Lettere dal futuro
(ovvero dall'Italia berlusconiana)

 

 

da la primavera di MicroMega, n. 0, 17/05/2001

Mea culpa
(Lettera aperta a Paolo Flores d'Arcais)


Roma, 14 maggio 2001
Egregio Signore,
le scrivo questa lettera a botta calda, anzi meglio sul tamburo, perché da oggi in avanti mi atterrò a una scrittura adeguata al linguaggio guerriero e severo del nostro nuovo Presidente del Consiglio, al quale va, lo dico subito a scanso d'equivoci, tutta la mia sconfinata ammirazione e la mia più cieca devozione. Irretito da lei e da qualche altro della sua stessa risma, mi sono lasciato trasportare a dichiarare cose che non mi sarei mai azzardato non dico a scrivere, ma nemmeno lontanamente a pensare.
Dal nostro Codice Penale è stato abolito il reato di plagio: se ancora esistesse io non avrei difficoltà a denunziarla per questa gravissima colpa. I suoi sistemi sono stati degni del KGB; lei è arrivato a pretendere che io, ogni mattina, le recitassi a memoria cinque pagine di un ignobile libello a firma di tali Elio V. e Marco T. minacciando oscure vendette, tremende rappresaglie ove non mi fossi attenuto a questa sua imposizione. So per certo che lei per giorni si è appostato sotto il portone di casa mia in attesa del postino e che, quando questi è arrivato, lei l'ha raggirato, com'è suo costume, facendosi consegnare quell'aureo libro che è Una storia italiana a me indirizzato. Se l'avessi ricevuto, forse la luce della Verità mi avrebbe impedito di commettere il gravissimo errore che tra poco confesserò, pentendomene. Aggiungo che lei alle false parole ha fatto seguire anche fatti concreti per avermi completamente in suo potere. Mi spiego meglio, anche se mi vergogno profondamente, rivelando agli italiani un torbido retroscena sul quale è bene che la Magistratura, finalmente restituita alla sua dignità e scevra ormai da disgustosi intenti persecutori, indaghi fino in fondo. All'atto di pattuire il compenso per la mia collaborazione settimanale alla sua, diciamo così, rivista, lei mi disse che avrei ricevuto un miliardo (in cifre: 1.000.000.000) ad articolo, così suddiviso: 250.000 ufficiali, il rimanente accreditato sui conti di una società off-shore, cioè una di quelle società che come ha brillantemente chiarito il nostro Presidente del Consiglio, «servono a pagare meno tasse». In quell'occasione lei mi dichiarò, e non avrà certo il coraggio di negarlo, che in questa sua società c'erano «centinaia e centinaia di miliardi». Io avanzo un'ipotesi e cioè che siano usciti da lì i soldi per pagare i giornalisti dell’Economist e di altri importanti organi di stampa internazionale al fine di orchestrare un'indecorosa campagna internazionale contro l'Italia e il suo più prestigioso rappresentante nel mondo. E io pubblicamente le chiedo: è in grado di spiegare la provenienza di questi fondi con la stessa chiarezza usata nei giorni scorsi dal Cavaliere a proposito delle sue società? Lo sa, egregio signor Flores d'Arcais, quando ho cominciato a dubitare della sua buonafede? Quando ho saputo che lei, in alcune pubbliche manifestazioni della sinistra, aveva messo su una specie di trespolo per vendere la sua, diciamo così, rivista. Ma lei, la licenza di venditore ambulante l'aveva chiesta e ottenuta? Ma lei la tassa per l'occupazione di suolo pubblico l'aveva pagata? Certamente no. Allora come faceva lei ad erigersi quale strenuo difensore dell'osservanza delle leggi quando era il primo a trasgredirle? Confesso d'aver trascorso qualche notte insonne. «Ma guarda», mi dicevo, «questo signore non ha seguito nemmeno l'esempio di Leonardo Marino il quale la licenza per il suo chioschetto l'ha almeno regolarmente pagata». Ad ogni modo, ancora accecato e plagiato, dentro la cabina elettorale, confesso il mio errore, la mia colpa della quale farò ampia ammenda, ho votato per gli avversari del Cavaliere. Ma appena fuori, è scoppiata la mia personale crisi. Sono stato folgorato come san Paolo (lei dovrebbe vergognarsi di portarne il nome). C'era una sterminata folla di vecchi e vecchiette che attendevano il loro turno per votare. «Vogliamo aiutare il Cavaliere!», salmodiavano. O generosa anima della nostra gente! Fu allora che capii come fosse stato stravolto il senso della famosa battuta di Flaiano: «Gli italiani sono sempre pronti a correre in soccorso del vincitore». Non c'è ironia in quella battuta. Gli italiani sanno, intuiscono quale enorme pondo di responsabilità viene a cadere, schiacciante, sulle spalle del vincitore e quel peso vogliono in qualche modo pietosamente alleviargli, così come qualcuno volle aiutare Gesù a portare la Croce. Egli avrebbe potuto godersi bellamente la vita a bordo dello yacht comprato a Murdoch, abbandonarsi al dolce far niente in una delle decine di ville di sua proprietà sparse in tutto il mondo e invece no! A tutto ha rinunziato, pensai udendo quel generoso salmodiare, per scendere in campo allo scopo di poter far felice il Popolo (anzi, la gente, come usa dire Lui). Altre voci dicevano in coro: «Vieni tu, abolitore delle tasse nostre!». Altre intonavano: «Corri in nostro soccorso, raddoppiaci la pensione! ».
Quella era la voce del Popolo che io avevo malvagiamente appena finito di tradire votando a sinistra! Barcollai, sentendomi sprofondare in un abisso di disperazione, d'angoscia. Che avevo io fatto? Allora vagai ore e ore senza meta, ingenuamente genuflettendomi davanti a ogni Sua Immagine quasi a volerne impetrare la grazia del perdono! Naturalmente, data l'enorme quantità di manifesti col suo Volto, a un certo momento stramazzai esausto. Chiamarono un'ambulanza e mi riaccompagnarono a casa. Qui potei seguire in televisione il suo meritato trionfo. C'era, in studio, tra gli altri, il Direttore di un giornale della Famiglia. Quantum mutatus ab illo! Ex comunista, un tempo ama-va, nelle sue scorribande televisive, sortire da un bidone della spazzatura. Redento dal Cavaliere, eccolo lì, giacca e cravatta, composto, rimproverare il tono goliardico impresso dalla Sinistra nella campagna contro il futuro Capo del Governo. E io mi nascosi la faccia tra le mani. Perché non potevo non riconoscere d'aver fatto parte di quella malconsigliata brigata di spensierati goliardi, ottantenni o quasi, pronti alle peggiori carnevalate pur di demonizzare o di ridicolizzare il Cavaliere! Dio, che vergogna! E poco dopo ho sentito dire da un giornalista, provandone stupore e disagio, che la vittoria elettorale non cancellava il conflitto di interessi. Ancora?! Il Popolo ha seppellito sotto una valanga di voti quel falso problema montato dalle Sinistre, ha urlato dalle cabine elettorali che quella faccenda non lo interessa, non esisteva o se esisteva era di nessun conto. E se non esiste per il Popolo perché dovrebbe esistere per il Cavaliere? Ma via! Questo è giorno di gran festa, non si pensi ad altro. Alti si levino i calici! Sono più che certo che tanti, ingannati come me si ravvederanno e seguiranno il mio esempio. In quanto a lei, egregio Signore, cominci a tremare. Io, come ogni pentito che si rispetti, mi riscatterò dall'infamia facendo a chi di dovere nomi e cognomi dei suoi complici, sperando d'avere in cambio, oltre al perdono, anche un tangibile. segno di generosità.
 
Andrea Camilleri