Il Mattino 11.10.2001
Re Camilleri
Donatella Trotta

Incredibile Andrea Camilleri. Mentre il suo ultimo romanzo L’odore della notte (Sellerio), uscito quest’estate, conserva saldamente i primi posti tra i top ten delle classifiche dei libri più venduti, ecco arrivare un nuovo lavoro del 76enne scrittore di Porto Empedocle: Il re di Girgenti, da domani in libreria (sempre con l’editore Sellerio, lire 22mila). Si tratta di un romanzo storico sui generis, ambientato nella Sicilia del primo quindicennio del Settecento e ispirato alla parabola realmente accaduta di Michele Zosimo, un contadino «rivoluzionario» che per sei giorni, nel 1718, riuscì a rovesciare la dominazione sabauda autoproclamandosi re del popolo agrigentino, prima di essere ucciso una volta sedata l’insurrezione. Un frammento misconosciuto e sinora oscuro di storia siciliana, ripescato da Camilleri e orchestrato con il suo consueto stile miscidato, nel segno di un sapiente e complesso plurilinguismo letterario (in questo caso siculo-spagnolo) e di una originale struttura, articolata in tre parti principali (il concepimento, la vita e la morte del protagonista Zosimo), ai confini tra cronaca, racconto poetico e fiaba ariostesca.
Nella bandella firmata del libro, Salvatore Silvano Nigro definisce «Il re di Girgenti» la «grande opera che tutti aspettavamo», quasi un romanzo segreto e ambizioso. Camilleri, dopo la saga di Montalbano il suo è un ritorno al genere storico che le è più congeniale, già sperimentato da «Il birraio di Preston» o «La concessione del telefono»?
Di sicuro questo è un libro sul quale io conto, e lo dico con molta paura perché i libri nei quali l’autore crede di più sono quelli che in genere vengono accolti peggio degli altri, e magari finiscono male. Speriamo di smentire la tradizione... Nigro ha fatto una cosa molto generosa, firmando il risvolto di copertina e dunque assumendosi le sue responsabilità. Ma devo dire che, effettivamente, questo mio libro è più complesso degli altri che ho scritto. Non è un libro da ombrellone, come ha sottolineato Sellerio facendo perciò uscire prima L’odore della notte che ho terminato in un mese, a partire da 50 cartelle già pronte. Qui invece la scrittura è un po’ più dura, meno concessiva e di minore comprensibilità immediata rispetto alle avventure del commissario Montalbano. Ci lavoro da quasi sei anni, con grosso impegno e fatica.
Ma come è nata l’idea di raccontare la «biografia romanzata» di un capopopolo sei-settecentesco? E quanto c’è di metaforico in questa ricostruzione storico-narrativa?
Sei anni fa mi imbattei in questa singolare storia leggendo un librino dedicato ad Agrigento e al suo effimero regno indipendente, a pochi chilometri dal mio paese natale. Saltai sulla sedia: mi affascinava l’idea di un contadino che, sia pure per poco, perché privo di un programma politico e di appoggi, diventa re nella Sicilia allora in mano ai Savoia. Ma a questo personaggio gli storici hanno al massimo dedicato poche righe: così, la curiosità storica è rimasta insoddisfatta, mentre quella narrativa si è amplificata. E io avviso allora i miei lettori: non attendetevi una verità, quanto una situazione storica. Con una guida straordinaria: Le parità morali di Serafino Amabile Guastella, che mi ha aiutato a ristrutturare il desueto linguaggio dialettale contadino dell’epoca, che conserva la tradizione, in commistione con varie lingue, spagnolo compreso. Al contrario degli altri miei romanzi storici, però, qui l’esplicito riferimento metaforico alla realtà attuale è meno sottolineato: di solito io cammino con mezzo piede nel realismo, mentre qui il piede si solleva da questo terreno, per affondare nel patrimonio delle favole magiche, dei rituali rurali, del sapere religioso-fantastico della civiltà contadina. E questo libro diventa così un inno all’illusione che può dare la fantasia, il sogno.
Quanto c’è di quella che Bufalino chiamava l’«isolitudine» nella genesi di questo suo nuovo romanzo?
Io sono completamente condizionato dalla mia isola, non saprei scrivere di altre cose che non siano siciliane. Io presumo, presumo, presumo - e lo sottolineo tre volte - di capire i siciliani. In molti casi sbaglio. Ma ora, mi farebbe piacere che questo libro venisse riconosciuto come il mio lavoro di maggiore impegno, quello che ha raggiunto un livello che mi può far affermare: oltre, non posso andare. Certo, continuerò a scrivere di Montalbano. Ma qui c’è un messaggio di speranza nella fantasia, nella possibilità della creazione continua che va oltre la morte, oltre tutto.
Una sorta di testamento spirituale?
Perché no?