Il Messaggero Veneto 26.07.2001
La sesta volta del commissario Montalbano

Andrea Camilleri, fresco vincitore del Premio Bancarella con La gita a Tindari, due anni fa mi parlò a Mantova di Il re di Girgenti, il libro che sarebbe dovuto apparire alcuni mesi fa. Mi assicurò che si trattava di una storia vera, ma poco conosciuta, e mi spiegò «che i Savoia divennero re nel momento in cui ebbero la Sicilia, perché prima erano dei duchi. Il povero Amedeo di Savoia, ebbe due torti agli occhi dei siciliani: primo, di essere venuto dopo gli spagnoli con il loro fasto, mentre lui era un re che vestiva di panno, e per questo fu giudicato male. Secondo: anche se fece delle ottime leggi, aveva ereditato una controversia tra Stato e Chiesa che finì col ribaltarsi tutta su di lui. Nell'ultimo anno del suo regno successero tali e tante rivoluzioni, che nel 1713 un contadino di Canicattì poté diventare re di Girgenti per due settimane». Invece, proprio mentre se ne annunciava l'uscita, il libro è stato rinviato, ed ecco in fretta e furia una nuova inchiesta del commissario Montalbano, che qui è un poco violenticchio. L’odore della notte è un titolo poetico che ha poco a vedere con la vicenda raccontata, la sesta della saga di Montalbano, commissario atipico, siciliano per modi e pensieri, ma furbo e intuitivo come un Maigret. Su di lui lo scrittore di Porto Empedocle poggia una struttura semplice ma di sicura presa, che coinvolge in un divertimento un po' lugubre talvolta, ma sempre rischiarato dal dialetto che dà autenticità ai personaggi e alla vicenda, allentando i momenti drammatici. Come già è stato rilevato, Camilleri predilige la commedia all'italiana, dando alla sua opera vezzi e difetti della provincia, e cimentandosi allo stesso tempo con grandi letterati in forma di finzione scenica (in questo caso Faulkner, dichiarato e sottoscritto), accomunando la sua Vigata a un universo illimitato. Tutti ingredienti già utilizzati da Camilleri anche nei libri precedenti, qui però più evidenti e rintracciabili, quasi un percorso letterario parallelo. A Vigata, un bel giorno giunge Emanuele Gargano, quarantenne alto, elegante, bello che « pareva l'eroe di una pellicola miricana». L’uomo d'affari apre un ufficio per depositi di denaro da utilizzare in borsa, per far fruttare al massimo i risparmi della gente che gli affida i soldi, allettata da interessi da capogiro. Ma Gargano, che a Vigata si avvale della collaborazione di un’avvenente ragazza, d’una equilibrata cinquantenne, la tozza e sgraziata Maristella Casentino che si è perdutamente innamorata di lui, e di un giovane, Giacomo Pellegrino, quasi il suo alter ego, prima di pagare una cospicua rata di interessi, sparisce. E con lui scompare anche il Pellegrino. Nell’ufficio resta solo la sfiorita cinquantenne che, come una vestale innamorata, custodisce il ricordo dell'amato scomparso e ne difende la personalità dall'attacco delle più malevoli dicerie. Sulla pista della truffa, Montalbano comincia a indagare, trovando strane coincidenze che a poco a poco svelano le maglie, neppure tanto intricate, di un mistero tutto locale, sebbene abbia diramazioni a Bologna e all'estero. I classici schemi di vita siciliana, le sue ipocrisie, meschinità, timurie, sono la scena principale dell'intera vicenda, tra personaggi ineffabili e schiere di caratteristi che l'inventiva di Camilleri descrive con colorate note di costume. Lo scanto maggiore è proprio nel carosello dei personaggi, nel nucleo dei luoghi e della gente che osanna e dispera, in un chimerico e travagliato sentimento di sfida a tutto ciò che ci circonda. Montalbano, che ormai incarniamo in Zingaretti, il suo interprete televisivo sulla cui faccia e gestualità Camilleri ultimamente sembra rifinire il suo commissario più vero di un essere umano, è l'isola stessa, l'essenza d'una terra che nel bene e nel male conserva sempre una straordinaria, incredibile e camaleontica duttilità.
Francesco Mannoni