Letto Il re di Girgenti, ci si capacita, come scriverebbe lui, che Andrea
Camilleri, noto giallista, acclamato padre di Montalbano, poliziotto atipico,
è un grande scrittore. Questo romanzo, che ha il respiro de I Malavoglia
di Verga, delle Terre del Sacramento di Iovine, di Fontamara di Silone
e di altri capisaldi della letteratura regionalistica e universale, è
un affresco popolare coinvolgente. La miseria del popolo, l'innesto del
dialetto e la parlata spagnola che intersecano l'opera come fiammate linguistiche,
squagliano e amalgamano sapientemente l'insieme d'una vicenda che a tratti
è dramma struggente e commedia ironica da far invidia a un Balzac.
La biografia fantastica di un capopopolo, il contadino Zosimo che nel
1718 divenne re di Girgenti, è la storia di un uomo eccezionale
che, come scrive Salvatore Silvano Nigro nel risvolto di copertina, «prima
d'essere tradito da un giuda gentiluomo, e finire sulla forca, riuscì
a regalare un sogno di dignità ai suoi affamati e scalcagnati sudditi».
Inventato in parte il personaggio, del tutto autentica l'epoca storica
e gli avvenimenti narrati, Camilleri imposta l'opera come una cronica del
passato, intrecciandola di suggestioni, di tradizioni e di stupendi volteggi
letterari che lo avvicina in alcune pagine anche al Márquez di Cent’anni
di solitudine. Nel momento in cui il Duca immagina o sogna d'essere precipitato
in una fossa di serpi «addivenite un cemento vivente che lo teneva
incollato», nella sofferta intuizione del dramma della gelosia che
lo consuma, c'è la stessa, poetica e struggente dissolvenza dello
sciame di farfalle gialle che dal bagno del giovane Buendia volano verso
il cielo colorandolo.
Zosimo è un personaggio di straordinaria intensità narrativa.
Bambino prodigio, figlio di un uomo che ha attraversato varie peripezie
a causa di un principe, Zosimo incarna il prestigio di regole locali e
forze passionali, che lo guidano verso la giustizia come metodo per dare
dignità al popolo. Più autoritario del padrino patre Uhù,
un monaco eremita in odore di santità per aver bloccato un'invasione
di lumache che stava devastando i raccolti, e che con una grossa croce
sulle spalle vaga per paesi e campagne esorcizzando e castigando, Zosimo
è quasi un profeta incoronato dal bisogno popolare d'una guida forte.
Gli avvenimenti rivoluzionari di cui fu ideatore e guida, lo fecero re
di Girgenti, il feudo dove agiva, e questo suscitò la solenne scomunica
del Papa contro di lui e contro tutti gli isolani che gli ubbidivano, disattendendo
le sue direttive. Nell'evolversi dei fatti che Camilleri descrive salando
spesso l'opera con una verve terragna e sottile che evidenzia il genio
campagnolo, Zosimo sarà detronizzato e condannato a morte dai nobili
vendicativi, in ossequio al re Savoiardo. Un declino previsto, che però
non toglie nulla alla forte concezione del mito creato da uomini insorti
contro ogni vessazione. I sei gradini che Zosimo deve salire per arrivare
al patibolo diventano stazioni d'una celebrazione individuale, riepilogo
esistenziale, intersecarsi di sogni e ricordi che riproducono infanzie
lontane e pene bibliche. Sei gradini, sei tappe, sei straordinari sipari
d'orgoglio e d'emozioni in cui Zosimo si prepara al dopo, tenendosi allo
spago dell'aquilone che lo porterà in cielo, e da lì vedrà
un corpo inerte penzolare dalla forca, come un fantoccio.
Con Il re di Girgenti Camilleri ha certamente scritto il suo romanzo
più importante, destinato a rappresentarlo e a costituire un nuovo
affresco della Sicilia settecentesca, vista dalla parte dei cafoni. Gli
si affianca un altro libro appena pubblicato da Rizzoli, intitolato Parole
raccontate. Sono memorie e note di teatro, che Camilleri ha praticato a
lungo con una figlia. Scenette gustose, divertenti, che hanno un po’ la
scansione del raccontino o delle massime argute. Sempre piacevoli comunque,
nonostante l'impegno sia un po' latitante e tutto si compie nella contingenza
della memoria fine a se stessa.
Francesco Mannoni