La Stampa 01.07.2001
Camilleri: è in ritardo il «Re di Girgenti», Sellerio salta il n. 500

L’USCITA rinviata a ottobre di «Il re di Girgenti», voluta dall’autore in accordo con l’editore, ha costretto Elvira Sellerio a una singolare rinuncia: non poter dare al nuovo romanzo di Andrea Camilleri il numero 500 nella «Memoria», la collana inaugurata da Sciascia nel ’79 con «Dalle parti degli infedeli». Ovviamente non si tratta banalmente di un numero, benchè 500 titoli in 22 anni non siano certo pochi specie per il livello delle scelte e la «felicità» delle scoperte: molti tra i «nuovi» poi diventati grandi, dalla Pariani alla Fitzgerald. E, naturalmente, Camilleri. Ma scorrendo il catalogo ci si accorge anche di un’anomalia: non solo il numero «1» è toccato a Sciascia, anche il «10» con gli «Atti relativi alla morte di Raymond Roussel» nonchè il «100» con le «Cronachette». Poi Sciascia, purtroppo, morì. Ecco allora che, al traguardo delle altre centinaia, il 200, 300, 400 e adesso 500, sono lasciati in bianco, vuoti. Non difficile leggervi un omaggio all’autore di «A ciascuno il suo». «Perchè - dice Elvira Sellerio - non basta dirlo, scriverlo. In un’epoca in cui si dicono troppe parole è con il vuoto fisico che puoi rappresentare anche il vuoto morale che ci si porta dentro. Il numero 200 della "Memoria", che è il primo vuoto, avrebbe dovuto essere il primo titolo di Sciascia per noi dopo "Una storia semplice" di Adelphi. Poichè così non potè più avvenire, bisognava lasciar parlare il silenzio». Un silenzio che Camilleri avrebbe potuto interrompere: senza l’impedimento pratico del ritardo, «Il re di Girgenti» oggi colmerebbe la riga bianca del numero 500. E, per carità, senza sacrilegi. Il desiderio di Elvira Sellerio, era quello di identificare in Camilleri una seconda nascita della casa editrice, forse anche una sorta di uscita dal lutto, ma certamente il riconoscimento al portatore di un enorme successo, il quale a sua volta sa bene di essere stato premiato da una costanza caparbia durata anni e anni da parte della sua editrice, una fiducia, a lungo senza alcuna conferma, nell’inventore di Montalbano, di Vigàta, ma soprattutto di una sicilianità aperta ormai a una comprensione pressochè planetaria. «Non lo conoscete, non avete voglia di leggerlo, non sapete neppure che cos’è Vigàta, ma io non mollo sino a che non lo scoprirete...»: chi firma questa rubrica non dimentica le parole e persino il piglio nella voce della «patronne», al telefono dalla sua casa palermitana, in tempi in cui poche migliaia di copie di «Il birraio di Preston» e di «Il ladro di merendine» erano il massimo dei traguardi (caso peraltro con ben noti e illustri precedenti) mentre quei deliziosi libretti blu, che parevano desinati a un angolo di scaffale, uscivano a distanza sempre più ravvicinata: curiosamente prima del fatidico numero 400, rimasto vuoto naturalmente, ci sono, due Camilleri uno dopo l’altro «La strage dimenticata» e «Il gioco della mosca» e, dopo il 400, c’è il Camilleri di «La voce del violino», seguito quasi a ruota da «La concessione del telefono». Ma sì, siamo un po’ cabalistici. Sicchè osserviamo che, appena prima del 500, c’è il romanzo «Quasi amore», seconda prova di Ugo Cornia. E’ per lui che adesso Elvira Sellerio ricomincia la sua battaglia. Regalandosi e regalandoci, intanto, una piccola-grande pausa di nostalgia gozzaniana: «La signorina Felicita» e le altre poesie dei Colloqui. «La cattiveria». Ovvero: sull’uomo condividiamo il pessimismo agostiniano o l’ottimismo illuministico? Prendetevi l’omonimo saggio, molto serio quanto chiaro anche al profano, di Francois Flahault, direttore del Centro di Ricerche sulle Arti e il Linguaggio di Parigi, in uscita da Marietti. Dopodiche prendete partito. Qualunque esso sia vi farà del bene anche se difficilmente vi farà sentire meno cattivi. Anzi.