Il Manifesto 28.06.2001
La Sicilia amara di un garibaldino

Una speciale aria di festa, l'atmosfera delle grandi occasioni familiari ha caratterizzato la presentazione a Roma del piccolo quanto prezioso volume pubblicato da Sellerio: La bandiera degli elettori italiani di Francesco Ingrao, con un saggio di Giuseppe Cantarano e una sua intervista a Pietro Ingrao. Nonno del leader comunista, Francesco Ingrao entra a pieno titolo fra i protagonisti della nostra storia risorgimentale. Nasce a Grotte, in provincia di Girgenti - l'attuale Agrigento - nel 1843. Garibaldino e mazziniano, fu uno dei protagonisti di quei moti post-unitari che scossero la Sicilia negli anni '60 dell'800. Quando alla fine di quel decennio fuggì per evitare l'arresto, trovò rifugio a Lenola - al confine tra Lazio e Campania - dove fu sindaco per molti anni. Fu allora che Francesco Ingrao scrisse, e pubblicò nel 1876, La bandiera degli elettori italiani, appassionato manifesto politico di un uomo che aveva ormai superato l'esperienza dell'insurrezionalismo divenendo uno degli esponenti del repubblicanesimo democratico post-mazziniano. Proprio questo passaggio è la chiave scelta per l'incontro romano - intitolato appunto "Un garibaldino tra congiura e riforma" - al quale hanno partecipato Alberto Olivetti, Andrea Camilleri, Pietro Barcellona e Pietro Ingrao. "Francesco Calogero Ingrao - ha detto Camilleri - appartiene a quei siciliani che tentarono di cambiare veramente le cose, e non a quelli che dicevano di cambiare per non cambiare niente. Cioè i nobili, come insegna il principe di Salina". Se, dunque, la nobiltà siciliana scappò dalla storia, quelli che non scapparono, ha ricordato Camilleri illustrando il contesto sociale nel quale si mosse Francesco Ingrao, "si trovarono a combattere su più fronti. Contro i borbonici di sempre, contro i preti che perseguivano una loro costante e sotterranea politica antitaliana, contro i disillusi post unitari per le mancate attuazioni delle promesse di Garibaldi, contro il governo e le sue forze dell'ordine, contro la dissennata politica economica del governo italiano che nei riguardi della Sicilia si traduceva in un costante ampliamento della povertà da una parte e dall'altra, politicamente, in un rigurgito di sentimenti antiunitari". Camilleri ha elencato alcune delle vessazioni subite dalla popolazione siciliana dopo l'unità d'Italia e - soprattutto - ha evocato le terribili condizioni di vita delle miniere di zolfo dell'agrigentano, dove i bambini (i "carusi") lavoravano in condizione di schiavitù. Francesco Ingrao ebbe, secondo Camilleri, un grande merito, quello di non essere solo un teorico: "quei carusi non gli usciranno più dalla memoria, cercherà per loro ogni mezzo di riscatto". Non a caso nel pamphlet pone con forza la questione dell'istruzione, convinto che l'ignoranza condanni alla subalternità e precluda la partecipazione democratica. Barcellona ha voluto testimoniare quanto Pietro Ingrao si sia interrogato sull'opera del nonno, già a partire dal 1976: "questo libro per Pietro è stato un viatico, un percorso parallelo". A cominciare dalle molte analogie che li accomunano: la riflessione sul rapporto tra classi dirigenti e popolo, sul modello educativo, ma anche una profonda avversione per l'idea di stato visto come una burocrazia centralizzata e oppressiva, in opposizione all'idea di nazione. Tema che, ricorda Barcellona, è presente anche nel libro di Pietro Ingrao Massa e potere. Per Pietro Ingrao, questo libro è "parte del turbine che scuoteva l'Europa", dove era in atto la rivoluzione capitalistica: una mutazione che investì la Sicilia in modo tragico e insieme singolare. "E' un testo - osserva Pietro Ingrao nell'intervista - che dice: si cambia. E non si tratta solo di un mutamento di personale politico. Il libro è tutto centrato sul cambiamento che avviene nelle forme e negli attori della politica. A un certo punto nel libro c'è una evocazione appassionata dell'amara e fallita insurrezione di Palermo del '66. Francesco prova a dire a quei rivoltosi sconfitti: è venuto un altro tempo". Il libro però, secondo Pietro Ingrao, presenta anche alcune lacune: "non c'è l'oppressione contadina - osserva ancora nell'intervista - in quell'isola marcata dal latifondo. La parola 'classe' non s'incontra facilmente. E anche il termine - così simbolico, così riassuntivo - 'proletario' sembra rimandare sempre alla condizione e soggezione operaia più che alla sterminata spoliazione dei contadini senza terra o con poca terra". Manca - per Ingrao - il mondo delle miniere. Manca la parola mafia. Per Barcellona, una delle domande fondamentali che questo testo pone è quella, attualissima, sul rapporto tra nord e sud d'Italia, a partire dal risultato politico delle ultime elezioni in Sicilia, con la totalità dei collegi in mano alla coalizione di centro-destra. Anche per Pietro Ingrao il libro è un valido contributo al dibattito sul meridione. "In questa lettura - ha concluso - ritrovo pensieri, domande e angosce del nostro tempo".
MARINA IMPALLOMENI