, l'abolizione delle scorte, il progetto di
separazione delle carriere dei magistrati. "Un pacchetto regalo - aggiunge
- posto ai piedi dell'albero di Natale di Cosa nostra".
Un saluto breve che interrompe per pochi minuti i lavori di un convegno
a più voci. Di mafia parlano in tanti. Storici, sociologi, magistrati.
Come Salvatore Lupo, docente di Storia moderna all'Università di
Palermo. L'analisi impietosa di "una società che - dice Lupo - ha
bisogno della mafia delle sue regole". "Settori delle istituzioni, dell'imprenditoria
e finanche della società civile - aggiunge - sono tentati di mutuare
certi sistemi mafiosi, avvertono l'esigenza di prendere in prestito i sistemi
di mediazione di Cosa nostra".
Pensieri che ricorrono nella relazione del sociologo Rocco Sciarrone.
Un intervento, il suo, che vuole essere un invito a tenere distinte le
posizioni degli operatori economici che subiscono il giogo mafioso da quelle
di chi si muove nella palude della contiguità. "Attenti a dire che
in Sicilia chi vuole lavorare è costretto a certi compromessi -
dice Sciarrone - le conseguenze delle affermazioni contenute in alcune
sentenze non fanno che isolare chi con la mafia ha deciso di non convivere".
Lara Sirignano