Lire 10.2001
Enquête: folie du polar
Riportiamo la traduzione dell'intervista ad Andrea Camilleri pubblicata
dal mensile francese Lire nel numero di Ottobre 2001.
L'intervista, a cura di Christine Ferniot, è stata tradotta
in francese da Serge Quadruppani e ritradotta in italiano da Don Peppone.
L’intervista è inserita in un ‘dossier’ dal titolo: "Inchiesta:
la follia del giallo".
Il giallo è una disciplina.
L’italiano Camilleri ha sin dall’infanzia un vero culto per il commissario
Maigret. Il suo eroe Montalbano, quest’uomo libero che ama la vita, gli
deve molto.
[Nota del Traduttore: CF sta per Christine Ferniot, AC per Andrea
Camilleri]
Andrea Camilleri è diventato nel giro di cinque anni l’autore
più letto, più venduto in Italia. 200.000 copie sono andate
via in cinque giorni, all’uscita del suo ultimo romanzo poliziesco e si
contavano quattro romanzi nell’albo d’oro 2001.
Colto, appassionato di storia, propone dei romanzi polizieschi con
un eroe ricorrente, il commissario Montalbano, vero siciliano deciso a
conoscere la verità. Ma quello che fa la sua grande particolarità,
è una lingua sorprendente di trovate linguistiche, tra dialetto
e pura letterarura.
CF: Avete iniziato scrivendo poesie, poi teatro, sceneggiature per
la televisione. Non è veramente la via più facile per lanciarsi
nel romanzo poliziesco. Come le è
venuto quest’interesse per il genere?
AC: Credo che tutte le strade possano condurre al romanzo poliziesco.
In Italia, abbiamo avuto gli esempi di Gadda e di Sciascia. All’estero,
si va da Borges a Pessoa e a Dürrenmatt. Come lettore, il mio interesse
per il romanzo poliziesco è nato verso l’età di otto anni,
quando ho scoperto nella biblioteca di mio padre Van Dine, Wallace, Christie.
Ma il personaggio che mi ha immediatamente appassionato, fu Jules Maigret.
Quando sono diventato scrittore, ho provato la necessità di
scrivere un romanzo poliziesco per mettere un cert’ordine nel mio approccio
al romanzo. Vede, io inizio i miei romanzi classici dal centro della storia
o decisamente dalla periferia. Con un giallo si trattava questa volta d’iniziare
col primo capitolo e di finire con l’ultimo. Una specie di scommessa, una
disciplina. E poi, sopratutto, Sciascia aveva scritto che il romanzo poliziesco
è una specie di gabbia all’interno della quale lo scrittore s’infila
essendo obbligato ad obbedire a delle regole precise. Il mio primo giallo
è arrivato dopo tre romanzi classici.
CF: Lei dice che il personaggio che la ha influenzato è quello
di Jules Maigret. Cosa ama in Simenon, in che cosa la sua influenza è
importante per lei?
AC: Quello che è strano, è che ho iniziato a leggere
Simenon da molto giovane senza sapere che era lui perchè firmava
Georges Sim. Era allora pubblicato in un bimestrale molto popolare in Italia
che mio padre comprava. Ho dunque letto tutti i suoi romanzi. Poi è
uscita presso l’editore Mondadori la serie completa dei romanzi di Simenon.
Aveva una copertina nera ed era un'edizione a parte della collana gialla
(quella dei gialli italiani). Dunque, questa serie nera non aveva il significato
che diamo al termine ‘noir’ visto che - me ne ricordo perfettamente - il
primo romanzo pubblicato non era un Maigret ma "Les demoiselles de
Concarneau".
La serie faceva alternare i Maigret e gli altri romanzi. Questo dava una
visione completa dell’opera di Simenon. Per conto mio, ero incapace di
dire se preferivo i suoi romanzi sulla campagna francese oppure i suoi Maigret. In tutti i casi, quando ho potuto scrivere un romanzo poliziesco,
è ben chiaro che il mio modello è diventato il commissario Maigret.
CF: Che cosa apprezza in lui?
AC: In certi romanzi giunge ad una conclusione differente da quella
alla quale l’inchiesta doveva portarlo. Questa libertà dell’uomo
mi è sempre molto piaciuta. Credo che sia quello che mi ha maggiormente
influenzato nel personaggio ed è quello che ho preso di più
importante per creare il mio personaggio di Montalbano.
CF: Come è nata quest’idea di lavoro sulla lingua che mescola
l’italiano puro e certe espressioni dialettali, inventate o no?
AC: Non è un'idea che mi è venuta dall’oggi al domani,
ma una cosa alla quale ho pensato a lungo. Dopo varie esperienze, mi sono
reso conto che questo incrocio di dialetto e di lingua ufficiale era il
modo migliore per riuscire a restituire quello che volevo dire. Se lo scrivevo
solo in italiano, non sarei riuscito a restituire tutto.
CF: Ha scelto un eroe, Montalbano, poliziotto epicureo che non ha niente
del superuomo. Invecchia, o piuttosto, matura. Egli è, per lei,
un riflesso della società attuale?
AC: Credo che una buona parte del successo di Montalbano risieda appunto
nel fatto che non è un superuomo. E’ il vicino di casa e ci si dice,
tò, questo tizio qua fa il poliziotto. E poi, a confronto di Maigret
che non ha età, che sia giovane o che vada in pensione, Montalbano,
in compenso, invecchia. E non soltanto perchè passano gli anni ma
perchè le sue indagini, con tutto il male e l’orrore che contengono,
lo influenzano. Lo fanno invecchiare ogni volta di più. Ad ogni
inchiesta, è come se qualche anno in più gli pesasse sulle
spalle. Montalbano non è il riflesso della società, è
un uomo del suo tempo che reagisce alla società attuale come reagirebbe
ogni uomo di buonsenso.
CF: In Francia, si parla di "follia del giallo" per il successo che
incontra e il numero di collane che si creano. Ha la sensazione che l’Italia
stia vivendo questa follia o che siate l’eccezione che conferma la regola?
AC: Per prima cosa, non parlerei d’una follia. Poi credo che sia una
situazione diffusa in altri paesi. Anche in Germania esiste. La domanda
è: perchè c’è oggi questa estrema attenzione verso
il romanzo poliziesco - il romanzo ‘noir’ - considerato al di là
stesso di quello che era prima un genere?
Nel passato esistevano in Italia dei romanzi che chiamavamo gialli,
dal colore della collana Mondadori. Era il marchio infamante che si metteva
su certi romanzi per chiuderli in un ghetto. Da poco, l’editore Einaudi
pubblica Carlo Lucarelli o Marcello Fois, due grandi autori di gialli,
come dei romanzieri "normali".
L’altro giorno un giornalista mi citava Edmund Wilson, un critico americano
che si chiedeva perchè durante la guerra, negli Stati Uniti, il
giallo aveva avuto un enorme successo. Arrivava alla conclusione che più
il mondo è incerto, ambiguo, pericoloso, più il romanzo poliziesco
porta una certezza: il giallo arriva sempre ad una verità. E’ la
sua ma è una verità. Più il mondo stenta ad arrivare
alla verità, più la gente si accontenta della piccola verità
del romanzo poliziesco.
CF: I suoi romanzi polizieschi rievocano realtà sociali,
lei usa una lingua particolare, tutto si svolge in un paese siciliano eppure,
il suo successo è universale: che spiegazione può dare a
questo trionfo?
AC: Con una frase di Tolstoj che diceva: descrivi bene il tuo villaggio,
avrai descritto il mondo. Mi sembra che si applichi bene. Tranne che Vigàta
non è un paese, è una città con limiti variabili,
a geometria variabile. In realtà, è tutta la Sicilia.
CF: Prima di pubblicare il suo primo romanzo poliziesco, ha scritto
tre romanzi di fattura classica, le piace passare d’un genere all’altro.
Ha tuttavia una preferenza e cosa desidera lasciare come immagine per la
posterità?
AC: A parte il fatto che della posterità me ne infischio altamente,
quello che m’interessa, è hic et nunc, qui e ora. Se dovesse
rimanere qualcosa, preferirei che restino certi dei miei romanzi storici.
Devo poi dire francamante che amo alternare i due. Certe volte, nascono
nello stesso tempo: durante la scrittura d’un giallo, scrivo anche un romanzo
storico. Ma uno dei due finisce per vincere e l’altro deve aspettare.
CF: Cosa dice la mafia del Suo successo?
AC: Cosa dice chi?
CF: La mafia.
AC: Non conosco mafiosi. E dubito che i mafiosi siano capaci di parlare
d’un libro.