Alice
L'odore della notte

Senza Montalbano soffriamo di crisi d'astinenza. Ormai abbiamo letto tutti i precedenti romanzi che lo vedevano protagonista, e magari anche le raccolte di racconti brevi, che ci hanno regalato ancora qualche ora in compagnia del nostro commissario preferito. Fortunatamente Camilleri non ci ha fatto sospirare troppo a lungo e ci regala un nuovo episodio di questa sorta di saga poliziesca. Il titolo rientra nella tradizione della serie: da La forma dell'acqua a La voce del violino. Forme, colori, suoni sono infatti fondamentali nella ricca narrazione dell'autore siciliano, che dalla sua isola estrae anche gli odori: quelli della cucina tanto amata da Montalbano, ma anche quelli del mare così vicino alla terrazza della sua casa. Camilleri esordisce immediatamente con due "classici" del suo commissario: il rapporto difficile con la fidanzata Livia (lo vediamo rincorrere il bel maglione che proprio lei gli ha regalato e che finisce inesorabilmente in mare trascinato dal vento) e la comunicazione ancor più ardua con Catarella, il telefonista del suo commissariato. In quell'italiano vernacolare e divertente che lo contraddistingue Catarella informa Montalbano che è in atto un sequestro di persona con minaccia a mano armata, nella filiale di un'agenzia finanziaria. L'episodio si chiude rapidamente in modo non cruento, ma rappresenta il primo tassello di un'indagine che invece vedrà morti sospette, sparizioni, fughe e grandi movimenti di danaro, che, in tempi di borse "Nasdaq, Down Jones, Mibtel, Minchiatel..." paiono quasi naturali. Un romanzo ricco di nostalgia, per un Montalbano che con l'età e l'esperienza diventa quasi sentimentale. Ricompaiono sprazzi di un passato che conosciamo anche noi, di quegli episodi della sua vita personale che di lui ci ha narrato Camilleri: emerge, ad esempio (uno fra tutti), il ricordo sopito di François, il bambino de Il ladro di merendine che il commissario avrebbe avuto intenzione di adottare; desiderio irrealizzato a causa del mutato corso degli eventi. Ma l'efficacia della storia e del modo personalissimo che Camilleri ha di raccontarla, non sono cambiati, seppur velati da un soffio di malinconia. "Un Montalbano psicologicamente figlio di Maigret", scrive Antonio Debenedetti su La Stampa, che anticipa anche ai lettori quel finale con colpo di scena davvero imprevedibile.