La Gazzetta del Mezzogiorno, 30.12.2001
Camilleri 2002. Montalbano e il vero Islam

«Che si possano sentire le vere voci dell'Islam, della saggezza secolare tante volte dimostrata, non quelle estremistiche». Sparge grani di pace e di speranze di comunicabilità Andrea Camilleri in un invito e un augurio per il nuovo anno. Un augurio a tutti che ha, come altra faccia della medaglia, un consiglio al mondo occidentale: «Sapersi mettere in ascolto, non scendere nello stesso campo dell'estremismo». In altre parole «non reagire con le stesse azioni dell'estremismo», in maniera da evitare di dare a Bin Laden l'occasione di poter dire «l'Occidente ci odia».
L'augurio è soltanto la conclusione di un articolato discorso che lo scrittore siciliano comincia con il ruolo che gli intellettuali, gli scrittori devono avere nella società in questo difficile momento. «È molto difficile trasferire quello che accade in un libro, trasferire il presente. Puoi farlo in un pamphlet, alla Fallaci, ma in un romanzo, in un'opera di fantasia è praticamente impossibile. Ci sono stati ad esempio poeti che hanno dedicato versi alle Torri gemelle: nobili gesti consolatori ma questa non è una vera funzione intellettuale, parola che peraltro detesto. L'intellettuale deve essere sempre guidato dalla luce della ragione che non è mai così violenta da abbagliare e far scomparire le ragioni degli altri; il suo compito è, dunque, ove gli capiti e come gli capiti, illustrare quello che succede nel mondo da un punto di vista che non sia di parte».
Il primo esempio di intellettuale in questo senso?
«Noam Chomsky. Ma ci sono anche altri esempi, di parte completamente opposta» e cita il libro di recente pubblicato dal giornalista Gianni Riotta, N.Y. «Qualcuno lo ha definito una lettera d'amore. Va a finire che in fondo non estremizza le ragioni dell'offesa, allora si può capire anche un libro che sia di parte ma non estremamente di parte».
Come è quello della Fallaci?
«Sì, come è quello della Fallaci».
Questo per quanto concerne il mondo occidentale, ma l'altra parte, il mondo islamico, cosa pensa?
«Dell'altra parte non si sa niente. Dall'altra parte non arriva niente. Credo che nel campo della gente che ragiona dall'altro lato ci sia un senso di smarrimento e di solitudine. Andrebbe perforata questa barriera e raggiunte queste persone. L'integralismo, oltre che per il caso di Salman Rushdie, si segnalò anche per l'accoltellamento del premio Nobel Nagib Mahfuz. Ecco, gente come Mahfuz o chi è intorno a lui, scrittori, letterati, poeti arabi, musulmani, la loro voce è come coperta dal fragore delle due torri che continuano a cadere. Bisognerebbe dar loro forza, coraggio, espressione perché sono loro i primi ad essere vittime di questa situazione, oltre ai morti americani».
Per questo l'augurio di una maggiore conoscenza, comunicazione?
«Sì, che queste vere voci dell'Islam possano sentirsi. Così, il consiglio al mondo occidentale, che temo sia difficile da percepire, che mi sento di dare è quello di saper mettersi in ascolto. Quando facevo il regista radiofonico mi capitò di mandare in onda ad altissimo volume un'esplosione e poi di far parlare delle persone, sul silenzio che ne seguiva. Bene, scoprii che l'esplosione risucchia anche le parole».
Se il suo eroe, Montalbano, fosse al posto del comandante dell'operazione «Liberazione duratura» Tommy Franks, come si comporterebbe?
«Lui non ama comandare e difficilmente si sposta dal luogo che conosce. Caso mai potrebbe fornire dei consigli agli uomini della Cia ma sempre nell'ambito di una forza di polizia. Da che mondo è mondo la polizia ha sempre lavorato sulle informazioni per sapere dove si trovavano alcune persone, si tratta ovviamente di informatori locali. Il problema è interpretare quello che dicono, non come traduzione ma come decrittazione dell'informazione, il comprendere quel parlare per scrigni uno dentro l'altro».
All'indomani dell'11 settembre si disse che il fallimento della Cia era stato causato anche dalla mancanza di uomini disposti a lavorare duramente nei paesi asiatici.
«Non credo non si trovino uomini disposti a questo tipo di servizio duro. Non è un caso che il primo caduto americano della guerra sia proprio un uomo di questo tipo. Il problema è l'informazione preventiva: credo ci sia stato da parte degli uffici preposti una sottovalutazione dell'avversario e una sopravvalutazione del proprio mito. D'altronde, a quanto risulta proprio a Chomsky, alla Cia erano state fornite informazioni due anni fa circa Al Qaeda ma sono state rifiutate. Errori gravissimi».
Sara Finale