Ci sono alcuni miti strettamente legati alla nostra civiltà,
che improvvisamente cambiano segno. Uno di questi è certamente la
narrazione di Babele, cioè la storia della confusione delle lingue.
La Bibbia non è l'unico racconto di questo genere. Anche nei libri
sacri dell'India, per esempio, com'è l' Upanishad , ci sono accenni
alla corruzione e al pericoloso moltiplicarsi delle lingue. Oggi quegli
antichi miti si possono interpretare in senso positivo. Le lingue non sono
più considerate una barriera tra gli esseri umani, ma testimonianza
di una mentalità particolare, che arricchisce il patrimonio culturale
del mondo. Le espressioni dialettali, l'uso del gergo, la mescolanza tra
diverse lingue oggi vengono incoraggiati, inclusi persino nei dizionari.
In letteratura da molto tempo è avvenuta questa legittimazione.
L'Europa diventa politicamente unita soltanto da adesso. La moneta diventa
unica solamente tra pochi giorni. Gli scrittori europei in realtà
già da molto tempo hanno considerato nulli i confini. Il tedesco
Erich von Raspe ha scritto duecento anni fa il suo celeberrimo Barone di
Münchhausen nella lingua letteraria inglese del suo tempo, l'aristocratico
russo Lev Tolstoj ha scritto interi capitoli delle sue opere in francese
e vent'anni più tardi Thomas Mann, nel romanzo La montagna incantata
ha fatto lo stesso. L'irlandese James Joyce elegge protagonista del suo
romanzo Ulysses un ebreo ungherese, adoperando con dovizia parole provenienti
da quattordici lingue.
Rilke, Kafka, nati a Praga scrivono in tedesco, Joseph Conrad, polacco,
diventa scrittore inglese. E lo stesso, il russo Nabokov.
La lista è ampia e ben nota. Ma ci sono anche altri tipi di
mescolanze. Il poeta Paul Celan, per comporre le sue poesie (in tedesco,
mentre lui è nato in Romania), adopera parole prese dal lessico
mineralogico, imparato dai dizionari, dando adito a clamorosi errori di
interpretazione.
Questo è accaduto a Georg Gadamer, grande filosofo tedesco,
che ad anni di distanza ha dovuto pubblicare «ex novo» un suo
saggio su un ciclo di poesie di Celan, a causa di un errore di quel tipo.
Ci sono altri scrittori mitteleuropei - l'Europa Centrale potrebbe
essere eletta come nuova Babele - che aggirano il problema della lingua
in modi ancora più ingegnosi.
Karl Kraus, il croato Krleza, e altri mescolano tranquillamente le
lingue parlate nei rispettivi territori (Vienna e Zagabria) così
che ci sono nelle loro opere parole ungheresi, ceche, tedesche, croate
antiche e moderne. L'ungherese Georg Tabori che, dopo Hollywood, oggi vive
in Germania, scrive le sue opere mettendo insieme inglese, jiddisch, ungherese,
viennese, sloveno, per distillare un bellissimo nuovissimo tedesco. Infatti,
qualche anno fa ha ricevuto il premio Buchner, il maggior riconoscimento
per uno scrittore di lingua tedesca.
Si sta verificando in letteratura ciò che i linguisti hanno
soltanto vagamente ipotizzato: cioè che tutte le lingue del mondo
discendano da un unico ceppo, e che la vera lingua dell'uomo sia composta
da tutte le parole, da tutte le grammatiche esistenti e adoperate sulla
faccia della terra.
Come comporre allora un vocabolario, oggi? In base a che cosa stabilire
equivalenze, possibili traduzioni? L'ideale sarebbe stampare il dizionario
di Babele, cioè censire tutte le parole del mondo e includerle in
un unico elenco. Prima o poi, con l'apparire sulla scena mondiale di questo
o quel Paese, faranno parte del nostro linguaggio quotidiano espressioni
un tempo ignote. «Mujaheddin», «mullah», «jihad»,
tutte parole arabe, una volta sarebbero state incomprensibili per chiunque.
Oggi sono sulla bocca di tutti. Ma anche Dna, genoma, poliuretano fanno
ormai parte della conoscenza comune. Per questo gli scrittori cui abbiamo
brevemente fatto cenno prima sono stati grandi pionieri. Nelle loro opere
hanno precorso una realtà che soltanto ora si sta cristallizzando.
Nel suo ultimo lavoro, Finnegan's wake , Joyce adopera vocaboli di
quarantadue lingue. Il nostro Gadda riesuma stilemi, parole andate in disuso
da cinquecento anni. Parrebbe che la letteratura finora sia stata muta
e che soltanto adesso incominci la vera, libera espressione.
Ovviamente esiste anche il rovescio della medaglia. Con l'oblio che
copre oggi, agli occhi dei quindici-ventenni, tutto ciò che appartiene
al passato, da un lato la lingua si arricchisce a dismisura, dall'altro
lato si impoverisce e si spezza. Il gergo giovanile contiene pochi vocaboli
di provenienza diversa, andare oltre, oggi, è problematico anche
se non impossibile. Uno dei veicoli più potenti del linguaggio,
oggi, appare la pubblicità. Trasporta esperimenti linguistici di
ogni tipo da una lingua all'altra, acuisce il senso di gioco con cui i
giovani si avvicinano all'espressione verbale. Il grande successo di un
autore come Camilleri è dovuto, con molta probabilità, anche
al suo linguaggio completamente nuovo, al suo siciliano beffardo, sornione
e irriverente, popolare e astruso. È possibile tradurre questo?
È possibile tradurre Gadda? La nuova lingua di Babele davvero non
tollera la traduzione, ma soltanto l'originale? Presto ci saranno risposte.
La lingua universale forse può essere considerata un «sistema
caotico», in cui le previsioni sono praticamente impossibili. Ma
qui sta anche la sua bellezza, e la grandezza della mente umana.