L'Espresso, 19.12.2001 (in edicola dal 14.11.2001)
Il contadino che volle farsi re
di Marco Belpoliti

Con "Il re di Girgenti" Andrea Camilleri ha cercato di scrivere il suo gran romanzo. Le premesse ci sono tutte: l'ampio disegno narrativo, il personaggio su cui imperniarlo, il clima e l'epoca, la lingua, e perfino il numero delle pagine. Il risultato finale è deludente. Perché? Difficile dirlo, dato che le prime cento pagine, tutta la prima parte, sono davvero riuscite. Ma poi, quando il romanzo dovrebbe prender quota, piega decisamente verso il basso.
L'infanzia di Zosimo sembra ricalcata sui Vangeli apocrifi dell'infanzia di Gesù e le storie mitologiche della giovinezza degli dèi. Probabilmente il personaggio-bambino, per quanto prodigioso, non è sufficiente a reggere il racconto che diventa bozzettistico; vi circola un'aria di già sentito e già visto che non funziona come invece in altri libri di Camilleri, dove il rifacimento fila via liscio, anzi è divertente, per l'ironia che lo pervade.
Ecco, forse è proprio questo: l'atmosfera seria, da vero narratore, non funziona. Inoltre il romanzo, con l'arrivo sulla scena della figura di Zosimo, ricomincia da capo e questo non è efficace sul piano narrativo, tanto più che il finale è pensato in alto, con una trovata narrativa che serve a collocare il personaggio di Zosimo fuori dalla sfera del quotidiano. Sul tavolo di Camilleri ci devono essere stati in questi mesi (è uno scrittore mensile, non annuale) tante cronache d'epoca, tra Seicento e Settecento, libroni antichi sulla Sicilia, raccolte di proverbi. La sua bella e consueta vena gnomica qui funziona poco, forse per via dell'occhio del protagonista che è un contadino colto, sapiente e saggio, ma pur sempre un contadino. Anche di dizionari ce ne devono essere stati sullo scrittoio, ma la lingua dello scrittore siciliano, salvo in alcuni punti, non fa grandi balzi in avanti. Segno che, al ritmo di un libro o due all'anno, ci siamo assuefatti ad essa? Si fa un gran parlare della lingua di Camilleri. E certo la principale trovata dello scrittore è questa. Ma che linguaggio usa? Siciliano, certo, ma inventato, un siciliano infarcito a volte di termini napoletani e persino romaneschi. Tuttavia non si tratta di plurilinguismo, perché la lingua di Camilleri è siciliana solo a livello lessicale e non sintattico. Non segue il dialetto nel dar forma alla frase, se non in alcuni punti. Per questo la può leggere anche chi siciliano non è.
Si provi a tradurre una sua pagina in italiano. Si troverà una sintassi semplice, al limite della paratassi. Niente a che fare con Gadda.