Il Piccolo 12.07.2001
Promossi e bocciati del Novecento letterario italiano

Susanna Tamaro? Nel Novecento letterario sarà ricordata come una scrittrice capace di «addomesticare e neutralizzare i grandi concetti della storia culturale occidentale», in romanzi dove si riconoscono «un francescanesimo degli stenterelli pret-a-porter, buoni per il grande mercato della società di massa». Andrea Camilleri? Un autore che ha realizzato «un’abilissima operazione di mercato», i cui romanzi non hanno «nessuna necessità espressiva» e la cui scrittura è caratterizzata da un dialetto «esornativo, cautamente lessicale, ancora rassicurante». Il prossimo anno scolastico gli studenti delle medie superiori potranno leggere questi giudizi sui due scrittori più noti e diffusi in Italia. Sono solo due esempi tratti da un manuale che propone un quadro a tinte forti del Novecento letterario italiano, e al contempo traccia nuove linee guida, nuovi modelli interpretativi con i quali la critica, non solo accademica, dovrà fare i conti. L’autore è Massimo Onofri, uno dei massimi esponenti della nuova critica, che esce quasi in contemporanea con due testi destinati a far rumore: «Il canone letterario» (pagg. 85, lire 12 mila) agile ed esauriente saggio pubblicato nella collana di Laterza «Alfabeto letterario», diretta da Remo Ceserani e Lidia De Federicis, e il manuale scolastico «Il secolo plurale» (Zanichelli, pagg. 161, lire 12 mila). Dal concetto di canone a quello di costellazione, dall’idea di una regola riconoscibile per dare nome al fare letterario all’osservazione allargata dei sistemi delle opere e delle loro linee di raccordo. E’ questa oggi, secondo Onofri, la direzione intrapresa da tanta giovane critica che, «fors’anche per mancanza di forza e mezzi», ha «abbandonato il canone per più rassicuranti e controllabili costellazioni». Oggi i critici letterari sono più propensi «a includere e motivare, che a selezionare ed escludere», muovendosi all’interno del «debole» orizzonte contemporaneo dove regole drastiche e canoni dati a priori appaiono strumenti interpretativi sempre meno efficaci. Ne «Il canone letterario», partendo dallo scultore greco Policleto, il primo a parlare di Kanòn in un’opera della quale non è rimasto che qualche frammento, Onofri si lancia in una galoppata attraverso i secoli appuntando le tappe fondamentali dell’evoluzione del concetto di canone fino al Novecento, fissando poi l’attenzione su alcuni dei maggiori autori che con il tema si sono confrontati fino ai giorni nostri. Ad esempio Harold Bloom, giunto «all’identificazione del valore estetico quale momento culminante d’una lotta fra testi o, se si preferisce, tra autori», al quale si contrappone Fausto Curi, che parla invece di canone come di «una struttura legislativa, un insieme di norme stilistiche incarnato in alcuni autori, e solo in quelli». E se Romano Luperini opera una critica della critica («il critico non sa più perché scrive e per chi scrive»), un gruppetto di giovani critici - Silvio Perrella, Emanuele Trevi e lo stesso Onofri - alla fin fine preferiscono «puntare sul concetto di costellazione piuttosto che su quello di canone». Citando Walter Benjamin, Onofri si schiera così tra quanti considerano i testi «come dati oggettivi d’una costellazione», ove le linee di raccordo fra le singole stelle «sono sempre stabilite dall’interprete, secondo premesse anche molto diverse, purché chiare e dichiarate». Ma non si tratta, come ha osservato Alfonso Berardinelli, di nascondersi dietro un mero e statico elenco di libri: anzi, se è vero che «ogni canone impone la guerra» oggi più che mai la parola deve tornare «alle armi della critica». Da qui, osserva Onofri, lo «slittamento lento, ma deciso, dal concetto di canone a quello di costellazione». E la sua «costellazione» Onofri la disegna ne «Il secolo plurale», dove il critico traccia un affresco complessivo del Novecento letterario. Manuale brillante sia nell’impostazione che nella trattazione, «Il secolo plurale» ha già solleticato il gioco del chi c’è e chi non c’è. Notata l’assenza di Ceronetti, misurato lo spazio dedicato a Bacchelli, ricondotta l’avanguardia italiana al solo Futurismo, il libro sembra destinato a far discutere. Di certo Onofri propone la sua costellazione senza troppi bizantinismi e approda ai nostri giorni individuando nel «Nome della rosa», giustamente, il «primo consapevole romanzo post-moderno della letteratura italiana». Il seguito segna tappe che portano i nomi di Piersanti, Palandri, Lodoli e soprattutto Tondelli, fino a individuare «promettenti narratori» in Albinati, Affinati, Doninelli, Carraro. Mettendo poi un punto fermo su autori best-seller quali Claudio Magris (esempio di «scrittura spuria che tende a raccontare romanzescamente realtà che sono state appannaggio della cronaca o del giornalismo») e, appunto, Susanna Tamaro e Andrea Camilleri, definiti «atletisti delle classifiche letterarie»: la prima quale campionessa del «romanzo dei buoni sentimenti», il secondo capace di scrivere storie che hanno «l’effetto di un marsala diluito con molta acqua». La parola è tornata alle armi della critica.
Pietro Spirito