La Repubblica 20.03.2001

Aristotele? È un detective

Come raccontare un giallo nella Grecia antica
Intervista a Margaret Doody, la scrittrice canadese che oggi allo Steri parlerà del filosofoinvestigatore, protagonista dei suoi libri

ALBERTO BONANNO

Ce lo vedete Aristotele con pipa e cappello, immerso in spire di fumo azzurrognolo, mentre rimugina su un caso da risolvere e sussurra al suo assistente «Mmh, elementare...»? Magari non ci saranno la pipa e il cappellino a doppia tesa, e l'atmosfera sarà quella di Atene, in piena Grecia classica. Il dottor Watson si chiamerà Stefanos, e aiuterà Aristotele a dipanare gli intrecci che si nascondono dietro una sequela di crimini e misfatti da far invidia ad Agatha Christie. Ma dietro ancora c'è il nome di Margaret Doody, una simpatica signora che di professione è docente di letteratura comparata alla Notre Dame University, nell'omonima città dell'Indiana, e nel tempo libero fa la scrittrice. È lei che, con la complicità di Sellerio editore, ha riportato a nuova vita in Italia un genere pressoché inesplorato, come il giallo storico. Il numero di copie dei suoi Aristotele detective, Aristotele e il giavellotto fatale, Aristotele e la giustizia poetica, in casa Sellerio sono diventati un caso letterario: seguono a ruota quelle dei bestseller di Andrea Camilleri. Oggi alle 16,30 Margaret Doody sarà ospite di Sellerio e dell'Università, nella sala dei Baroni di Palazzo Steri, dove parlerà del giallo nella Grecia antica insieme ai giornalisti Beppe Benvenuto e Lorenza Foschini e ai docenti Salvatore Nicosia e Corrado Petrocelli. «L'idea di Aristotele detective? Mi è venuta per caso leggendo la sua Retorica - racconta tra le risate la signora Doody - La sua conoscenza dei tipi umani è sorprendente. Come la sua precisione, il suo distacco nella ricerca della verità. Allora mi sono chiesta se proprio queste doti non avrebbero giovato a un detective. Ho cercato un romanzo con queste caratteristiche, senza però trovarlo. Allora decisi di scriverlo io, quasi per gioco».
Ma il gioco si è fatto subito serio, però. Lei è diventata un piccolo caso letterario.
«Il pubblico ama l'antichità, è fortemente legato ai miti e all'immagine del mondo classico. Il resto nasce dalla mia passione di eliminare steccati e barriere tra i generi letterari. Nel mondo classico il legame tra scrittura e pensiero era molto più forte che adesso, e forse se ne sente il bisogno. Quanti miti classici del resto sono dei veri e propri gialli, nel senso che sono misteri con molte possibili e non semplici risposte? Penso a Edipo, per citarne uno a caso. Non sarà per caso che mi occupo di letteratura comparata».
Insomma, com'è attuale l'armonia delle sfere...
«Indubbiamente, rispetto agli altri filosofi greci, Aristotele ha elementi che consentono di rileggerlo con gli occhi dell'attualità. Per esempio, tutti gli elementi costitutivi del suo pensiero sono posti su un piano orizzontale, e non su più piani distribuiti tra l'alto dell'anima e dello spirito e il basso del materialistico, del concreto. E proprio questo è un difetto che tutti noi ci trasciniamo, siamo rimasti un po' troppo platonici. Già eliminare questo tipo di differenza è un dato sostanziale, molto utile nel mondo di oggi, come nello sviluppo della capacità deduttiva. Poi Aristotele adopera la retorica come uno strumento, uno strumento con il quale modella quasi la vita, l'aspetto e la forma dei suoi interlocutori. E dal suo pensiero è totalmente assente l'illusione, per questo è perfetto come detective. È l'esatto opposto, non so, di un Thomas Hobbes. Ma quello che mi ha definitivamente convinto è la sua capacità di collocarsi super partes, fuori dal sistema, dovuto anche al fatto che era un macedone e non un ateniese. Un po' come Conan Doyle fece fare al suo Holmes, seppure senza mai esplicitarlo. Doyle era irlandese e cattolico, ma ambientava i suoi gialli nell'Inghilterra protestante di fine Ottocento. Nei miei racconti, il suo contraltare è Stefanos, un giovane ateniese. Assai più umano, più vicino alla fisionomia dell'uomo comune».
Ma le è mai venuto in mente che il suo lavoro potesse essere considerato, diciamo, un po' dissacratore?
«Oh, la storia annovera colpe molto più gravi delle mie nei confronti di Aristotele. I Neoplatonici lo fecero a pezzetti. E nel Medioevo e nel Rinascimento venne messo all'indice e considerato pericoloso e vaneggiante. Io alla fine devo confessare che nel cucirgli addosso queste avventure mi diverto da matti. Adesso sto preparando Aristotele e il mistero della vita, un nuovo racconto».
Come si trova in Sicilia? Qui le affinità con la Grecia classica sono state tante...
«Difatti, mi trovo benissimo. La Grecia mi piace molto, l'ho visitata attentamente più volte, soprattutto negli anni Sessanta, quando ero studentessa. Qui mi accade di respirare la stessa aria di alcuni paesini greci, dove sembra che si possa vivere esattamente come nell'età classica. L'Italia si è molto sviluppata, da questo punto di vista, assai di più della Grecia. Ma la Sicilia mantiene questi caratteri ancora evidenti. È come se fosse una grande millefoglie culturale. A proposito, anche la cucina è splendida. È una terra che mi piace molto, e le ho dedicato un capitolo nel saggio La vera storia del romanzo, che in Italia non è stato ancora pubblicato».
Lei cosa ama leggere, signora Doody?
«Ah, tutto. Davvero tutto, sono un'entusiasta. Mi piacciono anche alcuni scrittori italiani, come Umberto Eco, con il quale ho scoperto molte affinità. Amo la letteratura ispano americana, García Márquez, per esempio, ma mi piace anche quella cinese. E poi naturalmente leggo moltissimi gialli».
Secondo lei oggi si scrive poco o troppo?
«Beh, non saprei. Sicuramente io scrivo troppo, almeno molto più del necessario».