IL SECOLO XIX 31.07.2001
Noi siciliani razza bastarda

Nuovo romanzo, nuovo successo di vendita. Andrea Camilleri non finisce e anche l'estate 2001 è sua. Naturalmente in cima alla classifica delle vendite dove L'odore della notte (Sellerio pp.221, £. 18.000) è già stabilmente piazzato. E c'è una novità: nelle prime pagine, Camilleri se la prende con le stagioni “che non esistono” più, che tradiscono le abitudini dei siciliani, di un siciliano in particolare, il commissario Salvo Montalbano.

Come vive le stagioni il poliziotto più celebre d'Italia?

Montalbano è meteoropatico, come molti siciliani. Le stagioni oggi hanno perso la strada, una volta erano gente d'onore, si presentavano in modo appropriato. Non c'erano inverni caldi, ma moderati. Mio padre diceva: “oggi fa freddo: mi metto la cravatta”, ma era compatibile col clima abituale. Esisteva lo spolverino, oggi un indumento desueto. Se in agosto c'era un caldo africano era rassicurante e ti preparavi ad affrontarlo, ma non vedevi all'improvviso, il 22 di agosto, le foche e gli orsi su una spiaggia trasformata in banchisa. Tutta questa confusione di stagioni altera il sistema nervoso, figuriamoci quello di Montalbano.

Che ruolo ha la natura nei suoi romanzi?

E' presente in modo del tutto casuale. Rispetto alla natura ho la stessa posizione che aveva zio Luigi (Pirandello n.d.r.) che di fronte a dei meravigliosi paesaggi usava dire: “ma quanto è stupida la natura”. Ora io non arrivo a dire lo stesso però credo che se fossi vissuto nel periodo Sturm und Drang, in cui bisognava adeguare la natura ai sentimenti, sarei stato un infelice. Io la natura la guardo, me ne servo, ma non è un elemento indispensabile nei miei racconti.

E questo stesso sentimento, che attribuisce al personaggio del commissario Montalbano?

Montalbano dice di amare quel che resta della Sicilia ancora selvaggia: avara di verde, con le casuzze a dado poste su sbalanchi in equilibrio improbabile, e questo piace anche a me ma credo che sia piuttosto un gioco della memoria.

Cosa le ricorda l'espressione “pioggia assuppaviddani”?

La pioggia “assuppaviddani” si sta perdendo perché oggi cerca di avere una sua qualificazione in quanto pioggia, mentre prima non ti accorgevi neanche che era pioggia, era come una brina un po' più spessa e così nei campi si continuava a lavorare, fino a inzupparsi d'acqua. Ma oggi quel tipo di pioggia “assuppaviddani” si sta un po' perdendo.

Un altro elemento della natura, importantissimo nella vita dei siciliani è lo scirocco.

Lo scirocco è uno dei momenti più belli che possano essere concessi all'uomo, in quanto l'incapacità di movimento in quei giorni ti porta a stare immobile a contemplare una pietra per tre ore, prima che arrivi un venticello. Lo scirocco ti dà questa possibilità di contemplazione, di ragionare sopra alle cose, anche se è un po' difficile, in quelle circostanze, sviluppare il pensiero che è un po' “ammataffato”, collosa, come la pasta quando scuoce.

La Sicilia, comunque, è fatta più dalla sua gente, che dalla natura...

Rispetto alla natura, la gente è ancor più complessa e variegata. Il bello della Sicilia è la scoperta quotidiana di siciliani sempre diversi. Chiudere il siciliano in un ruolo di tanghero scostante è un errore grosso. Certo che esiste un siciliano di questo tipo ma c'è anche il sangue di tredici dominazioni. Credo che oggi, noi siciliani, abbiamo l'intelligenza e la ricchezza dei bastardi, la loro vivacità e arguzia.

In questo c'è un certo compiacimento.

E' una constatazione vera e reale. Bastardo è anche un insulto ma io l'adopero in modo provocatorio: siamo il risultato di una distillazione, in bene e in male, e questo è un dato di fatto.

E' piuttosto un paradosso.

E' radicato nella nostra cultura che l'appellativo bastardo sia un insulto ma i siciliani ne sono anche fieri.

Perché forse pensano di avere preso il meglio da tutti i loro dominatori?

Di siciliani ne conosco di tipici e atipici.

Per esempio Sciascia, che ha conosciuto bene.

Lui non si laureò mai. Riuscì ad avere un diploma per insegnare alla scuola elementare: riteneva che per un bambino, in Sicilia quegli anni fossero importantissimi e formativi, tanto da diventare una sorta di assoluto. A meno di non essere un altissimo maestro di filosofia non equivarrai mai all'importanza che ha per un bambino. Quando l'Università di Messina voleva conferirgli la laurea honoris causa, Sciascia rispose “...perché? Già maestro sugnu”, e questo sottolinea l'importanza delle scuole “vascie”, basse, le scuole elementari.

E' un momento d'oro per la letteratura siciliana? C'è un “effetto Camilleri” che traina anche tutto il resto della produzione letteraria isolana?

Non credo che sia un “effetto Camilleri”, ma un portato dei tempi. Colui che una volta scriveva poesia, racconti, romanzi, nella Sicilia della mia giovinezza era un perditempo o un pazzo “pirinnello” cioè “un Pirandello”, che perdeva tempo in cose campate in aria, inutili. Credo che cinquant'anni siano serviti a far capire che la cultura a qualche cosa serve. Cioè chi fa cultura oggi può non sentirsi una cimice che succhia il sangue di quelli che lavorano, quindi questo nuovo atteggiamento ha aperto alcuni orizzonti a nuove case editrici, a scrittori, a saggisti. Il problema è che siano letti e a questo ancora non ci siamo arrivati. La nostra regione ha uno dei tassi di lettura più bassi d'Italia, che è già tra i livelli più bassi d'Europa.

Anche questo sarebbe un paradosso siciliano: un paese con una cultura così forte e un popolo che non legge.

All'interno di un ordine costituito colui che fa cultura è sempre imprevedibile, può risultare pericoloso. La nostra società è stata per sempre ferma, una società dove, come dice il Principe di Salina nel Gattopardo, “deve cambiare tutto per non cambiare niente”. Solo negli ultimi anni qualcosa sta cambiando, ma veramente, senza avere l'aria del cambiamento. Ciò che resta indietro, su posizioni arretrate, in questo momento in Sicilia, è la politica.

Anche se pochi scrittori, la Sicilia ha comunque espresso, tra essi, alcuni premi Nobel.

Il fenomeno della letteratura di scrittori di origine siciliana che si esprimono in lingua italiana esplode subito dopo l'unità d'Italia: verga, rosso di san secondo, Pirandello, e poi Brancati, fino a Bufalino, Sciascia, Consolo. E' una letteratura di difesa anche se uso un'espressione azzardata. All'inizio dell'800 gli scrittori usano la lingua siciliana. Gli scrittori siciliani che vengono dopo l'Abate Meli scrivono in una loro lingua italiana: Verga è diverso da Manzoni. Io sostengo che questa esplosione nasce come conscia – o inconscia – reazione all'Unità d'Italia, nel senso della conservazione della propria dotazione culturale. I grossi scrittori si rendono conto che le cose stanno irreparabilmente cambiando ed è proprio, il loro, un tentativo di aggrumare la memoria e buttarla lì come un peso. Non si spiega sennò come mai Verga senta la necessità del recupero della propria cultura dopo aver scritto storie milanesi. Con Verga, Capuana, de Roberto che non era siciliano ma come se lo fosse, abbiamo fatto la base della cultura letteraria italiana. La cosa bella è che noi – orgoglio siciliano mi sia concesso – continuiamo a produrre scrittori. In Toscana, dopo Dante e Boccaccio si sono esauriti.

La Sicilia ha anche dato i natali a un grande scrittore popolare, e poco conosciuto fuori dall'Isola, come Luigi Natoli...

In Italia hanno misconosciuto anche Quasimodo...Per Natoli bisognerebbe fare un discorso grosso su che cosa è la narrativa popolare. Il romanzo popolare esprime i grandi sentimenti, non ci piove. Abbiamo Carolina Invernizio che usa il caso personale di una situazione circoscritta e lo racconta in termini popolari, da feuilleton. Natoli non scrive romanzi in cui caso personale annega in se stesso, nel personaggio, ma il personaggio in questione vive all'interno di situazioni sociali molto forti. L'equivalente di Natoli, in letteratura popolare, è il Dumas di Montecristo. Per questo assume importanza quando scrive i Beati Paoli, che comportano una serie di ridondanze socio-economiche. L'Invernizio è un esempio di letteratura popolare italiana di livello più basso; Natoli tende all'alto: ti descrive il contesto di una società, e questo, buttalo via...In Italia se non costruisci la Cattedrale di Reims o il Duomo di Milano, e costruisci case popolari, non vali niente.

Come si esprime questo senso di insoddisfazione dei siciliani?

I siciliani vivono male la loro condizione di essere siciliani, sono sempre alla ricerca di qualcosa di diverso dal presente. Anche in politica, sono sempre insoddisfatti della realizzazione del proprio voto nell'atto stesso nel quale si realizza, perché attraverso di esso hanno ottenuto solo normalità. Si dicono: “vogliamo vedere se cambia qualche cosa?” votano e cambiano, e qui torniamo al Principe di salina in tutto il suo splendore. Hanno cambiato tutto e non hanno cambiato niente.

Intervista
Maruzza Loria