Il Giorno (ed. di Sondrio) 27.10.2001
Un grande affresco della Sicilia barocca
Tanto vale chiarirlo subito: Andrea Camilleri è stato il più
grosso boom editoriale degli ultimi anni. Un successo costruito col passare
del tempo, inizialmente frutto del tam-tam tra lettori, poi improvvsamente
esploso. In maniera folgorante e imprevedibile.
L'instancabile scrittore siculo ha dato alle stampe per Sellerio un
nuovo romanzo: «Il re di Girgenti» (pp. 448, 22.000 lire).
Ispirato a un fatto storico realmente accaduto, il libro racconta l'ascesa
e la caduta di un eroe popolare — tale Zosimo — che nei primi anni del
'700 guidò una rivolta popolare contro i Borboni e i Savoia. Inutile
dire che la rivolta finì «a schifìo» — come scriverebbe
Camilleri — ma non è tanto la trama a importare: nella scarsità
di notizie storiche, per ammissione dello stesso Camilleri si è
ricorso abbondantemente alla fantasia.
Ed è così che nelle 400 pagine del libro prende a rivivere
il grande affresco di una Sicilia barocca, sullo sfondo di una commedia
umana pullulante di maghi, contadini, preti, vescovi, nobili, soldati,
superstizioni, religiosità più o meno bigotte, pesti seicentesche,
eventi sovrannaturali e lotte sanguinose tra signorotti, braccianti e inquisitori.
A fare da collante della narrazione, la straordinaria mistura linguistica
di Camilleri, che assieme al siciliano gioca in questo romanzo con uno
spagnolo maccheronico, con un italiano volutamente pressapochista, e soprattutto
con la carica ironica che si muove — come sempre — sottile e leggera tra
le righe.
Il successo di Camilleri non ha sempre trovato riscontro nella critica.
Ma alla fine è comunque il lettore a decidere, ed è libero
anche di sbagliare. Quanto alla critica che non ama Camilleri, può
sempre esercitare il primo dei diritti del lettore, stilati da Pennac:
quello di non leggere.
Edoardo Tomaselli