L'Unione Sarda 20.10.2001
Il Camilleri che convince
«La persiana della finestra spalancata sbattì tanto forte
contro il muro che parse una pistolettata e Montalbano, che in quel preciso
momento si stava sognando d’essiri impegnato in un conflitto a fuoco, s’arribiglò
di colpo sudatizzo...». Per tutti quelli che lo stavano aspettando,
e sono tanti, torna il commissario Montalbano, uno dei personaggi più
amati della letteratura poliziesca di questi anni. Torna con i suoi tic,
le sue manie, la sua voglia di capire, il suo vernacolo intrigante e musicale.
E con lui torna la Sicilia, viva e appassionata, arcaica e nello stesso
tempo moderna, dai colori forti e dalle contraddizioni violente, che anima
le vicende descritte da Andrea Camilleri. Una terra di persone e di gente,
più che di fatti e di posti, frequentata e vissuta con una facilità
ed una felicità di inventiva, un’ironia e un’intelligenza di scrittura
che più che al genere d’evasione, appartengono all’arte del narrare:
cioè, alla capacità di trasmettere visivamente al lettore
ciò che si racconta e contemporaneamente a catturarne la mente in
una rete di inestricabili complicità. Fenomeno unico nel panorama
letterario italiano, Camilleri ha sempre battuto strade molto originali:
a partire dall’uso della lingua che, ubbidendo ad un personalissimo equilibrio,
fonde l’italiano della tradizione al dialetto siciliano. Altrettanto ha
fatto nel costruire cast e trame dei suoi romanzi che, pure, più
di ogni altra cosa, riflettono i debiti culturali e di scuola che il Camilleri
giallista ha in primo luogo con autori come Georges Simenon, Leonardo Sciascia
e Manuel Vasquez Montalban, senza dimenticare i Gadda o i Durrenmatt (mentre,
su altro piano, si possono ricordare i nomi di maestri della suspense come
Van Dine e Ellery Queen). Non a caso, del resto, Montalbano, suo personaggio
principe ed alter ego, coltiva raffinate letture: Proust, Musil, Melville,
Simenon. Conosce il poeta inglese Dylan Thomas e cita Saba.
Sul caso Camilleri ci si interroga, ad ogni boom del botteghino, sul
perché i suoi libri piacciano tanto: merito del protagonista, dell’ambiente,
della scrittura? Probabilmente, lo hanno detto in molti, per tutte queste
motivazioni messe insieme. O, forse, per nessuna. Perché se è
vero che la gente cerca, attraverso la lettura, di ritrovare la capacità
di sognare, Salvo Montalbano, commissario di polizia dell’immaginaria cittadina
di Vigàta, è il compagno di viaggio meno adatto per i voli
di fantasia. È, infatti, una persona come tante, un tipo dall’aspetto
normale, né atletico né bello, che ama mangiare e qualche
volta alzare il gomito (non col whisky, ma col vino rosso). Una concretezza
fisica e psicologica restituitaci con incredibile aderenza al personaggio
dalla trasmissione televisiva: grazie all’ottima interpretazione di Luca
Zingaretti, il suo è ormai un volto familiare, come familiari sono
i suoi vizi, le abitudini, le debolezze, l’intrigante ripetitività
del vernacolo (“Pronto? Montalbano sono…”). Colto e dai gusti fin troppo
raffinati (tanto che li confessa con pudico imbarazzo) in fatto di letteratura,
musica e pittura, Montalbano possiede uno straordinario intuito che gli
permette di penetrare non solo nelle situazioni più apparentemente
oscure, ma anche nell’animo dei suoi interlocutori, nei loro sentimenti
più nascosti e nelle segrete motivazioni. Non risolve, cioè,
i casi secondo processi razionali, alla Sherlock Holmes: la scoperta della
verità gli arriva come una rivelazione, un flash accecante che gli
esplode nel cervello.
Geniale, istintivo, dunque, ma anche abitudinario. Per abitudine, infatti,
arriva al lavoro con una decina di minuti di ritardo e, sempre per abitudine,
la sera, quando rientra a casa, meccanicamente accende il televisore per
seguire i notiziari (in canottiera, mutande e piedi nudi). Meteoropatico,
di umore instabile, basta poco per innescare la miccia a farlo infuocare.
Sensibile al fascino femminile, ma fedele per natura, Montalbano vive
un amore difficile con Livia, la sua donna, che lavora in Liguria. Un rapporto
consolidato dal tempo, ma segnato da continue tensioni: lo testimonia nell’ultimo
romanzo (L’odore della notte, Sellerio, pagg. 222, lire 18.000), l’episodio
emblematico che vede il commissario rincorrere il bel maglione che proprio
lei gli ha regalato e che finisce inesorabilmente in mare trascinato dal
vento. Il fatto è che quando Livia è lontana, Montalbano
la desidera, ma quando è vicina, la avverte come una presenza ingombrante
che gli toglie la possibilità di vivere a modo suo, sconvolgendogli
le abitudini (anche culinarie).
È proprio il suo essere un uomo estremamente solitario la circostanza
che lo rende così simile a noi; perché, in definitiva, non
è forse la solitudine l’ossessione quotidiana del nostro tempo?
In L’odore della notte a Vigàta è tornato l’inverno. E il
commissario Montalbano sembra risentirne, più solo e immalinconito
che mai. Lo si avverte perché i segni lasciati da tutte le inchieste
passate riaffiorano qua e là, con i colori della nostalgia, a ogni
passo di quest’ultimo caso (tra tutti, il ricordo di François, il
bambino de Il ladro di merendine che il commissario avrebbe voluto adottare).
E’ Catarella, il telefonista del suo commissariato, ad informarlo in quell’italiano
vernacolare e divertente che lo contraddistingue, che è in corso
un sequestro di persona nella filiale di un’agenzia finanziaria.
Un episodio destinato a concludersi in modo non cruento, ma che rappresenterà
il primo tassello di un puzzle che Montalbano cercherà di risolvere.
Come sempre da solo, scavando nella scomparsa di un finanziere truffatore
che si è dileguato insieme ai risparmi di tanta povera gente. La
soluzione non arriverà da una fuga banale, anche se connessa ad
un omicidio (“la solita ammazzatina”): assai più carico di orrore
si rivelerà l’improvviso, imprevedibile colpo di scena finale.
Arturo Clavuot